Sergej Aleksandrovic Esenin

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Sergej Aleksandrovic Esenin


Nato a Kostantinovka nel 1895, in un villaggio della Russia meridionale, ciò che segnò profondamente la sua personalità poetica avvicinandolo, subito dopo l'arrivo a Pietroburgo, al gruppo dei "poeti contadini" capeggiato da N. Kljuev. Le prime liriche di Esenin, in Radunica (1916), e Azzurrità (1918), ritraggono con i melodiosi accenti della canzone popolare una Russia contadina patriarcale e idilliaca, rassegnata alla sua antica miseria. Nonostante il vago animismo paganeggiante che è in queste poesie, il lessico e le immagini-chiave abbondano di riferimenti alla liturgia ortodossa. Come altri poeticontadini salutò trionfalmente la rivoluzione in cui vedeva l'inizio di una gioiosa rinascita dei tempi, con poemi visionari e allegorici come Inonija (1918) e Transfigurazione (1918) densi di spunti biblici misti a impulsi blasfemi. In seguito, il suo gusto per le metafore eccentriche lo fece aderire all'immaginismo. Nello spirito di questo movimento, che bandiva dalla poesia la logica e la coerenza, scrisse il De pro fundis quaranta volte (1920) e Navi di giumente (1920), dove la monotonia e la vuotezza delle immagini sfarzosamente barocche sono riscattate da disperati accenti di nostalgia. Esenin cominciava ad avvertire l'illusorietà del suo sogno: la rivoluzione, con la civiltà delle macchine, avrebbe inghiottito il mitico mondo delle isbe.


Inquieto e sradicato nella convulsa Mosca postrivoluzionaria, sentendosi superato come uomo e come poeta, si abbandonò alla volontà autodistruttiva, all'esibizione della propria an gosciata delusione. Prima portava la 'maschera' contadina, si ve stiva persino con stivali di marocchino rosso, esibiva una esube ranza popolaresca, ora si abbandonò a una vita di scandali e stravaganze, dando spettacolo di sé nelle bettole, tra ladri e teppisti. Da questa esperienza nascono la Confessione di un tep pista (1921) e Mosca delle bettole (1924), cantilene delirante e allucinate, squassate da improvvisi soprassalti di rivolta e rim pianto. Dello stesso periodo è il poema drammatico Pugacëv (1921) rievocazione della rivolta contadina del XVII secolo.

Tornato in Russia dopo l'effimero matrimonio nel 1922 con la danzatrice Isadora Duncan che la portò per qualche tempo negli stati Uniti, tentò invano di adeguarsi alla nuova realtà sovieti ca con opere malriuscite e insincere: Canto della grande impresa (1924), Ballata dei ventisei (1924).

Negli ultimi anni inclinò verso toni sfiniti e languidi, come nell'accorato poema autobiografico Anna Snegina (1925), creando una poesia di struggente semplicità, in cui parole banali e imma gini spente svaporano e si annullano nella melodiosa fluidità del canto. Il punto estremo della tragica parabola di Esenin è dato dai versi de L'uomo nero (1926) dove istrioneria, autocommiserazione, angoscia, disperata clownerie, guizzano per l'ultima volta sullo sfondo in un ubriaco delirio in cui si muove, luttuoso e ammiccante, il sosia-nemico del poeta. Esenin morì suicida nel 1925, impiccato in una stanza d'alber go a Leningrado.

La poesia di Esenin è popolarissima ancora oggi. Deve il suo successo alla generosa e straziante generosità che la riscatta anche quando incombe l'ombra mistificante del "personaggio lette rario", e nell'estrema orecchiabile dolcezza delle sue cadenze, in cui molti riconoscono una tipica quasi emblematica espressione della poesia russa.



[1997]


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