Zero

Una recensione di Federico Repetto a "Zero. Perché la versione ufficiale dell’11/9 è un falso"

di Alberto Giovanni Biuso - sabato 10 maggio 2008 - 2945 letture

Pubblico questa interessante recensione di Federico Repetto. Per non essere complici del silenzio e del massacro.

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LA BUFALA DELLA COMMISSIONE SULL’11 SETTEMBRE

Ho visto il film, ma non ho letto il libro, capita spesso di dire, visto che vedere il film di solito è più facile e meno faticoso che leggere il libro. In questo caso il libro è più portata di mano, dato che le edizioni Piemme si trovano praticamente ovunque, mentre il film Zero. Inchiesta sull’11 settembre è introvabile. Eppure ha avuto un buon successo di pubblico e critica al festival di Roma. Peccato che, dopo, tutte le grandi case distributrici italiane si siano rifiutate di distribuirlo – anche se tra gli speaker, con Lella Costa, Moni Ovadia e Gore Vidal, c’è Dario Fo, che è un nome abbastanza noto...Evidentemente è un film che disturba. E purtroppo l’unico modo, per adesso, di vederlo è quello di consultare il sito Zerofilm, verificare se il film è programmato in un posto accessibile, se no cercare di organizzare una proiezione al proprio circolo, associazione o club – magari mandando un contributo a quelli dell’Associazione Zero che se lo sono pagato e che logicamente navigano nei debiti.

Ora parliamo del libro – più facile...Il tema affrontato da Chiesa e da altri quindici autori in Zero. Perché la versione ufficiale dell’11/9 è un falso, Piemme, Casale Monferrato, 2007, pp. 412, solleva ormai automaticamente l’obiezione preventiva: ma non si tratterà di “teoria della cospirazione”? Intanto, una visione cospirativa della storia in generale e una spiegazione di determinati eventi attraverso l’ipotesi di una cospirazione non sono la stessa cosa. La prima implica un metodo metafisico, che consiste nel mettere la nostra teoria al riparo da ogni possibilità di verifica con ipotesi ad hoc che rimandano sistematicamente ad intenzioni ed eventi segreti, per definizione inconoscibili direttamente. Dei sedici autori, a mio avviso, solo uno, Webster Griffin Tarpley, si può dire che abbia una visione cospirativa della storia, come si vede nel paragrafo su “La rete truffaldina dei banchieri anglo-americani”. Questo non significa che non valga la pena di leggere anche il suo saggio. Esso contiene informazioni significative sulle massicce esercitazioni antiterrorismo svoltesi l’11 settembre nei cieli del nord est degli Stati Uniti, che, realizzate con la partecipazione congiunta dell’Aviazione militare e di quella civile, simulavano dirottamenti multipli, confondendo i controllori di volo, i quali non riuscivano più a distinguere tra dirottamenti reali e simulati (il generale Jerry Arnold parla di 21 dirottamenti segnalati in quel momento – p. 221). Contemporaneamente i due terzi dei caccia della difesa aerea del Nord Ovest degli USA erano lontani per due megaesercitazioni e per missioni militari. Senza essere dei metafisici del complotto, viene da pensare che o i dirottatori erano stati così abili da avere sentore di questa coincidenza, o qualcuno nei servizi li aveva informati. Tarpley si spinge più in là e cerca indizi di un colpo di Stato strisciante da parte di ambienti dei servizi e dell’esercito per condizionare i poteri democratici. Li vede nell’ordine di isolamento dai civili delle basi militari vicine a Washington (fine agosto), nell’incontro “casuale” l’11 settembre nella mega-base nucleare strategica di Offutt tra il generale Brent Scowcroft (legato a Bush senior), il multimiliardario Warren Buffet (legato a Rupert Murdoch) e altri potenti uomini d’affari, in una misteriosa telefonata diretta a Bush (e riportata dal New York Times) sulla possibilità che l’Air Force One fosse colpito, e in altro ancora (per valutare eventi e ipotesi sarebbe indispensabile leggere l’opera precedente di Tarpley, 9/11 Sinthetic Terror: Made in Usa, 2005, di cui questa è il riassunto).

Tarpley documenta il fatto che già da qualche anno in America si facessero esercitazioni congiunte su possibili dirottamenti multipli, incendi e crolli di grattacieli, e specificamente su attacchi terroristici alle Torri Gemelle e al Pentagono (secondo lui, proprio i risultati di queste esercitazioni avrebbero fornito ai servizi deviati le risorse per permettere o per realizzare gli attentati veri). Ancora più sorprendente è il fatto che l’11 settembre fosse in corso anche una grandiosa esercitazione nucleare strategica, con simulazioni che coinvolgevano B52, missili di lunga gittata, sommergibili atomici e satelliti spia. Tarpley la interpreta come un possibile messaggio rivolto a russi e cinesi da parte del gruppo golpista.

