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Rumsfeld autorizzò le torture

In codice l’operazione si chiama «Verde Rame», in pratica è un’autorizzazione a scavalcare ogni limite. «Le regole del progetto erano "Prendi chi devi, fai quel che vuoi"».

di Cesare Piccitto - mercoledì 19 maggio 2004 - 3938 letture

In codice l’operazione si chiama «Verde Rame», in pratica è un’autorizzazione a scavalcare ogni limite. «Le regole del progetto erano "Prendi chi devi, fai quel che vuoi"». La storia di Abu Ghraib e delle altre prigioni irachene comincia qui, con il via libera del segretario alla Difesa americano. Donald Rumsfeld non solo sapeva ma ha autorizzato gli orrori che oggi scandalizzano l’America con lo scopo di raccogliere intelligence.

A scriverlo è il «New Yorker», in edicola domani, nella terza puntata dell’inchiesta firmata da Seymour Hersh sullo scandalo delle torture. Non è questione di mele marce, i sette soldati americani finiti sotto accusa hanno tutta l’aria di essere di gran lunga l’ultimo ingranaggio di un meccanismo ben oliato e decisamente al di sopra di una Lynndie England qualsiasi, che si lascia fotografare con un iracheno al guinzaglio. «Le radici - scrive Hersh - non sono nelle tendenze criminali di alcuni riservisti, ma in una decisione approvata l’anno scorso da Rumsfeld». Nel’autunno del 2003, quando ormai era chiaro che quella in Iraq non sarebbe stata una passeggiata, il segretario alla Difesa ha suggerito di «estendere limiti di un programma altamente segreto, Sap (Speical Access Program) destinato in origine alla caccia ad al Qaeda, agli interrogatori dei prigionieri in Iraq», scrive Hersh citando fonti dell’amministrazione. Il programma «incoraggiava la coercizione fisica e l’umiliazione sessuale dei prigionieri iracheni per ottenere informazioni sull’insurrezione crescente in Iraq». Metodi già usati in Afghanistan e perfezionati a Guantanamo.

Parte attiva nel promuovere il giro di vite sarebbe stato il sottosegretario all’intelligence Stephen Cambone, lo stesso che ha affiancato il generale Antonio Taguba durante l’audizione davanti alla commissione del Senato, con lo scopo palese di disinnescarne la denuncia. Il sottosgretario all’intelligence chiede mano libera con i detenuti iracheni, Rumsfeld e il capo di Stato maggiore Richard Myers sono d’accordo. I risultati non mancano, qualcuno suggerisce che anche la cattura di Saddam sia l’esito di un certo tipo di interrogatori, che dovevano servire a dare a Rumsfeld un vantaggio anche sulla Cia e sulle operazioni paramilitari in Iraq.

L’agenzia d’intelligence in realtà non avrebbe visto di buon occhio l’estensione di massa di un metodo spinto di interrogatorio. «Eravamo d’accordo in Afghanistan per operazioni pre-approvate contro obiettivi terroristici di alto valore. Adesso volete usarlo su tassisti, cognati, gente presa dalla strada», è la protesta di un ex agente, riferita da Hersh. Cambone ora potrebbe essere il capro espiatorio per far uscire l’amministrazione Bush dall’imbarazzo, dai repubblicani al Congresso arriva l’esplicito invito a farlo fuori «se Rumsfeld resta». Ma è tutto da vedere se il segretario alla Difesa riuscirà ad ignorare l’impatto delle accuse che ora gli piovono direttamente addosso così come ha fatto con le contestazioni dei senatori.

Il Pentagono intanto vara manovre correttive, per parare i colpi. Il generale Ricardo Sanchez, comandante delle forze di terra americane in Iraq, ha rivisto il regolamento per gli interrogatori dei prigionieri, cancellando le parti meno digeribili. D’ora in avanti non sarà ammesso privare del sonno i detenuti, costringerli a posizioni scomode o dolorose, incapucciarli, privarli del cibo, né tanto meno interrogarli in presenza di cani addestrati. Tra le misure costrittive, per piegare la resistenza dei detenuti, viene salvata solo la possibilità di tenere in isolamento un detenuto per oltre 30 giorni, ma solo dietro autorizzazione di un superiore.

Dal Pentagono si guardano bene dal considerare la marcia indietro come un’ammissione di responsabilità. I vertici militari ribadiscono che le misure abolite non costituivano una violazione della Convenzione di Ginevra. Si fa notare che le direttive del generale Sanchez contenevano già un’esplicito richiamo a mantenere atteggiamenti «umani e legali» nei confronti dei prigionieri.

Ma su dove passasse il limite della legalità non c’è assolutamente chiarezza. «Ci saranno sempre diversità di vedute su cosa è conforme o meno alla Convenzione di Ginevra», ha detto Rumsfeld, parlando alle truppe nel suo viaggio lampo a Baghdad. Il suo vice Paul Wolfowitz, interrogato dai senatori, ha dovuto ammettere che sì, vedere un soldato americano, nudo, incappucciato e costretto a tenere le braccia sollevate sotto interrogatorio sarebbe considerato una violazione degli accordi di Ginevra. Il limite tra lecito e illecito è questione di punti di vista.

di Marina Mastroluca Unita.it


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