Esaias Tegnér

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Esaias Tegnér


Esaias Tegnér nacque a Kyrkerud nel 1782 (morì a Östrabo nel 1846), figlio di un pastore protestante, rimase presto orfano. Si mise con ostinazione a studiare. Fu professore di estetica (1802) e di filologia greca (1812) all'Università di Lund, dal 1824 vescovo di Växiö. Fu un famoso oratore parlamentare, e membro dell'Accademia. Era un tipo ribelle e indipendente, schietto, fu molto amato e considerato dopo uno dei massimi nomi della Svezia.
Le cose migliori di Tegnér sono liriche in cui unisce influsso schilleriano-ellenista con classicità di stile: Uccelli migratori (1813), Canto al sole (Sång till solen, 1813), Il canto (Sången, 1819), I bambini della prima comunione (1820), Axel (1822) poemetto storico-romanticista un po' dolciastro e sentimentale. Non immune dalla cultura idealistica del tempo (Kulturen, 1805; Livet, 1805) fu tiepido verso il misticismo estetico schilleriano, orientandosi verso l'umanesimo di Schiller, rispondendo al suo bisogno di equilibrio e sano pedagogismo. Di contro alla poesia della notte, esaltò la poesia della luce e del sole.
Nuova ispirazione alla sua poesia la trovò ispirandosi alla storia, nel poemetto Svea (1811), premiato dall'Accademia e più volte ripreso e riadattato a seconda delle circostanze, ma anche alla ricerca di una armonia più "classica" all'interno delle antiche forme nordiche (Majsang, 1812).
Le componenti migliori della sua poesia si fondono nella Saga di Frithiof (Frithiofssaga, 1825), ispiratagli dalle "gesta degli eroi nordici" di E.J. Björner e da "Helga" di A. Oehlenschläger, e in cui Legnér narra il contrastato amore tra Ingeborg e Frithiof su uno sfondo cavalleresco pieno di effusioni liriche e sentimentali. In questa saga ciò che nelle intenzioni di Tegnér doveva essere l'"immagine poetica della vita degli antichi eroi nordici" diviene un quadro della vita intima di ogni uomo, in cui il materiale leggendario subisce un processo di romanticizzazione.
Legnér scrisse innumerevoli poesia d'occasione, e idilli come "Kronbruden" (1840), o poemi come l'incompiuto "Gerda" (1822), che testimoniano gli anni del declino. Legnér volle testimoniare fino all'ultimo la sua concezione della poesia come sovramondo al di fuori della realtà, promotrice di idealità. Un bisogno di libertà dello spirito evidente anche nei discorsi di scuola e nel patetico "Canto" per il cenetnario dell'Accademia (Sång, 1836) in cui, divenuto poeta venerato da ognuno, rievoca i maggiori poeti dell'età gustaviana.



© Antenati - 1994-1998



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