Ebrei

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Ebrei

Dal 1200 (-) fino all'assoggettamento a Roma e ai fatti di Masada, nelle regioni della Palestina sorsero dal substrato popolare vari generi letterari, riflettenti condizioni di vita e interessi diversi. Una svolta decisiva si ebbe con la perdita dell'indipendenza politica, prima dell'epoca di Nabucodonosor (587-), e poi sotto Titus e Vespasianus (70+). Le vicissitudini storiche portarono a variazioni anche linguistiche: dall'ebraico antico e classico si passò a una lingua meno forbita, all'ebraico seriore dei libri biblici più recenti, e infine all'ebraico mishnico.
Le produzioni letterarie dei popoli ebraici furono raccolte in un unico testo, I Libri (Biblìa, il titolo è greco) per eccellenza, con valore religioso primo che politico e nazionalista. Il testo, sacro in quanto voce del dio unico, che si rivolge non a tutti gli uomini, ma a un popolo in particolare, considerato "eletto", cioè superiore agli altri. Operazione di compattamento nazionalistico, compiuto in epoca di accentramento politico e religioso, il testo unico servì da punto di riferimento innanzitutto per la costruzione di una ideologia comune per le varie tribù e popolazioni ebraiche: in questo modo tutte le storie precedenti che hanno coinvolto via via nei secoli le popolazioni ebraiche viene ricostruita come storia unica, come "La storia" del "Popolo ebraico"; in cui il dio-unico ha un ruolo direttivo determinante; mentre nel testo il fedele cioè l'appartenente alla comunità ebraica, può trovare non solo la propria storia e il proprio passato, ma anche le regole di comportamento quotidiano e il proprio dovere, in qualunque parte del mondo si trovi.
La sua struttura letteraria è complessa, non solo per la varietà dei contenuti ma soprattutto per la durata e la modalità della sua fissazione scritta, la pluralità di lingue culture e letterature che vi sono rappresentate.
I cristiani cattolici usano il nome di "Bibbia" come sinonimo di "Vecchio Testamento". Con ciò si riferiscono a un complesso di testi prodotti in ambiente ebraico e risalenti a prima della nascita del loro profeta Yeshua (Jesus Christus, in latino): "Nuovo Testamento" è per essi il complesso di scritture prodotte con la predicazione di Yeshua (non oltre il 100+).
Per gli ebrei Bibbia, libro sacro, sono i libri ebraici e aramaici dell'Antico Testamento, costituenti la "Lettura" (Migrà) o "Tanakh" (dalle iniziali t,n,k dei titoli ebraici delle tre sezioni). La "Lettura" è divisa in tre parti: "Legge" (Torah), "Profeti" (Nevi'im), "Agiografi" (Ketuvim).
I cattolici invece aggiungono "I deuterocanonici", libri inseriti più tardi nel canone e scritti o conservati solo in greco, non riconosciuti come sacri da ebrei e da protestanti. I primi cinque libri sono detti dai cattolici "Pentateuco".

