Francesco Petrarca: i Frammenti di cose in volgare

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Francesco Petrarca: i "Frammenti di cose in volgare"

Alla elaborazione di quello che noi consideriamo il capolavoro di Petrarca, i Frammenti di cose in volgare (Rerum vulgarium fragmenta), quello che nella tradizione posteriore fu poi chiamato il "Canzoniere", Petrarca dedicò tutto l'arco della propria vita, dal c.1335 alla morte. Egli fece ben nove redazioni sempre più ampie della silloge: dal manoscritto (Vaticano latino 3196) che contiene abbozzi e stesure rifiutate, a quello (Vaticano latino 3195) in parte scritto e in parte rivisto che presenta la forma definitiva. La redazione più tarda della raccolta consta di 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate, 4 madrigali. Le liriche escluse furono riunite dai posteri e denominate Rime disperse, o "Rime extravaganti".

La canzone I'vo pensando, et nel penser m'assale divide esteriormente la raccolta dei "Frammenti" in due parti, in vita e in morte di Laura. Esiste una bipartizione interna, di "due cicli poetici affini, il secondo dei quali è più tormentato e amaro" [1], arricchito dal dissidio interiore analizzato ne "Il segreto", trasfigurato qui in "uno stile più mediato e perfetto" [1].
Nonostante la presenza dominante della donna, non si canta tanto la storia di una passione nel suo sorgere e svilupparsi, ma la storia di un'anima inquieta, dalla psicologia fragile e perennemente tesa tra l'ideale e la realtà che, attraverso una fitta trama di contraddizioni puntigliosamente analizzate, giunge infine alla palinodia religiosa suggellata dalla canzone di chiusura (Vergine bella, che di sol vestita). Il colloquio con sé stesso è sempre sommesso, e intrecciato da motivi ricorrenti: lo smarrimento tra sogno e realtà (Di pensier in pensier, di monte in monte), l'angoscia della solitudine (O cameretta che già fosti un porto), la ricerca della quiete nella solitudine (Solo et pensoso i più deserti campi), la serie di preghiere effusive (Padre del ciel, dopo i perduti giorni, I'vo piangendo i miei passati tempi), la presenza di Laura rispecchiata nelle forme della natura (Chiare fresche e dolci acque, Per mezz'i boschi inospiti e selvaggi), le struggenti antinomie del suo animo (Pace non trovo et non ò da far guerra).
La raccolta non è una semplice silloge di componimenti vari, ma risponde a criteri di selezione unitari. Soprattutto agì in Petrarca il perseguimento di un tono unitario, ottenuto attraverso continue sistemazioni e elaborazioni del materiale. A questo intento corrisponde la strenua limatura stilistica, le cure formali nella ricerca di un linguaggio poetico medio (come è stato evidenziato da *G. Contini) che da una parte rifiutava le asperità realistiche ed espressive del poliglottismo alighieriano, dall'altra inglobava le esperienze della poesia provenzale cortese e dello stilnovismo. Con un paziente lavoro di riduzione e controllo, Petrarca persegue e ottiene una unità stilistica di mirabile equilibrio che ricompone, in una elegante e classica compostezza, gli inquieti contrasti della sua interiorità e smorza l'ansia dei sentimenti in un mondo immobile e purificato. La sua poesia in volgare ha un carattere estremamente letterario, tesa alla ricerca di una lingua poetica portata al massimo della perfezione formale.
Petrarca con affettato disprezzo definiva le sue liriche in italiano "nugae". Lo stesso titolo da lui scelto, "Frammenti di cose in volgare", vorrebbe presentare la raccolta come qualcosa di sottotono, di marginale. Da parte di Petrarca si trattava, in fondo, di affettazione: egli fu sempre uno scrittore estremamente conscio dell'arte scrittoria e ambizioso di gloria poetica. Come detto, alla limatura di queste liriche, come del resto di tutte le sue opere, dedicò l'intera vita. In lui era l'ansia della scrittura d'arte. E dedicava la stessa attenzione intellettuale sia quando scriveva in volgare italico che quando scriveva in latino. Ovviamente, secondo i paradigmi del tempo, considerava che dalle opere in latino gli sarebbe derivata la gloria poetica cui aspirava. In questo senso le cose da lui scritte in volgare italico erano per lui "secondarie". Un paradigma destinato nel giro di pochi decenni a mutarsi radicalmente. E se l'influenza di Petrarca nei decenni immediatamente successivi fu enorme proprio per le sua attività di scrittore in latino - si pensi all'impulso da lui dato all'umanesimo, alla ricerca dei testi latini classici, alla stessa definizione di un latino linguisticamente superiore rispetto a quello usato prima di lui ecc. -, nei secoli successivi quella attività fu in pratica dimenticata, a favore proprio della sua attività di poeta lirico in volgare.

Note:
[1] La Nuova Enciclopedia della letteratura Garzanti. - Milano : Garzanti, 1987. - p. 735.

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