Questo per quanto riguarda l’unico vero cospirazionista. Quanto alla spiegazione di eventi singoli con un complotto, non si vede quali difficoltà logiche comporti a priori, se risulta impossibile o quasi farlo in un altro modo. Provare a spiegare il comportamento degli apparati di uno Stato democratico in termini di cospirazione in effetti non è un problema metodologico, ma è un problema etico-politico – un problema di sfiducia proprio nella loro democraticità. Chi legga il libro dell’ex-vicepresidente Al Gore, L’assalto alla ragione. Un manifesto per la democrazia, pubblicato nel 2007 da Feltrinelli (recensito in “Fermalibro” di nuvole.it , n° 29) vi troverà un atto d’accusa contro il governo del proprio paese di una radicalità che in Italia troviamo solo in certi giornalisti non schierati, comici arrabbiati e intellettuali pessimisti, ma certo non in ex-membri del governo. A prendere sul serio Al Gore, che usa spesso l’aggettivo “totalitario” in riferimento alla politica di Bush, un complotto non sembra un’eventualità tanto remota.

Tornando a Zero, David Ray Griffin nel suo contributo non mostra alcuna fiducia nella Commissione parlamentare di inchiesta, ma questa sfiducia ha precise motivazioni. Per lui, essa ha ignorato bellamente le accuse più gravi all’amministrazione Bush e all’esercito, e non ha voluto convocare i testimoni scottanti - o alla peggio non ne ha incluso la testimonianza nella relazione finale. Ray Griffin attribuisce la responsabilità di questo comportamento elusivo della commissione in particolare al suo segretario Zelikow, che appartiene al gruppo neoconservatore del PNAC (Projet for a New American Century), per cui si può dire che l’insabbiamento dell’indagine non è frutto di un’azione occasionale, ma di un disegno cospirativo.

Naturalmente, se si lascia da parte la ricorrente obiezione di “cospirativismo” metafisico, diventata un luogo comune mediale, resta un’obiezione di buon senso: per quanto grande sia la sfiducia negli apparati segreti dello Stato, o eventualmente anche nel presidente e in altri esponenti democraticamente eletti, come si può pensare che i cospiratori sperassero che non venisse alla luce il loro complotto (il complotto per l’attentato terroristico, naturalmente, perché di golpe strisciante parla solo Tarpley)? La risposta che si ricava dalla lettura dei diversi autori è articolata: il sistema mediale è da tempo dominato dal conformismo e controllato e manipolato in gran parte dalle élite conservatrici (Claudio Fracassi), mentre una pesante campagna internazionale di diffamazione, di minacce e di ricatti è stata messa in opera contro i critici (Thierry Meyssan); l’intero sistema politico, sotto la pressione dei media e della Casa Bianca (che pratica in questo periodo la politica del fatto compiuto e usa toni quanto mai aggressivi) e sulla base di solidarietà bipartisan e di richiami al patriottismo, almeno per un certo tempo ha consegnato un assegno in bianco all’esecutivo (questo si è visto per esempio nel caso della scarsa resistenza all’incredibile montatura sull’Irak); la commissione di inchiesta, a causa della debolezza del parlamento, è stata egemonizzata dal segretario esecutivo Zelikow, collaboratore di Condoleeza Rice e coautore di testi strategici dei neocon, mentre gran parte dei commissari e dei tecnici prescelti si trovavano in una situazione di conflitto d’interessi (su questo vedi soprattutto Ray Griffin); la Casa Bianca ha ricorso in modo massiccio al segreto di Stato e i funzionari sono stati intimoriti dal rischio di perdere il posto e la pensione rivelando documenti secretati (Gore Vidal), e inoltre, a causa della parcellizzazione dei compiti e delle informazioni, la maggior parte dei coinvolti non sarebbero stati a conoscenza del senso complessivo dell’operazione, mentre i pochi che ne erano a conoscenza parlando avrebbero rischiato la pelle (Tarpley); infine il precedente della screditata commissione Warren sull’assassinio di Kennedy (ricordato da molti autori) e soprattutto l’influenza permanente dei servizi segreti e dei vertici del Pentagono e l’egemonia delle industrie belliche sulla società (Giulietto Chiesa) potevano ben giustificare la speranza dei cospiratori di farla franca. Del resto anche Al Gore, in Assalto alla ragione (Feltrinelli 2007, vedi recensione sul n°29 di Nuvole), dà un’immagine molto sinistra della società americana attuale, dell’amministrazione Bush e del complesso militare-industriale, e ripete più volte termini come “totalitario” e “assolutistico”. Si potrebbe dire che la principale differenza tra Al Gore e gli autori di Zero stia solo nel fidarsi della versione ufficiale della commissione d’inchiesta bipartisan invece che dei testimoni oculari e dei tecnici che la contestano. Se si prende sul serio il libro dell’ex-vicepresidente, non c’è poi molto da meravigliarsi scoprendo che Bush o i suoi consiglieri erano informati dell’attentato.

