Sergej Dovlatov

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Sergej Dovlatov

Sergej Dovlatov (1941-1990), nato da una famiglia di gente di spettacolo, dopo una giovinezza anarcoide e dissipata, si dedicò al giornalismo, lavorando, senza fortuna, per giornali di provincia, dai quali veniva regolarmente licenziato per indisciplina. Nel 1978 emigrò negli Stati Uniti, dove iniziò a pubblicare racconti e romanzi, prevalentemente a sfondo autobiografico, “commedie autobiografiche” piene di un umorismo instancabile e vicino alla tradizione dell’umorismo russo. Di Dovlatov, la casa editrice Sellerio ha pubblicato Straniera (1991,1990), La valigia (1999), Compromesso (1996, 2000) e Noialtri (2000), Regime speciale (pubblicato da Sellerio nel 2002).

Hanno scritto di lui:
La prosa di Dovlatov, in un felice impasto di grottesco e filosofico, ci restituisce straordinariamente questa umanità che sposa Cecov con Bukowski.
Michele De Mieri - Il diario della settimana

Uno straordinario scrittore Russo
Stefano Malatesta – La repubblica

Di epos all’incontrario si dovrebbe parlare a proposito di Noialtri: e tutti i personaggi concorrono a costruire un mondo di simpatici balordi, di figure strampalate, capaci di un eroismo da quattro soldi ma non per questo meno affascinante, di contraddirsi continuamente, di subire angherie incredibili e dimenticarle davanti a un bicchierino di vodka.
Stefano Salis – Il sole-24ore

…un libro, caldo, vivo, molto divertente e di notevole interesse…
Carlo Fruttero e Franco Lucentini- TTL

Regime speciale, di Sergej Dovlatov

“Secondo Solzenicyn il campo di prigionia è l’inferno. Io invece penso che l’inferno siamo noi”. Questi “appunti di un sorvegliante” giocano su due piani, come a mostrare, nella comparazione tra “mondo di dentro” e “mondo di fuori” il carattere inestricabilmente paradossale, intrinsecamente comico del mondo. Il piano autobiografico dei ricordi dalla prigionia per criminali comuni dove Dovlatov andò a fare la guardia militare dopo la sua espulsione dall’università; e il piano della invenzione, nelle lettere che finge di scrivere agli editori dell’esilio di New York, e in cui racconta delle traversie nel tentativo di farsi pubblicare Regime speciale, della sua gioventù sovietica e della vita in esilio. Come un contrappunto, un controcanto, o forse meglio, come un’eco ripetuta tra vita di liberi e vita di prigionieri, allo schizzo, al personaggio, all’episodio dal campo di prigionia, si alterna lo schizzo, il personaggio, l’episodio dalla vita quotidiana. Sicché Regime speciale non è un racconto di prigionia. Il soggetto è l’incanto, come nelle altre prove del grande umorista russo, divertito e triste, familiare e stupito, di fronte all’umanità, umanità di dentro e umanità di fuori: come un assassino efferato possa essere un buon amico quale non si trova tra la gente perbene, e come dentro si possa ridere e gioire di cuore e annoiarsi e intristirsi fuori. Come sia labile il confine, come sia in realtà sottile la differenza. E non solo tra prigione e libertà, ma anche tra russi in URSS e russi in America. Perché, dice Dovlatov del fine del suo romanzo, “in generale vi viene professata una sola, banale idea: che il mondo è assurdo”. E il risultato è un irresistibile umorismo, dove il lampo, ingenuo in apparenza e paradossale, caratteristico della scrittura di questo grande, la battuta fulminea nel più classico stile russo, la situazione esasperata e grottesca, la tolleranza divertita, il comico, fanno ridere, ma non altro che di noi e della nostra condizione. Col sospetto che sia Dovlatov a ridere di noi.


 


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