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Se le zecche hanno le mani in pasta

Mariarita Sgarlata, già assessore ai beni culturali della Regione Sicilia, ha presentato a Lentini il suo libro, L’eradicazione degli artropodi.

di Sergej - mercoledì 22 marzo 2017 - 4685 letture

Quando, nelle parole di Mariarita Sgarlata - nel presentare il suo libro L’eradicazione degli artropodi - si dice di come uno dei suoi ultimi atti d’assessore regionale alle materie di cultura fu la firma dello stanziamento di 2 milioni e passa d’euro per la riqualificazione del Museo di Lentini, e poi venendo di recente in Lentini a vedere, l’impressione avutane di bacheche stantie e disposizioni d’anni Sessanta, come se quei soldi non fossero stati affatto spesi tutti né bene per il Museo, l’ex assessore segnala uno dei tanti problemi dell’isola. Un milione di euro, aggiungiamo noi, ci è costata la riasfaltatura della piazza di Lentini: anche qui cifra enorme per un misero risultato. Un altro gruzzolo è previsto per la Biblioteca di Lentini, e speriamo che anche qui non si partorisca il topo invece della mucca che si potrebbe avere con la spesa preventivata. Su Palazzo Beneventano conviene stendere un velo. Dove finiscono tutti questi soldi? C’è qualcosa che non quadra. Noi non vediamo a Lentini politici arricchiti - tronfi sì, ma sempre con le pezze al culo -, almeno questa è l’impressione. E dunque, l’invidiosa considerazione “c’annu mangiatu” non regge - almeno per i locali. Sgarlata dice della mancanza, a livello regionale, di gente capace di fare i progetti (che vengono così demandati a “professionisti” esterni); l’utilizzo delle varianti d’opera che permettono alle ditte di far lievitare i costi; e della mancanza dei controlli reali e responsabili sulle spese. E allora, di fronte a tutto questo, un intellettuale e scrittore come Alfio Siracusano si chiede se non sia meglio mettere la parola fine all’ “autonomia” regionale.

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L’eradicazione degli artropodi

Che qui si abbia un problema risulta chiaro ai più. Qui si intende l’isola di Sicilia, i “più” sono gli abitatori e visitatori dell’isola. Rispetto all’isola, abitatori e visitatori risultano a volte davvero essere in eccesso, estranei alla loro stessa isola - quasi che l’isola sia una cosa, e gli abitatori altra, altra cosa ancora i visitatori occasionali o gli emigrati. Perché l’isola è strana meta non solo della dipartita delle menti migliori delle diverse successive generazioni - che hanno rimpolpato l’italico Stato di cavalli di razza che rispondono ai nomi di Alfano Angiolino, Fede Emilio, Corona Fabrizio e sù sù dall’infimo al più (o al meno) onorevole. Dipartita che ha privato l’humus siculo dei migliori, abbassando così la probabilità di rinvenire all’interno quel personale politico capace di suscitare la riscossa collettiva dal degrado. Ma, dicevamo, l’isola è anche meta di viaggiatori occasionali e immigrati stanziali, che in vario modo hanno dato il loro apporto coloristico - si pensi ai commerci inglesi ottocenteschi, o alle colonie di svizzeri, genovesi, todeschi e dei territori mediterranei - dall’Albania e Grecia alla Tunisia e Algeria. In questo andirivieni, che ha segnato puntualmente ogni sasso dell’isola, melting-pop di razze e di lingue, il paesaggio siciliano cambia giorno dopo giorno, adattandosi al progresso della calura e alle piogge ctonie ed arcane. La Sicilia è terra di modernizzazione difficile, in cui il nuovo innesto sembra ogni volta stentare ad attecchire, sembra essere rifiutato, salvo poi ripresentarsi in tempi inattesi e lontani. Così il fascismo difficile dell’isola, quasi immediatamente risommerso, nelle sue istanze sociali e cambiatrici dal fango della grande proprietà e dal malaffare corrotto; salvo poi ricomparire vent’anni di ritardo e contraddistinguere le città principali, tutte “nere” nell’aderenza collettiva al “bianco” democristiano. Salvo poche pustole “rosse”. Il malaffare corrotto ha sempre dato la continuità permanente dell’isola, con attimi (di pochi mesi alla volta) in cui sembra quasi che un’altra isola sia possibile - e poi tutto torna nel grigio nero della consuetudine. Abbiamo conosciuto la “primavera dei sindaci” alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, salvo pochi mesi dopo la Sicilia contraddistinguersi per aver donato al Cavaliere rampante la massiccia adesione - totale, nessun seggio agli altri -, al solito nell’illusione di ottenere in cambio chissà quali beneplaciti. L’isola è una pietra inamovibile, che ogni tanto erutta scintille - ed è capaci anche di leggi d’avanguardia -, salvo poi tornare alla normalità anormale (rispetto al resto del mondo) della supina accettazione collettiva al malaffare. Non c’è eccezionalità in tutto questo, Sicilia non è luogo dissimile da altre terre cattoliche e del Terzomondo del mondo. Solo che ai siciliani culti, in anni passati, è piaciuto pascersi in questa presunta (presuntuosa) eccezionalità da freak.

