«Non stiate a interrogarvi che cosa | rumina mai - seduto | nel vano qui della finestra tuttavia | volte le spalle alla vista | basti per lui lasciare | strizzato goccia a goccia | un non tempo allargare la mente strenuata | pensando il non pensare».Un ritmo della poesia cadenzato, schietto, che diventa discorso e canto. Leggiamo ancora in "Quanto spera di campare Giovanni": «Ma il Paradiso sta | nella sua aspettazione - | ché un pozzo senza fondo è il possesso | anche se non negabile sia la gioia dei corpi [...]». L'esistenza vissuta con pena e sgomento è detta da una lingua limpida e ferma, mentre tutt'attorno si fa il silenzio: «Farsi dentro la testa | silenzio essere semplici | bello e gentile è l'ordine | a chi dentro vi è ordinato». La trasparenza metrica, sintattica, lessicale della sua poesia si arricchisce in questa raccolta grazie alla fita luminosa presenza di ottonari e settenari giambici o trocaici, di ascendenza metastasiana (nel colore) e manzoniana (nella verità e precisione della pronuncia). E' un flusso di memorie, eventi brucianti, tragedie pubbliche e affanni privati, scandito nelle quattro sezioni della raccolta. E «se il vero che ci sovrasta | è una lingua più che muta», è anche vero che «ecco che indecifrabile si fa | il disegno del mondo in matto mutare»: con il gioco fonico e di significato possibile in italiano tra muto/mutare, rendendo verbo il muto=zittirsi. Ne "Il ritratto" presente all'interno della raccolta è l'ironica autodescrizione con le «desolate mani nelle mani | e l'inerme nerezza senza quiete | ingenuo a orrori lontani». Maestro desolato e ingenuo, vivo di fronte alla nerezza senza quiete del presente e del futuro incombente. Il suo è un sapere inerme, che pone le proprie briciole di saggezza in punta di piedi, con dolcissimo strazio, nella coscienza che «tutta baci riparte la vita senza di noi».