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Termini Imerese: tra mea culpa e sicumera

Di chi la colpa di questo stato di cose?, cioé della costruzione di una cattedrale nel deserto? Possibili tentazioni elettoralistiche.

di Antonio Carollo - mercoledì 10 febbraio 2010 - 2729 letture

Sappiamo bene che lo stabilimento Fiat a Termini Imerese fu un grazioso regalo di Gianni Agnelli ai maggiorenti democristiani dell’epoca in cambio, evidentemente, di aiuti, e buoni rapporti, con il Governo.

Una fabbrica di quel tipo, però, non nasce dal nulla. C’è il problema delle forniture complementari; la Fiat non produce tutto, ha bisogno di chi fa e fornisce i sedili, le batterie, i cavi elettrici, le centraline, le vernici, i tergicristalli, l’acciaio, la plastica, eccetera, oltre ai motori, ai pezzi di carrozzeria , ed altro, che la stessa Fiat fa da sè.

A Termini Imerese niente di questo viene prodotto sul posto, ad eccezione, credo, delle tappezzerie e qualcos’altro di poco conto. In definitiva l’industria dell’indotto non copre non più del 5-10 per cento del fabbisogno. La Fiat deve rivolgersi all’indotto degli stabilimenti del Continente, con enorme aggravio di costi. In pratica a Termini non si fa altro che assemblare.

Di chi la colpa di questo stato di cose?, cioé della costruzione di una cattedrale nel deserto? Direi un po’ di tutti. Dello Stato che non ha messo in atto delle politiche di incentivazioni per la creazione di nuove imprese, che non si è mai impegnato a fondo per l’estinzione del fenomeno mafioso; della Regione Sicilia che non sa cosa significa una politica di sviluppo, tutta immersa com’é in traffici clientelari (non ha apprestato neanche le infrastrure basilari per agevolare i trasporti e favorire nuovi insediamenti industriali intorno allo stabilimento Fiat); della classe imprenditrice siciliana che dorme sonni tranquilli all’ombra della grande madre Regione; della stessa Fiat che non ha decentra a termini la produzione dei motori, dei cofani e quant’altro di sua competenza.

Marchionne sarà cinico di fronte alla rovina di 2.500 famiglie, ma la politica e i potentati economici siciliani che sono?

Da una dozzina di giorni il ministro Scajola ha sul tavolo le sette proposte per lo stabilimento Fiat di Termini Imerese. Il 5 febbraio dovevano essere scoperte queste carte, invece, con inspiegabile decisione, tutto è stato rinviato al 5 marzo. Diversi giornali hanno avanzato la supposizione che si voglia giungere ad una soluzione sulla soglia delle elezioni regionali per poterne cogliere i frutti elettorali (gli effetti positivi, infatti, si ripercuoterebbero al di fuori della Sicilia). Non sta a me dire se questa ipotesi corrisponda o meno al vero. Una cosa è certa: certi giochi non sono ammissibili mentre 2.500 famiglie sono immerse nella più nera angoscia.

Mi riesce, poi, piuttosto provocatoria, e penosa, la dichiarazione di Montezemolo di non aver ricevuto neanche un euro dallo Stato durante la sua presidenza della Fiat. Gli esperti stanno dimostrando il contrario: negli ultimi tre anni gli aiuti sono stati quantificati in 270 milioni di euro, dal dopoguerra ad oggi a un milione di miliardi di lire, pari a circa 500 miliardi di euro (non una montagna di soldi, ma l’Himalaya e le Ande messe insieme). E’ evidente la sterzata impressa alla strategia dell’Azienda. Si crede di poter fare da soli, quindi, niente assunzioni di responsabilità a fronte di aiuti di Stato. Mani libere. Penso, modestamente, che una simile decisione pecchi di eccesso di sicumera. Le vicende del mercato sono imperscrutabili, domani la Fiat potrebbe essere costretta a ritornare sui suoi passi e a stendere la mano davanti a quello stesso Stato che oggi sta snobbando. Le auguriamo di no.


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