Petrus Abelardus

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Petrus Abelardus

Nato a Pallet [Nantes] nel 1079, fu allievo di Roscellinus e di Willelmus da Champeaux. Insegnò a Melun e a Corbeil. Nel 1114 si stabilì a Paris come maestro di dialettica nella scuola cattedrale. Legatosi sentimentalmente a una allieva di grande intelligenza e bellezza, Eloisa, che divenne segretamente sua moglie nel 1119-20, fu perseguitato dallo zio di lei, Fulbertus, che lo fece evirare. Con la tragica conclusione della vicenda, si fece monaco. Nel convento di Saint-Marcel [Châ lon-sur-Sâ one], dove morì nel 1142, fu ospite di Petrus Venerabilis . Secondo quanto si tramanda, le sue spoglie furono donate al monastero in cui si era rinchiusa Eloisa, che morirà una ventina di anni dopo.
Avversato da Bernardus da Clairvaux e da molti teologi del suo tempo, che lo fecero condannare nei concili di Soissons (1121) e di Sens (1141), è considerato l'iniziatore della logica occidentale medievale. Il suo influsso e presente in tutta la teologia sistematica scolastica. Numerosi i suoi scritti di carattere filosofico-teologico (Dialectica; Logica ingredientibus; Sic et non; Introductio ad theologiam; Ethica seu liber Scito te ipsum; Dialogus inter Philosophum, Judeum et Christianum).
Tra essi il "Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano", scritto intorno al 1140, negli ultimi anni della sua vita, è una utopia tanto scandalosa da presentarsi nella forma del sogno: l'autore è chiamato a giudice dai tre sapienti. Ed è con la neutra qualifica di "filosofus" che è designato l'appartenente "alla tribù di Ismaele", cioè un musulmano. La discussione che oppone il cristiano agli interlocutori solo a tratti diventa polemica, ma ispirandosi sempre al rispetto reciproco delle idee, alla salvaguardia della libertà di pensare un proprio dio. Lo scritto di Abelardus appare come un'oasi nel delirio dogmatico e repressivo degli scrittori contemporanei e successivi. Lo schema della argomentazioni si attiene al rigore del metodo logico, ma si vivifica ad esempio nel lamento dell'ebreo sulla miseria della sua gente:
"La fornace del nostro soffrire non ha consumato tutte le macchie dei nostri peccati. Siamo costretti a mettere la nostra vita nelle mani dei nostri nemici. Sappiamo quanto desiderino ucciderci, perché così sarà più facile fare bottino di tutto ciò che possediamo [...]"
Di grande interesse la breve autobiografia Storia delle mie disgrazie (Historia calamitatum mearum), e il fitto carteggio scambiato con Eloisa rinchiusasi in convento, ricco di implicazioni culturali religiose e etiche.
Scrisse anche poesie d'amore, andate perdute. E altri versi latini (Hymnarius Paraclitensis, Planctus, Carmen ad Astrolabium filium).

La fama di Abelardus resta legata intimamente alla storia del suo amore con Eloisa. Come tale è entrato come personaggio letterario, allo stesso livello di Tristan e Isotta oppure di Giulietta e Romeo, nell'immaginario culturale europeo e poi occidentale. Una storia scandalosa, come tale messa in dubbio nella sua autenticità più volte, ma sempre riaffermata da altrettanti lettori e studiosi. L'epistolario, che non sappiamo dunque se veramente au- tentico, rievoca quell'amore, quando ormai il più delle cose si è verificato.
La storia-favola inizia nel 1117. Eloisa ha 16 anni, il suo maestro ne ha 40. Abelardus confesserà più tardi che «bruciava di passione», mentre lei si sentiva «più desiderata che veramente amata». Paris allora è una città in espansione, e gli studenti cantavano per le strade le canzoni d'amore composte dal loro maestro Abelardus, «soavi per parole, dolci per la loro musica e le donne sospiravano». Anni dopo, vecchio e malandato, Abelardus ricorderà: «Abbiamo attraversato tutte le fasi dell'amore e se in amore si può inventare qualcosa lo abbiamo inventato [...]. Aprivamo i libri ma si parlava più d'amore che di filosofia». Entrambi appartenevano a uno stesso ceto sociale e intellettuale, dietro il loro amore non c'è nessuna motivazione sociale. Il loro amore è quello descritto da "De amicitia" di Cicero, nato dal riconoscimento della virtù dell'altro. I due si amavano con spavalderia di fronte alla città, senza complessi di colpa, ma senza 'discretio'. Abelardus trascura la scuola, fa lezione senza impegno. La consapevolezza dello scandalo inevitabile li rende insensibili allo stesso scandalo, e la stessa colpa diventa trascurabile di fronte alla dolcezza del piacere. Eloisa aspetta un bambino, e invece di paura dimostra solo gioia. Abelardus la rapisce, la porta in Bretagna presso una sorella. L'offerta di un matrimonio riparatore non placa la famiglia di lei. Il tutore di Eloisa fa sorprendere Abelardus nel sonno e i sicari lo evirano. I due sono divisi per sempre: «più per vergogna che per vera vocazione» cerca rifugio nell'abazia di Saint-Denis. Lei prende, per ordine dell'amato, il velo dell'Argenteuil. Gli anni passano, la vecchiaia: i due rievocano quel loro amore attraverso lo scambio epistolare. Una storia divenuta esemplare già pochi anni dopo la morte di Abelardus, una tragica storia in bilico tra commozione e malinconica elegia.

Della morte di Abelardus, con una lettera che è un capolavoro di delicatezza e umanità, ne diede notizia a Eloisa, nel 1142, Petrus Venerabilis .

Bibliografia: Petrus Abelardus

Dialectica
Logica ingredientibus
Sic et non
Introductio ad theologiam
Ethica seu liber Scito te ipsum
Dialogus inter Philosophum, Judeum et Christianum
Historia calamitatum mearum
Hymnarius Paraclitensis
Planctus
Carmen ad Astrolabium filium

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