Babilonesi

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Babilonesi

Dell'insieme delle letterature di Babilonesi e Assiri, sviluppatesi in oltre 2 mila anni, sappiamo grazie ai ritrovamenti archeologici in modo consistente, anche se pur sempre parziale.
Con Hammurapi (o Hammurabi) fondatore della prima dinastia babilonese (c.1728/1686-) inizia un periodo di estremo fervore culturale. Testi religiosi, giuridici ma anche epici e religiosi. Molto importante la leggenda di Sargon I, trovatello che diventa re.
Poema sulla creazione è Enuma elish (Quanto in alto), antologia di testi e tradizioni precedenti tendenti a esaltare il dio Marduk. Il titolo deriva dalle parole iniziali del poema, noto anche come "poema della creazione". Fu redatto a Babilonia forse al tempo di Hammurapi, non si sa se sulla base di precedenti modelli sumerici. Veniva recitato a Babilonia il quarto giorno della festa di capodanno.
Di interesse giuridico ma anche poetico è il cosiddetto Codice di Hammurabi, raccolta di norme e di diritto, e molto bello nella sua introduzione e nell'inno finale. Esso, risalente al XVIII secolo (-) fu inciso in 51 colonne su una stele di diorite, scoperta a Susa nel 1901-2 (+). Si conserva oggi al museo del Louvre [Paris]. Oltre al prologo e all'epilogo celebrativi del sovrano sono 282 articoli riguardanti vari aspetti del diritto civile penale e commerciale. Scritto in un babilonese molto elaborato, rimase per secoli modello classico di lingua letteraria.

In età cassita (1520/1160 (-) circa) la massima espansione culturale ma anche la fissazione di tutta la tradizione in canone che uniforma i testi ma ne assicura una trasmissione "corretta", sterilizzando però la produzione di nuovi testi. I testi religiosi sono suddivisi in base alla destinazione d'uso (inni, lamentazioni, scongiuri, preghiere per i vari tipi di sacrifici ecc.).
Sono sistemati gli antichi racconti mitologici, tra cui quello che riguarda il più celebre "eroe", Gilgamesh, il cui protagonista è mosso dal desiderio di conoscere il mistero della vita e della morte (L'epopea di Gilgamesh).
Forse a quest'epoca di ri-sistemazione risale anche il cosiddetto Poema di Erra. Esso ci è giunto in frammenti di redazioni diverse (forse non anteriori al -IX secolo). Autore di questo poema è Kabti-i-lani-Marduk: secondo alcuni studiosi potrebbe essere stato un sacerdote dello stesso Erra (o Irra). Il poema narra le terribili gesta di questo dio della peste, e fu scritto forse con lo scopo di risvegliare il timore e la devozione verso questo dio.

Il periodo successivo è coevo all'espansione greca e connesso allo sviluppo assiro.


Dei testi letterari e connessi alla mitologia di queste civiltà non potremmo certamente avere notizia se in varie epoche non avessero essi stessi o i loro discendenti provveduto a: 1) ideare un sistema di scrittura, cioè di conservazione della memoria; e 2) conservare questi loro testi in biblioteche e raccolte archivistiche, archivi poi dimenticati e per questo stesso fatto salvati alle distruzioni umane successive. Archivi ritrovati, e che la pazienza dei decifratori ha permesso e permette di tornare a leggere, pur tra tante difficoltà e dispersioni.
La presenza di archivi significa che non solo in quelle epoche si provvide a elaborare sistemi di scrittura (con relativi dizionari nelle varie lingue), ma si studiarono sistemi e regole biblioteconomiche. Nella biblioteca-archivio rinvenuto nell'area adiacente al tempio del dio del sole Shamash, a Sippar [Irak], nel 1988, nel periodo corrispondente all'incirca al regno di Nabucodonor II, nel primo scaffale di questa biblioteca era una tavoletta incisa con l'incipit, la prima riga iniziale dei testi (letterari, ma anche non letterari) lì conservati. Altro sistema che si trova a Sippar, ma anche in altri archivi di area mesopotanica, è quello del colofon: la parte finale della tavoletta, staccata dal testo, in cui lo scriba raccoglieva per sé stesso e per gli altri scribi una serie di informazioni (per noi oggi importantissime): indicazioni sul testo che aveva copiato, se fosse parte di una serie, di quale parte si trattasse ecc.; del luogo da cui era generato il testo; del luogo da dove era provenuto a lui la copia ecc.; in ultimo, la firma del copista, a volte con tutta la sequenza della discendenza, e l'informazione che la copia era stata vistata dal capo archivista.
L'opera degli scribi portò, nelle aree a continuità culturale maggiore, a forme avanzate di coscienza del problema della fedeltà filologica al testo originario. Spesso, nel copiare da tavolette rovinate o mutile, lo scriba si trovava nell'impossibilità di leggere una parola o una riga: in questo caso scriveva la parola "he-pi" che in accadico significa 'è rotto': è la prima indicazione di carattere filologico, prima dell'avvento dei colti filologi ellenistici.

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