Schema: Divisione libri biblici


"Torah", in cinque libri. Genesi narra la creazione, il peccato di Adamo e Eva, diluvio, la chiamata di Abramo da parte del dio, la storia della sua famiglia-tribù fino all'emigrazione di Giuseppe in Egitto. Esodo narra l'intervento divino in favore degli ebrei oppressi in Egitto, le dieci "piaghe", la prima pasqua, il passaggio del mar Rosso sotto la guida di Mosè . Levitico e Numeri contengono rituali per sacrifici, norme di purità, episodi della vita di Israele nel deserto, gli elenchi delle tribù e delle famiglie. Deuteronomio (posteriore nella stesura definitiva ai libri dei profeti) riprende le leggi trattate, sviluppa in senso etico la teologia dell'alleanza sacra tra dio e "popolo eletto", basandola sulla fedeltà del popolo. Si conclude con la morte di Mosè.
Seguono i libri storici (secondo l'uso ebraico: "Profeti Anteriori"): Giosuè narra le imprese di Giosuè successore di Mosè, l'ingresso nella "terra promessa" dal dio. Giudici copre l'epoca che prende appunto il nome da loro, soffermandosi in particolare su personaggi come Sansone e Debora. I due libri di Samuele e i due libri dei Re dicono della monarchia di Saul, David e Salomone, fino alla divisione dei regni, la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte di Nabucodonosor (586-). I due libri di Cronache (o Paralipomeni) riprendono più tardi le cronache dei re integrandole con altre tradizioni. Esdra e il secondo libro di "Esdra" (Esdra II, o Neemia) riferiscono gli avvenimenti posteriori all'editto di Ciro (538-) che restituiva la libertà agli ebrei di babilonia, il loro ritorno, la ricostruzione del Tempio, il ritorno all'osservanza legale.
Parziale contenuto storico hanno due libri (appartenenti alla sezione degli Agiografi) ambientati tra gli ebrei di Babilonia: Ester e Daniele; e il piccolo libro di Ruth che racconta la fedeltà della vedova Ruth alla suocera Noemi e il suo matrimonio con Booz da cui è fatto discendere David (per i teologi cattolici, da questa linea genealogica sarebbe nato Yeshua).
I "Profeti Posteriori" (denominazione ebraica) si dividono in base alla semplice estensione dei loro scritti in "maggiori" e "minori". I profeti sono i protagonisti principali, ma non i soli, della predicazione etica e religiosa durata oltre cinque secoli, da Elia e Eliseo (IX secolo -) a Isaia 1-39 e Amos (VIII secolo -) a Malachia (V secolo -), mirante a inculcare nel popolo una religione interiore, a difendere il monoteismo e lo spirito dell'alleanza, a annunciare avvenimenti futuri.
La sezione degli "Agiografi" comprende libri sapienziali (Proverbi, Qohelet) e libri poetici (Salmi, Giobbe, Cantico dei cantici, Lamentazioni).

La religione di Israele si è venuta formando attraverso un progressivo affinamento dei suoi concetti teologici e morali, dalla monolatria al monoteismo, dalla responsabilità collettiva all'interiorità profetica, dall'ideale della terra promessa all'attesa escatologica e al messianesimo. I libri biblici si sono stratificati di riletture e sviluppi. E' una secolare evoluzione, in cui è possibile trovare idee e pratiche morali superate dalla religiosità successiva. Vi sono elementi unificanti, o almeno tali alla nostra lettura, tenendo presente che i testi biblici non hanno carattere speculativo o sistematico (per intenderci, in senso greco-aristotelico):
L'importanza della Bibbia nella storia culturale del mondo non si restringe al fatto di essere il testo religioso per eccellenza per un popolo (quello ebraico) e una religione; gli ebrei, spinti dalle vicende dell'esodo in varie parti del mondo, hanno sempre costituito una importante comunità culturale, centri di cultura e di alfabetizzazione in regioni spesso poco alfabetizzate. Il testo, in vario modo reinterpretato, è stato adottato come testo religioso dai cristiani, a influire in maniera determinante spesso, con i suoi miti, le sue allegorie e interpretazioni, sulla storia della cultura in europa e nelle americhe; mentre è servito da input per l'islam, influenzando così le regioni in cui è avvenuta l'espansione di quest'altra grande religione e civiltà.
La Bibbia è un testo composito, variamente stratificato e intrecciato, in cui sono presenti vari generi letterari.
Tra i tipi letterari in prosa, vi sono detti, sermoni, preghiere. Fin dai primordi erano apprezzate le persone dalla dizione elegante e chiara, specie nelle relazioni sociali e politiche. Ci sono così tramandati testi attribuiti a grandi personalità, come i discorsi di addio e/o testamenti: per esempio quelli di Giosuè, Samuele, David, Mattatia. Allo stesso genere appartengono i monologhi e i dialoghi che si leggono nei libri profetici. Più numerosi (ovviamente) i detti a carattere religioso, cioè i sermoni, specie nella letteratura profetica: opera classica in questo genere è il Deuteronomio. Sebbene per la sua solennità fosse preferita in genere la forma ritmica, si hanno anche preghiere in prosa: così nei libri di Ester (testo greco), di Giuditta, dei Re, delle Cronache, dell'Esodo e dei Numeri (preghiere di Mosè), di Daniele.