Con passione Mariarita Sgarlata si è battuta una una modernizzazione di buon senso dei beni culturali e archeologici del nostro territorio. Non la prima né forse l’ultima don Qixote a voler europizzare l’isola equidistante/equilontana da Africa e da Europa. Gli ultimi tre governi dell’isola - Cuffaro Lombardo Crocetta - hanno perpetuato l’immobilismo in cui i loschi loscheggiano e i dirigenti continuano a percepire privilegi e stipendi da nababbi (rispetto alle briciole che arrivano ai più). Di contro, i giornalisti finto-indignati delle Jene trovano il facile capro espiatorio: i custodi. Dicono, ci sono 100 custodi in un posti, e 6 in un altro. Mariarita Sgarlata ricorda come per contratto regionale non è possibile spostare un custode oltre il raggio dei 50 chilometri e quando provò a spostarne alcuni da una città all’altra distante 55 chilometri si trovò davanti la guerra dei sindacati e dei custodi. E’ l’autodifesa dei piccoli, a cui sono state date le briciole di privilegi per impedire che si tocchino i veri privilegi, quelli dei funzionari, che così stanno tranquilli e si perpetuano. E’ la coltura bacillare che è stata approntata nell’isola, per impedire qualsiasi cambiamento. Situazione né naturale né immutabile. Solo in parte figlia dell’allungamento della vita che ha rallentato l’avvicendarsi dei posti di lavoro e delle cattedre.

Di tutte le riforme portate avanti da Mariarita Sgarlata, nella tabula rasa che subito è stato fatto dopo la sua defenestrazione, non hanno potuto bloccare la perimetrazione del Parco di Siracusa (che così ha raggiunto il primo stadio regolamentare per diventare compiutamente parco), l’utilizzo dei POS e del pagamento con carta di credito / bancomat per entrare nei parchi e musei - accadeva che alcuni rifilassero biglietti omaggio ai turisti ignari, intascando il prezzo del biglietto -, davvero poche altre cose. Il libro di Mariarita Sgarlata è tutto da leggere, testimonianza di una resistenza che esiste e persiste nelle città, nei territori, di contro al volto di tolla di chi governa (i propri interessi). Una società civile che non ha nulla che fare con quella cosa strana che è il PD, su cui sono confluiti i nipotini informi e piccoloborghesi della Prima Repubblica. Né ha a che fare con un mondo ambiguo dell’associazionismo, che un po’ si vende al sindaco di turno un po’ cerca di grattare qualche spicciolo per trascorrere in compagnia degli amici il proprio status di disoccupato permanente. Una società civile debole, certo, che spesso non sa a che santo votarsi. Ma che esiste, e che ogni volta cerca di fare rete, si ritrova (come in queste occasioni attorno alla presentazione di un libro o in difesa di un filare di pini secolari), prova a ripartire.


La presentazione del libro di Mariarita Sgralata, edito da Edipuglia nel 2016, "L’eradicazione degli artropodi" è stata fatta al circolo Alaimo di Lentini il 19 marzo 2017. Presentazione di Italo Giordano, archeologo e presidente di Natura Sicula Lentini; la partecipazione di Archeoclub e cartolibreria Amore.



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