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Ricordo di Nicola Torre

Pubblichiamo questa bella rievocazione della figura dell’editore e libraio catanese recentemente scomparso, animatore della cooperativa C.U.E.C.M , con una vasta produzione di testi universitari e di altre mille pubblicazioni...

di Italo Pons - martedì 15 gennaio 2008 - 2578 letture

“Ti presento il nuovo pastore valdese”. All’inizio era così. Poi, con il passare del tempo, dovetti fargli notare che da quelle parti ormai ero arrivato da un certo tempo. Ma per lui ero sempre e ancora il “nuovo”. Aggiungeva, alla qualifica di rappresentanza, anche un’ulteriore marca ad origine controllata: “il cugino di Mauro” (anche lui pastore e assiduo, prima di me, della libreria di via Etnea a Catania). Vi ero capitato, la prima volta, in un torrido mattino di agosto, quando più che librerie, da quelle parti si frequentano spiagge o si sta in casa, con le persane chiuse, per ripararsi dalla calura. Al termine della nostra conversazione mi offrì un libro: “Costanza d’Altavilla, Una vita per Federico”, di Cleide Catanzaro, “ E’ bello. Leggilo”.

Per ricordare Nicola Torre, ora che anche lui se n’è andato, occorre evocare la dimensione profonda della generosità: prima di tutto fatta di ideali che hanno nella comunicazione (ma forse sarebbe più appropriato “comunione”) tutto ciò che è sapere, voglia di vivere, amicizia, impegno, disponibilità, ricerca di pace. Un uomo buono e saggio che aveva pagato le sue scelte anche nella professione di giornalista. Intellettuale lo era, fino in fondo, ma altrettanto “un fine vulcanico operatore”, come si è scritto di lui, “dispensatore del sapere democratico, aperto a tutte le novità provenienti dalle “terre” con in corso processi di Liberazione”.

Animatore della cooperativa C.U.E.C.M di Catania, con una vasta produzione di testi universitari e di altre mille pubblicazioni, per la maggior parte finanziate da chi le aveva scritte. Nella sua libreria, ogni volta che entravi eri certo che ti avrebbe presentato qualcuno. Così incontravi il giudice Giambattista Scidà, lo scrittore Giuseppe Bonaviri, ritornato in Sicilia per la presentazione di un suo libro, il preside Antonio Pioletti, i professori Gabriele Centineo e Silvana Cirrone, la filosofa, anche lei andatasene troppo presto. Dietro il banco, tra pacchi di libri che arrivavano e partivano, dirigeva collaboratori ed iniziative e nello stesso tempo rifletteva, sempre a voce alta, sulla politica. Qualche volta non concordavamo.

Le sue analisi mi sembravano eccessivamente ideologiche. Impossibile però non riconoscergli la caparbietà del suo impegno e una notevole preparazione nell’analisi dei problemi. In prima linea nelle iniziative dell’ANPI catanese, convinto che i valori della resistenza per essere tali dovevano tenersi vivi nelle nuove generazioni . Ho trascorso molte ore con lui a discutere di possibili progetti per il nostro stabile di via Cantarella, la storica sede del movimento per la pace e di altre tante associazioni. Purtroppo tutto restò sempre a livello di ipotesi, in analogia con le domande di senso, che improvvisamente, ti buttava lì, mai come provocazione, ma unicamente come possibilità, anche per lui, di capire.

Un giorno ricevetti una sua telefonata che mi comunicava l’improvvisa morte del fratello: “Nella nostra tradizione”, mi disse, “era il segretario che teneva la commemorazione”. Con una certa ironia, per quelle mutazioni in atto, aggiunse, “Sai tutto è cambiato. Fallo tu”. Naturalmente parlai di resurrezione e vita eterna.

Quando tenni il mio ultimo culto in via Naumachia lo vidi in fondo alla chiesa. Fu l’ultima volta che ci stringemmo la mano. Ogni tanto dei libri, accompagnati da un saluto, mi raggiungevano in altre sedi lontane della sua città. Ha scritto Jaques Derrida, in “Ogni volta unica, la fine del mondo”, (…) “io sono stato molto contento per essere stato almeno per un po’ il suo contemporaneo. Grazie a lui”.

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