Mentre dai popoli dell'antico oriente ci è giunto ogni genere di memorie (iscrizioni, monumenti, descrizioni di campagne belliche e di vittorie, lapidi votive ecc.), di tutto ciò non si ha quasi nulla nella letteratura ebraica. Le uniche descrizioni riguardano il tempio di Salomone e gli edifici del palazzo a esso annessi. Esistono invece editti regi e proclami babilonesi e persiani, riportati nella B. più o meno integralmente in ebraico o aramaico. I contratti e i trattati, così ben documentati tra i popoli vicini, sono indicati soltanto nelle linee essenziali, e senza formule letterarie: unica eccezione è nel I libro dei Maccabei. Ampia è invece la documentazione di un tema letterario singolare, il patto tra dio e la comunità delle 12 tribù ebraiche: se ne tramandano i riti, le formule, gli obblighi, le promesse e le minacce. Rappresentato bene anche il genere epistolare: la lettera più antica e famosa è quella infausta con cui David ordina al capo dell'esercito di far morire in guerra Uria, marito di Betsabea, della quale il re si era invaghito. Genere attestato e caratteristico è quello delle liste genealogiche, di luoghi, di confini, di doni sacri ecc.: quanto in esse di oggettivo o di esercitazione letteraria vi sia, è difficile dire. Molti i codici e le raccolte di leggi, sia in prosa che in forma ritmica: i primi hanno configurazione casuistica e rilevano notevoli contatti con i popoli vicini; i secondi hanno forma apodittica, e sono caratteristici della legislazione ebraica. Una caratteristica è che questi codici sono presentati come affidati direttamente dal dio unico a Mosè sul monte Sinai o nelle sue vicinanze.
Nella narrativa si distinguono due filoni, uno più poetico e immaginativo, l'altro più aderente alla realtà concreta. Del primo fanno parte narrazioni bibliche mitologiche, racconti favolosi, aneddoti, leggende, saghe. Nelle narrazioni mitologiche il mito è epurato di ogni carattere non compatibile con la monolatria e il monoteismo. Tra i racconti popolari e favolosi spiccano le prodezze di Sansone, storie di animali come l'asina di Balaam o il corvo di Elia ecc. Molte saghe si riferiscono a personaggi delle origini delle tribù , mentre mancano saghe su eroi e condottieri. Molte leggende intendono spiegare l'origine del culto o di certi riti in luoghi particolari.

Dal libro biblico di Ester, la tradizione ebraica ha poi tratto i "purimspiel", le rappresentazioni teatrale che si tenevano in occasione del "purim", la festa carnevalesca ebraica. Il libro di Ester è l'unico testo del canone ebraico in cui non compare nemmeno una volta il nome (innominabile) di dio. Ci sono invece tutti gli ingredienti atti a tenere il lettore o lo spettatore con il fiato sospeso, a sorprenderlo con inattesi rivolgimenti di sorte, a accattivarlo con un'ampia gamma di personaggi ben definiti. La cornice storica, ma soprattutto fantastica, è la vicenda della regina Ester, del perfido Aman, del volubile Assuero, del devoto Mardocheo. Aman è il fidato consigliere del volubile Re che da un attimo all'altro diventa degno di essere messo al patibolo, a causa di un equivoco: Aman si prostra davanti alla regina Ester «a supplicare per la sua vita», il Re entra nella sala del banchetto del vino proprio in quel momento e interpreta male: «Si farebbe anche violenza alla Regina davanti a me, nel palazzo?». Ester è l'ebrea che nasconde la propria identità per farsi strada nel cuore e nel palazzo del Re. Alla fine si svela, nell'atto di salvare con le parole e con la bellezza, il proprio popolo.
La narrativa in prosa è interessata prevalentemente alla storia della nazione. Non manca una componente oleografica, ma i dati fondamentali sono quelli religiosi e l'oggettività, con notizie e giudizi anche negativi su condottieri re sacerdoti.
In netta contrapposizione ai popoli vicini, mancano memorie o testi paragonabili alle iscrizioni reali, storiche e dedicatorie così comuni nelle letterature della'antico Medioriente.
Generi di alto rilievo sono la poesia (Salmi, Giobbe), il genere sapienziale (Proverbi, Ecclesiaste), e la letteratura profetica (Isaia, Geremia, Ezechiele).
Dal punto di vista stilistico il pensiero degli autori biblici si è variamente incarnato, a seconda dei tempi e dell'indole: la prosa narrativo-storica, mitico-simbolica, le formule fisse dei codici rituali e legali, le raccolte gnomiche, le favole e parabole, la poesia dei salmi e dei profeti. La poesia biblica è governata da norme stilistiche e prosodiche precise: il linguaggio, l'uso di versi con numero fisso di accenti principali e spesso combinati in strofe, il parallelismo o "rima concettuale".

