Francesco Petrarca: opere in latino

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Francesco Petrarca: opere in latino

Le opere latine, in prosa e verso, sono molto più numerose della sua produzione in volgare. E' ai testi latini che Petrarca affidava la certezza della fama presso i contemporanei e presso i posteri. A questo fine coltivò con estrema cura l'immagine che di sé voleva lasciare. In lui "il dato esterno tende sempre a presentarsi come esemplare, il dato interiore a farsi esperienza universale e spirituale. In questa tensione va inquadrato l'ampissimo epistolario, alla cui sistemazione e raccolta Petrarca cominciò ben presto a pensare" [1], sull'esempio ciceroniano e senechiano.
Curò lui stesso la pubblicazione delle epistole Cose familiari (Rerum familiarum) in 24 libri. Si tratta di 350 lettere, alcune delle quali in versi, scritte nel 1325-1366, indirizzate per lo più ad amici, ma anche a scrittori dell'età classica latina: Cicero, Virgilius ecc. Le parti migliori di queste epistole sono nell'intensità dell'autoanalisi intrecciata alla narrazione, soprattutto in quella in cui descrive la sua ascensione al Monte Ventoso.
Dalle "Familiari" furono escluse 19 lettere, intitolate Senza nome (Sine nomine), molto polemiche nei confronti della curia papale di Avignone, e per questo motivo prive del nome del destinatario per ragioni prudenziali.
Le Cose senili (Rerum senilium) in 17 libri riuniscono 120 epistole composte nel 1361-1374. Esse probabilmente erano destinate a concludersi con quella, giuntaci isolatamente, intitolata Epistola ai posteri (Epistula ad posteros), che delinea una estesa autobiografia del poeta dalla nascita al 1371.
Le Varie (Variae) sono un gruppo di epistole non inquadrabili nelle silloge precedenti, e comprendono un gruppo di 57 epistole, scritte per motivi pratici.
Alla tematica delle "Familiari" si ricollegano le 66 Epistole metriche (Epistulae metricae) in esametri, divise in tre libri. Accanto a queste sono le dodici egloghe del Carmen di bucoliche (Bucolicum carmen) composte nel 1346-48: sul modello virgiliano, e che trattano di argomenti storici e morali.
Opere polemiche, e a contenuto autobiografico, sono una serie di pamphlet letterari: Invettive conto i medici (Invectivae contra medicum, 1352-3) indirizzate al medico di papa Clemente VI. L'Invettiva contro un certo uomo di grande status ma di nessuna scienza o virtù (Invectiva contra quendam magni status hominem sed nullius scientiae aut virtutis, 1355) è un polemico pamphlet contro il cardinale Jean de Caraman. Ne L'ignoranza di loro stessi e di molti (De suis ipsius et multorum ignorantia, 1367) rivendica contro l'averroismo dei suoi detrattori il principio agostiniano della congiunzione tra "sapientia" e "pietas" che ispira la sua cultura. L'Invettiva contro quello che ha parlato male dell'Italia (Invectiva contra eum qui maledixit Italiae) è contro il monaco Jean de Hesdin che aveva offeso la Roma dei cesari e dei papi.
Il poema Africa (Africa) in esametri, sulla traccia di Titus Livius, canta la storia della seconda guerra punica RomaCarthago. Alla sua stesura, attraverso continue revisioni e arricchimenti, dedicò molto tempo della sua vita. Il tentativo ambizioso era di riproporre su moduli virgiliani l'epoca classica latina come l'unica degna di celebrare e esaltare la grandezza di Roma antica, in ideale continuità con l'Italia e il mondo culturale europeo latino contemporaneo.
Poeticamente il bilancio, per il nostro gusto, è fallimentare. Nei nove libri a noi pervenuti, dei dodici previsti, domina un tono oratorio e magniloquente. I virtuosismi formali non vanno oltre abili riecheggiamenti. Le cose migliori sono in episodi marginali, come in quello di Magone morente.
Commentario storico-erudito in prosa al poema "Africa" è Gli uomini illustri (De viris illustribus). Lo iniziò a Valchiusa nel 1338, ma lo riprese più volte allargando il disegno originario al progetto di un'opera che parlasse degli uomini illustri del passato. Di questa intenzione rimangono 23 brani biografici, dei veri e propri "medaglioni" letterari di personaggi romani, da Romulus a Cato senior; dodici dell'Antico Testamento, da Adamo a Mosè; due mitologici: Giaso e Ercole.
Incompiuti sono anche i Libri di cose da ricordare (Rerum memorandarum libri, 1343-5) in cui Petrarca intendeva illustrare, attraverso una vasta compilazione di aneddoti storici, esempi di virtù e di relativi vizi.
Scarso interesse per noi ha il Breve itinerario da Genova a Gerusalemme e verso la terra santa (Itinerarium breve de Ianua ad Ierusalem et terram sanctam, 1358), una specie di guida archeologico- geografica scritta su invito di Giovanni di Mandello che si recava in Palestina (la "terra santa" dei cattolici).
A sentimenti più personali rispondono i trattati che Petrarca scrisse per esaltare la vita ritirata e solitaria trascorsa negli studi e nella meditazione. La vita solitaria (De vita solitaria, 1346) è in due libri, di otto e 15 capitoli. Vi esalta la solitudine del letterato, appartato con i suoi libri dalla folla e in intima comunione con la natura, e quella religiosa dell'asceta.
Più convenzionale è L'otium religioso (De otio religioso, 1347) dedicato al fratello Gherardo e ai frati certosini di Montrieux.
Ispirati da un alto fervore religioso sono i Salmi penitenziali (Psalmi poenitentiales, 1348): sette brevi preghiere e confessioni in versetti prosastici.
I Rimedi contro entrambi i tipi di fortuna (De remediis utriusque fortunae, 1354-66) consta di due parti dialogate da maschere allegoriche che esortano, indicandone i rimedi su concezioni stoiche senechiane e ciceroniane, a resistere alle avversità e alle lusinghe della fortuna.
Il segreto conflitto dei miei pensieri (De secreto conflictu curarum mearum) è il testamento spirituale di Petrarca Con "pensieri" si traduce qualcosa di complesso: "cura" è un po' il mondo degli affetti e degli interessi, ciò che è intimo e che ci appartiene, che attiene alla nostra responsabilità e competenza: si tratta anche di ciò che si fa (per Petrarca la scrittura, l'opera). Non era destinato alla diffusione. L'opera fu stesa nel 1342-3, poi ritoccata a Milano nel 1353-58. Si tratta di tre libri, corrispondenti ciascuno alle tre giornate di discussione che il poeta immagina di sostenere con Augustinus, il santo cattolico-cristiano, alla presenza muta di una figura di donna, la Verità. Il colloquio è una "spietata confessione e una appassionata difesa della propria complessità" [1]. Sono svolti i temi più cari alla sensibilità petrarchesca: la meditazione cristiana della morte, il sentimento di colpa e di accidia, il conflitto tra le energie spirituali e la seduzione dei beni mondani, lo scorrere del tempo, la caducità delle cose umane, le passioni. E' "la biografia di una crisi spirituale mai risolta" [1], che trova nelle pagine elaborate di questa "prosa dolente", un'alta e suggestiva pace.

Note:
[1] La Nuova Enciclopedia della letteratura Garzanti. - Milano : Garzanti, 1987. - pp. 734-35.

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