Tornando a Zero, oltre che per la puntuale contestazione dei risultati dell’inchiesta ufficiale e per la ricostruzione ipotetica degli eventi dell’11 settembre, il libro è interessante soprattutto per le analisi complessive delle tendenze belliche della politica estera degli USA in relazione con la loro situazione economica e di bilancio (Giulietto Chiesa e Enzo Modugno) e della storia dello spionaggio americano come padrino, insieme a quello pakistano e saudita, del fondamentalismo islamico (Jürgen Elsaßer, Michel Chossudovsky): dall’Afghanistan, alla Cecenia, alla Bosnia, al Kosovo, alla Macedonia – e nei Balcani la collaborazione tra Al Qaeda e i servizi americani era ancora in corso nel 2001. Gli studi di Elsaßer e di Chossudovsky confermano tutta una linea di indagini storiche su spionaggio e fondamentalismo intrapresa già prima dell’11 settembre, per esempio da parte di John K. Cooley, Una guerra empia. La CIA e l’estremismo islamico, Eleuthera, 2000 (edizione originale 1999). Diversi contributi (David Ray Griffin, Giulietto Chiesa, Franco Cardini e Marina Montesano) tentano anche di far luce sulla storia dei neocon e in particolare del gruppo che ha sviluppato già negli anni 90 il “Progetto per il nuovo secolo americano”, cioè un’articolata strategia consistente nel promuovere la posizione imperiale americana anche con guerre unilaterali e sviluppando ulteriormente il primato militare tecnologico, con un aumento delle spese che, si diceva, solo uno shock come “una nuova Pearl Arbour” avrebbe potuto far accettare agli americani (si veda a questo proposito anche G. Chiesa, Prima della tempesta, Edizioni Nottetempo, Roma, 2006). Molto interessante è anche la rassegna di testimonianze di testimoni oculari o di esperti raccolta alla fine del libro (peraltro tratte dal sito patriotsquestion911.com ). È interessante per esempio quella di un’esponente conservatrice come Barbara Honneger, assistente speciale dell’Assistente alla Presidenza di Ronald Reagan nel 1981-1983, che ora lavora all’Università della Marina (dal film Zero risulta anche che conosca bene gli ambienti del Pentagono, e che abbia fatto scoprire lo scandalo Iran-contras). Essa dichiara: "È stato un aereo militare americano, e non uno pilotato da Al Qaeda, a effettuare la manovra estremamente esperta di picchiata a 270° ad alta velocità verso il Pentagono, al punto che i controllori del traffico aereo intenti a osservarlo sui loro schermi erano convinti si trattasse di un aereo militare. Solo un veicolo militare, e non un aereo civile pilotato da Al Qaeda, avrebbe trasmesso il segnale "amichevole" richiesto per disabilitare le batterie di missili antiaeree del Pentagono mentre si avvicinava all’edificio. Solo il Pentagono, e non Al Qaeda, era in grado di infrangere tutte le procedure operative standard per paralizzare il suo sistema di reazione d’emergenza." [p. 383, grassetto mio]. Non mancano altre dichiarazioni sorprendenti fatte da ufficiali di carriera, alti funzionari, testimoni oculari.

Anche alcuni dei contributi d’autore sono –ma in un altro senso- delle testimonianze. È interessante che un ex-ministro socialdemocratico tedesco come Andreas Von Bülow accetti di unirsi a un coro fatto in gran parte di studiosi e giornalisti radicali o outsider. È ancor più significativo il contributo di Steven E. Jones, un fisico che ha sfidato l’ostilità dei media e dello stesso mondo accademico scrivendo Un’analisi scientifica del crollo del World Trade Center. Anche Gianni Vattimo, parlando de L’11 settembre e l’Italia, accetta il rischio di essere stigmatizzato come “cospirativista”, per denunciare le spese militari e la politica di acquiescenza all’impero del governo italiano del momento. É infine una testimonianza umana per la verità sull’11 settembre anche il racconto autobiografico di Lidia Ravera.

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