Letterariamente le parti più antiche hanno affinità e dipendono dalle letterature dell'antico oriente. Nelle parti post-esiliche vi sono contatti con il pensiero iranico. La lingua ebraica vi manifesta una lunga evoluzione, dagli antichissimi resti poetici inseriti nei libri storici (es. Cantico di Debora, in: Giudici 5), alla prosa classica dei libri di Samuele, alle forme molto più tarde di Ecclesiaste, Esdra, Ester. Compare anche la lingua parlata dopo l'esilio, l'aramaico (Esdra, Daniele) e del greco (Deuterocanonici).

Traduzioni della Bibbia

Le più famose traduzioni furono: quella greca (Bibbia dei Settanta, III secolo -), quella latina opera in gran parte di Ierolamus ("Vulgata", 383\405+), la siriaca ("Peshitta", II\V secolo +). E' il gruppo di traduzioni nate e diffuse per motivi religiosi, e che ebbero una enorme influenza culturale, permettendo l'adattamento della spiritualità elaborata dagli ebrei alla spiritualità mediterranea di latini e greci. Accanto alle traduzioni, i commenti: tra i più antichi che si siano trovati, il "Commento a Abacuc" ritrovato in parte tra i manoscritti del mar Morto, risalente al periodo pre-cristiano. Ebrei e cristiani hanno coltivato con enorme fervore il commento ai loro testi sacri: famosi i commenti di rabbi Shelomoh ben Jizohaq di Troyes (1040\1105+), e dei cristiani Origenes, Augustinus, Ierolamus, Tommasus.
Un nuovo impulso alla traduzione e allo studio dei testi si ha con l'umanesimo prima e soprattutto con la "riforma", cioè la divisione dei cristiani in cattolici e protestanti, questi ultimi interessati a una diffusione dei testi nelle lingue regionali. Si hanno così la versione tedesca di Luther (1534+), quella inglese ("Authorized version" o "Bibbia di re Giacomo", 1611), e le traduzioni nelle lingue slave e germaniche. Anche in questa fase si ha un nuovo impulso al commento: Luther, Calvino, Bossuet ecc.
Una terza fase è data dalle traduzioni moderne, che rispondono alle esigenze imposte dall'enorme progresso delle scienze bibliche, filologiche e da una nuova sensibilità religiosa. Le più note sono la cattolica "Bibbia di Gerusalemme" (Bible de Jérusalem, 1955+), la protestante "Nuova Bibbia inglese" (New English Bible, 1970+).

Libri della "Bibbia"

I Salmi sono un libro a carattere poetico. Il nome deriva dal greco psalmòs, e indica il suono di uno strumento ma corde (il salterio) e il canto religioso che si accompagnava allo stesso strumento. Di qui anche l'uso dell'altro titolo, di "Salterio".
Nella forma attuale, risale al III secolo (-), e rappresenta il termine di un lungo processo letterario, compiuto da diversi autori e redattori in un arco di molti secoli. Nella versione greca dei Settanta e nella Vulgata, la numerazione è leggermente diversa da quella ebraica. Si tratta comunque di 150 salmi, giunti divisi in cinque libretti, forse per imitazione dei cinque volumi in cui è divisa la Legge mosaica (Pentateuco). Sono presenti anche altri tipi di classificazione: "salmi graduali" o "delle ascensioni" (120-134) cioè dei pellegrinaggi a Gerusalemme; l'"hallel egiziano" (113-118) recitato nella festa pasquale; il "grande hallel" è il salmo 136; i sette "salmi penitenziali" (6, 32, 38, 51, 102, 130, 143).

