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Question culture vs entertainment culture

di Sergej - venerdì 14 agosto 2020 - 2319 letture

In una intervista (Nazione Indiana) Valerio Magrelli dice alcune cose interessanti. Il fondo dell’intervista mostra un fondo reazionario e elitarista da parte di Magrelli. Nettamente contro la società culturale contemporanea, dequalificata e involgarita dalla preminenza del televisivo deteriore. Distingue tra cultura dell’interrogazione e cultura dell’intrattenimento (direi: question/entertainment culture). Dice dei diversi valori che esistono: Shakespeare non può essere messo allo stesso livello di De André. Non si tratta di togliere “dignità culturale” a De André, ma stabilire che comunque esistono delle differenze; mettere tutto nello stesso calderone non va: direi, che può servire in una prima fase per valorizzare autori e generi di cult generazionale, ma poi occorre all’interno del canone, mantenere le distinzioni.

Shakespeare entra nel canone della cultura dell’interrogazione (question culture) quando l’Inghilterra comincia a dominare la politica internazionale europea. Come sempre, sono le nuove generazioni che si “innamorano” di Shakespeare, ne fanno oggetto di cult generazione; quando diventano classe dirigente, impongono i propri autori canonici nella cultura dominante. Il fatto che da allora non se ne sia più andato via testimonia di come la nostra cultura sia dominata ancora dalla preminenza anglosassone.

Il percorso che porta De André da semplice musicista ad autore cult, passa attraverso i sommovimenti generazionali: anche qui, quando i giovani arrivano al potere, fanno diventare De André da semplice musicista autore cult, inserito all’interno non più della cultura d’intrattenimento ma della question culture. Essendo un fenomeno locale, italico, non può competere con il livello attribuito a Shakespeare: almeno non ancora (ma su questo, molto dipende da come si evolveranno le cose nel futuro immediato). Sto smontando il discorso di Magrelli, socializzandolo e storicizzandolo - mentre Magrelli utilizza categorie e valori in senso assoluto.

Naturalmente Magrelli sa tutto questo, ma decide di utilizzare categorie assolute nella precisa convinzione che la relativizzazione (sociologica e storicistica) può avere controindicazioni d’uso: negando valore alle cose, appiattisce tutto, porta a giustificare anche quella dequalificazione che vede come pericolo in atto - e che sta scardinando i valori morali oltre che culturali delle istituzioni e dei media.

Contro la prevalenza del cretino, la prevalenza del bècero, si tenta l’arrocco protettivo, conservativo, tradizionalista. È una mossa altrettanto pericolosa dello tsunami qualunquista in cui noi tutti siamo immersi. Uno tsunami che opera non da ora, ma che è il portato della cultura del consumismo prima e del neoliberismo dopo, che ha travolto prima le culture più deboli (i marginali, le culture subalterne: si pensi alle postume recriminazioni di Pasolini) poi le culture borghesi stesse.

È uno tsunami che ha travolto le “istituzioni culturali”, ovvero quelle strutture sociali che vengono costruite proprio per trasmettere i “valori” attraverso le generazioni e riprodurre lo status quo. L’università, all’interno di cui si trova (in parte) Magrelli, è una di queste istituzioni. Se un tempo la trasmissione avveniva attraverso il vincolo che si istituiva tra maestro e allievo, ora - caduta la funzione di trasmissione maestro-allievo - la pletora di questi maestri si trova davanti a un indistinto nugolo di studenti, portatori di culture altre rispetto a quella riconoscibile da loro; in tale indistinto, essi fanno fatica persino a decodificare quelle culture come tali. La crisi di faglia, lo sfaldamento generazione è totale. Un nuovo ordine si è (forse) costituito ma non ha ancora stabilito le regole interne di trasmissione. Permangono quelle vecchie, inutili e private di senso. E sono “senza senso” proprio perché non hanno saputo trovare in se stesse un senso, ma l’hanno (come sempre) demandato al potere sovrastante di cui essi erano parte (pagata). Sono strutture sfocate, fuori fuoco.

(Il tentativo di promuovere la cultura fine a se stessa è rimasta priva di sbocco reale, semplice enunciazione di principio; con la parallela idea che si dovesse formare la cultura generale dell’allievo, non finalizzata al lavoro o alla funzione sociale. Niente di tutto questo nella realtà)

Quelle di Magrelli e di altri, della stessa generazione, sono le lamentazioni di parrucconi (come avrebbero detto loro stessi nel secolo scorso): ora che sono loro i parrucconi e si trovano sotto gli strali dello tsunami che cambia continuamente il mondo. Inefficaci quanto lo erano quelli dei parrucconi di quando essi stessi erano giovani.

Ciò non risolve il problema. Non ci si può affidare alla fortuna o al “tempo che sana le ferite”. Quante cose importanti si perdono in questo processo di continua distruzione - di morte continua? Cosa fa sì che questo processo sia un progresso e non un degrado?


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