Carlo Porta

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Carlo Porta

Porta nacque a Milano nel 1775, da una famiglia di tradizioni borghesi. La sua inclinazione agli studi letterari fu osteggiata dal padre, funzionario del governo austriaco, che si augurava dal figlio un solido avvenire di burocrate. Nel 1798-1799 ebbe un impiego pubblico a Venezia, e vi fece una vita brillante, tra allegre brigate e esperienze amorose, ma conobbe anche personaggi come A. Lam- berti che lo incoraggiarono nella produzione di versi in dialetto.
Rientrato a Milano, frequentò i circoli più vivaci della città che, dopo l'allontanamento degli austriaci, avevano aderito alle riforme liberali introdotte dal governo napoleonico. Fece l'attore comico, sposò Vincenzina Prevosti, vedova del ministro della repubblica Cisalpina, Raffaele Arauco (1806). Trovò un impiego al ministero del tesoro. Tornati gli austriaci nel 1814, conservò il posto di funzionario ma continuò anche a parteci- pare alla vita intellettuale della città e alle speranze di riforme liberali. In casa di Porta si riuniva la cosiddetta "cameretta": Ber chet, Ermes Visconti, Tommaso Grossi, Giovanni Torti, che presto sarebbero stati in prima linea nella polemica sul romantici- smo.
Nel 1816 la pubblicazione della "Prineide", violenta satira antiaustriaca composta da Grossi ma pubblicata anonima e attribuita a Porta, procurò a Porta una serie di difficoltà con la polizia. Nonostante l'amarezza per questo incidente, continuò l'attività di poeta civile, avvicinandosi negli ultimi anni ai primi fermenti romanticisti. Morì nel 1821, per l'aggravarsi della gotta che negli ultimi anni aveva compromesso la sua salute.

Al 1792 risalgono le sue prime prove, in particolare El lava piatt del Meneghin ch'è mort, sulla scia di una tradizione (Maggi, Balestrieri) molto viva a Milano. La sua attività poetica vera e propria fu preceduta da un rigoroso apprendistato: tradusse in milanese l'ode "A Silvia" di Parini (1795), e alcuni canti dell'"Inferno" di Alighieri (1804-1807). E' un processo di affinamento del mezzo espressivo scelto che ebbe il suo esito nei grandi componimenti poetici successivi.
All'interno della raccolta delle sue Poesie è possibile rin tracciare una serie di filoni:
L'opera di Porta parte da una educazione illuministica e giunge a posizioni sostanzialmente romanticiste, ostili al classicismo di Giordani e alle tesi della «Biblioteca italiana». Rifiuta ogni espressione aulica o paludata o decorativa, è impegnato nel progressivo approfondimento dei propri motivi polemici: la satira anticlericale e l'attenzione amara e disincantata del mondo popolare. Pone al centro delle proprie rap- presentazioni personaggi umili, aderendo così ai nuovi ideali democra- tici, e denunciando il malcostume della vita pubblica, le assurdità di una persistente ingiustizia sociale.
Erede di una fiorente tradizione dialettale, supera i limiti che caratte- rizzano i vivaci prodotti dei verseggiatori popolari (le «bosinade» dei cantastorie) ma anche le prove di Maggi, Balestrieri, Tanzi, trasferendole in un contesto più vasto. Lo strumento linguistico da lui adottato è più vario, duttile, usa il parlato il plebeo l'aristocratico, risul- ta capace di sostenere in chiave realistica il rinnovamento dei contenuti propugnato dalla nuova estetica con la forte espressività nelle varia- zioni richieste dalla diversità dei personaggi e delle situazioni. In- numerevole la serie di toni: dalla sanguigna satira popolaresca, al- l'iperbolico ritratto di una nobiltà abbarbicata alla sua ridicola alterigia spagnolesca, dagli splendidi affreschi del mondo cleri cale e reazionario, alle storie più colorite e sofferte di antie roi umiliati e offesi come il Marchionn, Giovannin Bongee, la Ni netta del Verzee, che teatralizzano anche spietatamente la pro pria condizione patetica, spingendo a esiti di mimetismo comico e di osceno oltranzismo la loro schietta e impudica confessione. Le scelte metriche di Porta si evolvono sempre più decisamente verso modulazioni discorsive, dialogiche, con prevalenza di strofe narra- tive (sestina, ottava) rispetto a quelle liriche (sonetto).

Ammirato da Foscolo, Manzoni, Stendhal, nel corso del XIX secolo Porta ha avuto fortuna ristretta, municipale. Ostacoli alla sua diffusione erano la difficoltà del dialetto, l'impegno del nuovo Regno d'Italia alla diffusione di un'unica lingua nazionale che servisse da mezzo di co- municazione per tutti e di identità nazionale, ma anche grosse remore di carattere moralistico (l'anticlericalismo di Porta). Solo nel XX secolo la critica ha proceduto a una rivalutazione, sottolineando tra l'altro il lavoro letterario di Porta e respingendo l'immagine di poeta naïf.



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