Dal punto di vista dei generi letterari, lo si divide di solito in salmi: regi, inni, salmi di intronizzazione, lamentazioni (individuali o collettive), di ringraziamento, maledizioni (o salmi imprecatori), benedizioni. I cosiddetti "salmi messianici" sono dei salmi che l'esegesi cristiana e rabbinica interpreta in senso messianico, riferentesi al re-messia, anche se rientrano nelle categorie precedenti (si veda in particolare i salmi 2, 72, 110).
A seconda del genere letterario cui appartengono, i salmi seguono uno schema compositivo definito, cui corrisponde di solito una metrica specifica, basata su una successione regolare di accenti in versi di due o tre stichi. Uno dei procedimenti più caratteristici di questa struttura è il parallelismo (sinonimico, antitetico, di sviluppo). Frequente è la forma responsoriale con l'uso di ritornelli.

Salmi alfabetici, o acrostici, sono denominati quelli in cui ogni verso o strofa inizia con una lettera secondo l'ordine alfabetico ebraico. Un esempio, celebre, è il lunghissimo salmo 119. Centosedici salmi sono preceduti da titoli con l'indicazione del presunto autore, delle circostanze di composizione, degli strumenti che ne accompagnavano il canto, dell'aria su cui intonarlo, della destinazione liturgica. L'interpretazione di questi titoli non è sempre sicura. Non tutti i salmi attribuiti a David (3-41, 51-72) possono risalire a lui, ma si pensa che un nucleo davidico esistette, e che ci è giunto anche se con ritocchi e aggiunte posteriori, ciò che rende arduo individuare i salmi autentici.
I salmi hanno carattere essenzialmente liturgico, la maggior parte di essi furono composti per il culto del tempio, dove erano cantati da leviti specializzati.
Il libro dei Salmi è il più popolare e il più letto della Bibbia. Da oltre 25 secoli non è mai cessata la recita quotidiana dei salmi nel culto pubblico e privato, sia ebraico che cristiano. Una centralità religiosa, dovuta non solo al suo valore letterario, ma anche al profondo senso umano divino e cosmico che possiede. Vi si riflettono tutti gli stati d'animo dell'uomo credente, le vicissitudini e le aspirazioni dell'esistenza, i sentimenti dell'uomo verso sé stesso, verso la comunità, verso gli altri (amici e nemici), verso il creato, verso dio: il dolore, l'angoscia, la solitudine, la persecuzione, la malattia, il timore della morte, la gioia e la festa.
Così il salmo 51 (che appartiene ai cosiddetti "salmi penitenziali"), un miserere, che esprime l'angoscia e la drammaticità dell'esistenza, in una condizione segnata dalla finitudine e dalla colpa, sfigurata dal male subì to e da quello che continuamente commettiamo: "nel peccato sono stato generato | e nella trasgressione mi ha concepito | mia madre". E' il dolore dell'uomo che si trasforma in parola. Anche questo salmo può essere emblematico dell'influenza sulla cultura occidentale, a tutti i livelli. Si pensi solo alla versione che si trova nel Salterio ugonotto, su cui lavorò un poeta come Clement Marot nel XVI secolo.

