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Regolarizzazione migranti

Mentre i cittadini italiani si dispongono nell’attesa del bonus 600 euro, della Cig in deroga e di riprendere a lavorare, migliaia di migranti chiedono ad alta voce il diritto di esistere.

di Piero Buscemi - mercoledì 13 maggio 2020 - 2163 letture

L’avvento nelle nostre vite del Covid-19 ha fatto emergere la quantità di problematiche che il nostro paese è stato in grado di occultare o dilazionare nel tempo dietro la motivazione che ci fosse sempre qualcosa di più prioritario da dovere affrontare. Sarebbe riduttivo ricollegare il tutto alla questione dell’inefficienza sanitaria, di per sé già motivo di discussione, riscontrata nel fronteggiare una situazione di emergenza, come se fino alla comparsa della pandemia tutto il sistema rispondesse alle necessità della cittadinanza.

Vogliamo dedicarci, piuttosto, ai soliti problemi del lavoro, del diritto mai completamente riconosciuto, dell’irregolarità che diventa ricatto nelle mani di chi lo offre e chi lo riceve senza la libertà di dovere pretendere una legalità che alla base di un qualsiasi contratto. Chi ha dovuto inseguire negli anni il sogno di una tranquillità economica che solo un lavoro stabile può in parte garantire, oggi si ritrova ad affrontare la solita guerra tra classi sociali dovendosi confrontare con coloro che, da sempre, hanno rappresentato i padroni ad impartire direttive e che questa ulteriore crisi socio-economica li pone, non sappiamo fino a che punto sia giusto, allo stesso livello di coloro che non hanno più alcuna certezza di riprendere la propria attività lavorativa, già precaria e consolidata da una consuetudine affermata negli anni.

Da un lato un numero impressionante di imprenditori, artigiani, commercianti e quant’altro rientra nella categoria delle "partite Iva" che sono tornate tanto di moda in questi giorni. Ci ritroviamo a dover sindacare se il bonus previsto dalle disposizioni del governo sia congruo con la necessità diffusa di far fronte a tutta quella tipologia di costi fissi che sono rimasti a carico di questa categoria di lavoratori, nonostante le attività siano rimaste chiuse per settimane. Dall’altra parte, un numero sicuramente maggiore di lavoratori che, vivendo alle dipendenze dei primi, hanno elemosinato per anni il riconoscimento dei diritti essenziali per costruirsi un minimo di futuro da garantire a se stessi e alle proprie famiglie.

Forse congetturare su tutto questo limitandoci all’uso dell’ironia sarebbe la soluzione migliore, per sdrammatizzare quanto meno la tensione che molti stanno vivendo in questi giorni. Le battute che stiamo ascoltando da più fonti sulla questione, all’interno delle quali c’è sempre nascosta quel barlume di verità che fa del giullare di corte il detentore effettivo della verità, ci fanno sorridere sulle dichiarazioni di molti imprenditori che in campo ristorazione, turismo in genere, ma anche le classiche categorie di quelli che non si riesce mai a capire quanto effettivamente sono in grado di produrre in un anno, i quali si lamentano di mancati guadagni misurati in un arco di tempo mensile e quantificati per importi che non hanno mai dichiarato all’Agenzia delle Entrate neanche rapportati ad un anno intero.

L’ipocrisia impera in queste situazioni di precariato perenne. In questa eterna lotta tra il vero e il possibile. In mezzo, in questo l’Italia si colloca ai primi posti mondiali di un’ipotetica classifica di una realtà che supera sempre l’immaginazione, c’è il mondo sommerso dei migranti. Quella categoria di esseri umani che, per la maggior parte del tempo, sono i fantasmi della nostra società e che ricompaiono soltanto quando ci si rende conto che non abbiamo troppi indigeni locali disposti a farsi sfruttare per pochi euro al giorno dentro una serra o un campo coltivato. O magari ad assistere i nostri cari congiunti, anziani e bisognosi di assistenza quotidiana che molte badanti, casualmente oggi si scoprono soggette a lavoro in nero, svolgono rinunciando ad una propria vita personale, rivendicata un giorno alla settimana.

In parlamento si sta discutendo della regolarizzazione dei migranti. Migliaia di persone senza alcun diritto, forse neanche quello di vivere. Sconosciuti all’anagrafe, senza assistenza medica, accumulati in catapecchie improvvisate a ridosso dei campi di lavoro. Non sappiamo i motivi che oggi dettano i nostri politici ad affrontare una questione che, sicuramente, non è nata con il Covid-19 ma che getta le radici proprio in quelle priorità che rinviano le decisioni su questa delicata questione, a favore di quei meccanismi contorti che non trovano alcun riscontro pratico nella vita di tutti i giorni e per migliaia di disperati.

Nelle aule parlamentari si sta provando a parlare di una regolarizzazione che non è molto chiaro come verrà messa in atto. L’unica certezza che abbiamo è quella di tante, troppe persone che costituiscono la schiavitù del terzo millennio, in mano alla malavita organizzata che utilizza i caporali specializzati a formare una graduatoria dalla quale scegliere chi morire o chi far vivere da schiavo. Perché, come in tutte le cose che abbiano un’impronta umana, si arriva a raggiungere l’assurdo di dover coltivare la speranza di rientrare nei favori di un despota che effettua la scelta. Come se tutto questo rientrasse nella normalità che ambiamo tutti a tornare a vivere al più presto.

Ma la normalità è quella che ci impone di dover scegliere un’ennesima copertura, chiamiamola se vogliamo condono, per i datori di lavoro che si sono arricchiti sulle spalle dello sfruttamento e in beffa di chi ha creduto che si potesse lavorare in onestà, riconoscendo i diritti, pagando le tasse e i contributi previdenziali, e chi oggi vorrebbe almeno essere riconosciuto un essere umano, prima ancora che un lavoratore.

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Migranti


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