Stefano Guazzo

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Stefano Guazzo


Nato a Casale-Monferrato nel 1530 (morì a Pavia nel 1593), fu l'autore di un testo che ebbe enorme fortuna nel XVI secolo e in secolo successivo in europa. Si tratta de La civil conversazione , edita a Brescia nel 1574 e poi a Venezia nel 1579, e poi successivamente varie edizioni, traduzioni e ristampe per tutta europa. Un successo pari al "Cortigiano" di Castiglione o al "Galateo" di Della Casa. Ne derivò una diramazione anche linguistica dei con cetti da lui propagandati, in tutte le culture nazionali europee. Si tratta dei valori 'civili' della grazia, misura, creanza, onore, garbo, discrezione. Nella forma consueta del dialogo, il nobile Stefano Guazzo affrontava per la prima volta un argomento che, nei precedenti trattati sulle buone maniere e sul comporta mento, era stato solo sfiorato: i modi del parlare tra gente non volgare, intesi nel segno di una civiltà di costumi a cui sovrin tende l'aurea mediocritas di chi, giovane o vecchio, uomo o donna che sia, da farsi guidare dall'intelligenza, dal gusto, dalla consapevolezza che può esservi familiarità anche nelle differenze di status, di condizione, di età, di sesso. Di qui la caratteristica peculiare di questo testo, e anche la causa della sua in credibile fortuna fino al XVII secolo: la leggerezza delle argo mentazioni, la piacevolezza della scrittura anche dal punto di vista linguistico, la facilità e eleganza dello stile argomenta tivo. Il tutto reso accattivante dall'abbondanza di exempla, di aneddoti, di battute gnomiche facili da ricordare e divertenti. Lo stile è giocato tutto sul registro dell'umanità. Sullo sfondo, la città di Casale con i suoi panorami mentalmente salutari e distesi, il minuzioso dettaglio delle conversazioni condotte nel tono tranquillo che rassicura e orienta il lettore. Su tutto, la «regula universalissima» come diceva Castiglione mezzo secolo prima, della «grazia»: regola etica e estetica, in grado di qua lificare con misura e eleganza profonde e discrete anche i con tatti interpersonali. La vita associata è vista come naturale an tidoto alla solitudine. Afferma uno degli interlocutori che «il vero diletto» è «quello che naturalmente apporta piacere a tutte le persone in universale»: ne consegue che «la solitudine, quan tunque sia grata agli uomini oppressi da malinconia, non è però aggradevole, anzi è noiosa a tutti gli altri uomini». La «civiltà» diviene forma del vivere, indipendentemente dalla classe sociale. Vi è una fiducia sfegatata nelle capacità della parola, antica (negli esempi del passato e nei testi canonici) e vivificatrice nel suo nuovo percorso moderno. Il testo di Guazzo è un reticolo di citazioni, un serbatoio ipertestuale.



[1997]


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