Il corpus dei libri biblici ha avuto una vasta influenza nella storia culturale europea. Nel periodo della crisi successiva al crollo dell'Impero romano occidentale, l'influenza maggiore fu esercitata, nel lungo periodo, dalla chiesa cattolica e dall'organizzazione via via sempre più capillare e strutturata dei vari ordini religiosi cristiani. In occidente i cattolici estesero l'influenza dei libri biblici, mentre nei paesi dell'est europeo questo compito toccò alla chiesa bizantina. In questa doppia espansione, non lineare e variegata per caratteristiche e per tempi e modi, un ruolo non secondario ebbero le comunità ebraiche disseminate in europa a seguito delle varie persecuzioni cui furono sottoposte. Tre fonti d'influenza dunque, che ebbero ripercussioni su vaste masse di popolazioni. Il corpus biblico non era solo un corpus di testi che riguardavano solo il campo religioso o dell'interiorità, ma investivano il destino della comunità e di quello dei singoli, nel futuro temporale e nell'oltremondo. Un'influenza sul piano della precettistica e del comportamento quotidiano, dell'etica, della spiritualità; e in campo scientifico e sapienziale in genere. Al corpus dei testi biblici si ricorreva anche come archivio di conoscenze pratiche e giuridiche. E' chiaro che nelle varie comunità e nei vari popoli, oltre che a seconda delle epoche, si trattò di un'influenza più o meno estesa nei vari campi. E' indicativo ad esempio che a un certo punto della storia culturale europea l'influenza dei testi biblici abbia avuto un'interruzione o un regresso in alcuni campi di punta come quello scientifico, e quello della produzione storiografica. E' rimasto celebre, a segnare uno spartiacque culturale, il processo fatto a Galilei da parte della chiesa cattolico-romana: contro il nuovo pragmatismo scientifico, il dogma della fede impone la condanna come eresia della ricerca scientifica. Ciò che nei fatti bloccò il progresso scientifico in alcune aree europee, destinando risorse e energie nella repressione e nella persecuzione degli "eretici".
Nella storia culturale europea a influire nel lungo periodo non c'è stato solo quello proveniente dalla cultura biblica. Ciò che ha fatto della cultura europea e occidentale qualcosa di più complesso ed efficiente è stata l'apporto proveniente dalla cultura greca, e poi da quella arabo-greca. La filologia del XV secolo è figlia del filone culturale greco e arabo-greco; da essa sono derivati da una parte la storiografia e lo studio non moralistico della realtà, dall'altra la ricerca scientifica sperimentale.
Indicativo ad esempio il discorso sulla storiografia. I testi biblici posseggono una valenza storiografica. Una storiografia che non è semplice cronaca di re o di singoli eroi: come per i greci, si tratta di "cronaca di una comunità politica" (*A. Momigliano); ed è interessante notare come in entrambi i casi si tratti di un modo di fare storia che nasce da una lotta contro un nemico identico (i persiani). Un tipo di storiografia passata poi al cristianesimo. Ad un certo punto però presso le comunità ebraiche si blocca il processo di produzione testuale, si smette di fare storiografia. Presso i cristiani invece la produzione continua, pur con le difficoltà connesse alla crisi sociale successiva al crollo dell'impero e alle invasioni. Avviene lungo un doppio filone, di derivazione biblica e di derivazione storiografica romano-latina, cioè greca. A partire dal XV secolo il filone greco-latino diverrà dominante. E' chiaro che ciò sta a significare un diverso uso e diverse finalità. La storiografia greca, sviluppatasi con Tukhudides e Herodotos nell'ambiente della democrazia del V secolo (-), era una visione lineare e non determinata dalla profezia; la storia non si occupava del futuro. A differenza degli ebrei, i greci non ebbero il problema di limitare l'interesse storiografico agli eventi racchiusi nei testi sacri: ciò spiega le diversità tra le due culture, e il fatto che all'interno della cultura ebraica si perse l'interesse storiografico: solo nel XVI secolo all'interno delle comunità ebraiche questo interesse riemerse, ma grazie agli ebrei italiani, che vivevano a contatto con la nuova cultura occidentale. Il dio degli ebrei era il dio della verità; gli dèi dei greci no, agli uomini era consentito ricercare questa verità nella libertà. Gli ebrei post-biblici pensavano di avere realmente nella Bibbia tutta la storia che li riguardava, e che riguardava il mondo in quanto erano essi il popolo eletto dal dio unico; tutti gli altri eventi non avevano importanza. L'interesse per la Legge (la Torah) uccise qualsiasi altro tipo di interesse. Nel XVI secolo il ritorno alla storia da parte degli intellettuali ebrei o di origine ebraica, avviene all'insegna dell'intervento dell'influenza greco-occidentale. Spinoza, così importante per la storiografia occidentale, èda questo punto di vista indicativo. Spinoza tornò ai princìpi fondamentali della ricerca storica greca trattando la storia biblica come storia ordinaria. E, al di là del metodo, ciò che importante e decisivo fu: l'atteggiamento di libertà e di critica nella ricerca.


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