Gabriele D'Annunzio: la poetica

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Gabriele D'Annunzio: la poetica


In D'Annunzio la giovane borghesia italica trovò la sua eva sione (sensualismo, estetismo) e il suo alibi (superomismo e supernazionalismo).
Nell'arte come nella vita la tensione eroica e superomistica è prevalente, ma si scandisce in due fasi:

a) la prima è caratterizzata da una effusa «sfrenatezza» e si conclude con il poema autobiografico Laus vitae , in "Maia" (1903), che è la trasposizione sul piano concretamente poetico dei motivi volon- taristici sparsi nei romanzi ("Le vergini delle rocce", "Il fuoco") e nelle tragedie ("La città morta", "La Gio conda", "La gloria");

b) nella seconda fase, durante e dopo l'esilio in Francia, prevale un superuomo che «ricorda e del ricordo fa arte». E' la resa e la negazione del superuomo. Un atteggiamento che si ri flette in alcune opere di teatro ("Più che l'amore", "Fedra"), e di narrativa ("Forse che sì forse che no", "La Leda senza cigno", "Notturno").

c) in mezzo a queste due fasi, tra questi due momenti conflittuali, c'è la grande 'tregua' di Alcyone , il capolavoro della poesia dannunziana. Qui cadono le intrusioni volitive e il canto si libera in pura mistica sensuale. Una poesia compiutamente de cadente perché fatta solo di sensazioni e di atmosfera, in totale assenza di costruzione, di contenuti, di centri logici. Le punte più alte di questa lirica alcyoniana sono nella Sera fiesolana , Bocca d'Arno , Pioggia nel pineto , Stirpi canore .


Nella sua vasta opera D'Annunzio tentò in ogni modo e con ogni espediente di realizzare la fusione tra arte e vita che fu il sogno di tanti artisti decadenti. In lui era anche un proposito di europeizzare una cultura provinciale come quella italiana di allora. La sua grande forza assimilatrice e mimetica è però disponibilità a tutto, un congenito e patologico vuoto di problemi e di istanze. L'aspetto più valido della sua opera è nella magi strale abilità a esprimere la comunione di sensi e d'animo con il tutto, le suggestioni di una sensualità rapida «fuori dei sensi». E' il "panismo" dan- nunziano, la capacità di rivivere in sé la vi ta della natura, il momento del dissolversi dell'io, l'affacciar si di un rapporto non effabile per via logica con le cose. Da vate alla Carducci il poeta diventa veggente: da guida della storia decifratore dell'ineffabile interiore. In questo mondo esplorabi le solo con gli strumenti dell'intuizione D'Annunzio penetrò con un pesante bagaglio di retorica: gran parte delle sue pagine sono immense macchine di ostentazione dove regna la «parola come fine».
D'Annunzio ha lasciato una innegabile, anche se non essenziale, lezione su tutta la prima metà del secolo letterario italico. Oggi le (poche) pagine più leggibili della sua produzione sono in quelle intimiste, "notturne", e nello splendore formale di un linguaggio analogico che esprime per suggestione più che per comunicazione.



[1997]


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