Sadeq Hedayat

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Sadeq Hedayat


Sadeq Hedayat è nato a Teheran nel 1903 (morì suicida a Paris nel 1951). Visse a lungo in Francia dove assorbì profondamente la cultura europea e in particolare l'esistenzialismo, e tentò di trapiantare, insieme con l'uso del linguaggio parlato, nell'ambito della letteratura nazionale. Sadeq fu considerato il maggiore artefice del processo di rinnovamento in senso occidentale della narrativa persiana nel XX secolo: restò in pratica isolato, poco conosciuto nel suo paese e poi anche in europa (dopo il breve momento di celebrità). Tra le sue opere si ricordano: il romanzo breve Il gufo cieco (1941). E le raccolte di racconti: Tre gocce di sangue (1932), Chiaroscuro (1933), Il cane randagio (1942). Romanzo morale a tesi è Haggi Aggha , sui mali antichi della mo derna società persiana.
"Il gufo cieco" è un allucinato affascinante racconto in cui ricorrono sempre gli stessi personaggi, le stesse visioni, gli stessi sentimenti. Il protagonista e narratore è un giovane per siano che fa il pittore di coperchi di portapenne, sui quali di pinge sempre la stessa scena: un vecchio laido accoccolato sotto un cipresso ai cui piedi scorre un ruscello al di là del quale una giovane bellissima danzatrice indiana porge al vecchio un ra mo con un convolvolo azzurro. Le varie scene della narrazione so no slegate, tenute insieme da un sottile nesso che non è mai logico, come voleva la tecnica narrativa dell'avanguardia. La fan ciulla appare realmente, si sdraia sul letto del pittore e vi muore. Realtà e allucinazione diventano inscindibili. Il narrante prima di morire ripercorre tutta la sua vita in una serie di immagini sospese, nel vaneggiamento di un fumatore d'oppio (come era Sadeq). Il protagonista taglia a pezzi il cadavere della fanciulla, la mette in una valigia e esce per seppellirlo. Un sinistro becchino si presenta per aiutarlo: è il vecchio che stava seduto sotto l'albero. Gli stessi convolvoli azzurri copriranno la tomba della fanciulla. Attraverso visioni e varianti, cresce la disperazione del protagonista, escluso dalla vita, prigioniero della sua solitudine, distrutto dalla droga. La fanciulla indiana è sua madre. Il vecchio laido suo zio (o suo padre?). I tre per sonaggi sono legati da una agghiacciante prova d'amore in cui uno dei due fratelli, entrambi innamorati dalla stessa donna, dovrà morire per il morso di un cobra. La fanciulla è anche sua moglie, che lo attrae fisicamente e lo rifiuta, la "sgualdrina" che porta sul corpo sul corpo le tracce degli amanti a cui si concede al di là di una sottile parete. La scena è sempre un interno, in uno squallido sobborgo. La realtà è laida e oscena, solo ciò che appartiene alla morte e al sogno può illuminarsi di bellezza. Nell'ultima scena il protagonista possiede finalmente la moglie e la uccide: ma non sappiamo se sia allucinazione o realtà. Un romanzo agghiacciante, ma senza essere deprimente: colori vividi delle scene, tono vagamente lirico da antico cantare, appesantito da una certa assenza di ironia.



© Antenati - 1994-1997


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