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Psichiatria e istituzione

"Forse una giorno non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia" (Michel Foucault). La Psichiatria sociale si propone come risorsa per l’attivazione di una rete di servizi e di strutture che gestiscono la sofferenza mentale senza delegarne la responsabilità ad una sola istanza.

di andrea mazzoleni - mercoledì 25 maggio 2005 - 6729 letture

Gli ultimi decenni del secolo scorso hanno segnato per i servizi psichiatrici di molte aree dell’Occidente una sostanziale trasformazione dei sistemi assistenziali. Il sistema basato sul ricovero ospedaliero ha ceduto il campo progressivamente al trattamento nella comunità dei pazienti con disturbi mentali gravi.

In questa ottica la Psichiatria sociale si propone come risorsa per l’attivazione di una rete di servizi e di strutture che gestiscono la sofferenza mentale senza delegarne la responsabilità ad una sola istanza. Lavorare in termini di rete porta a considerare sotto una nuova prospettiva anche il modello di malattia intesa non solo in funzione della personalità dell’individuo, ma anche come funzione di un sistema complesso di relazioni . Gli elementi che rendono specifica ed insostituibile la funzione della psichiatria di comunità sono fondamentalmente i seguenti :

· La dimensione gruppale, sia sul versante sociale , sia sul versante terapeutico ;

· L’importanza del lavoro d’èquipe ;

· L’integrazione fra competenze, gruppi, modelli diversi;

· La dimensione spazio e temporale definita al fine di predisporre condizioni affettive favorevoli ad esperienze di transizione tra soggettività individuale e condivisione con gli altri.

A questo proposito l’intervento socioterapeutico assume oggi rilevanza essenziale nello sviluppo delle pratiche di aiuto e di cura nei vari ambiti istituzionali. I concetti di lavoro che fanno riferimento all’Altro sociale e ai luoghi di incontro non possono che svilupparsi in un ambiente che favorisca la relazione e che diventi esso stesso istanza terapeutica privilegiata, assumendo la connotazione di spazio terapeutico per il reinserimento e per la presa a carico dei vari aspetti sociali e relazionali, da parte dei diversi operatori coinvolti.

Le varie categorie di utenti con cui l’operatore sociale o sanitario si trova oggi confrontato si realizzano in situazioni di relazione complessa per la quale è necessario progettare e attivare programmi diversificati il cui obiettivo principale sia il ripristino e la riabilitazione della parola. Il lavoro socioterapeutico ha quindi quale scopo primario la facilitazione della comunicazione tra i vari soggetti e tra questi e l’ambiente che li circonda in modo tale che la parola e il suo ascolto diventino specifiche modalità di accoglienza e di presa a carico.

Nell’ambito della manifestazione parlata giochiamo infatti in continuazione con gli aspetti espressivi (colui che parla), appellativi (a chi si parla) e rappresentativi (ciò che si dice).

La Psichiatria sociale e di comunità. è dunque uno “strumento” importante nel processo di cura di cui è necessario conoscere tutte le diverse sfaccettature. Di particolare importanza in questo contesto assume la mediazione delle istituzioni.

Istituzione è un termine impiegato nelle scienze sociali e nell’analisi politica in una varietà piuttosto ampia di significati. Possiamo ad ogni modo riconoscere due accezioni fondamentali, una delle quali è più ampia e comprende in qualche modo l’altra.

Da un lato, si tende ad indicare come istituzione un complesso di valori, norme e consuetudini che definiscono e regolano durevolmente, e in modo relativamente indipendente da finalità particolari, le caratteristiche (personali) dei singoli componenti :

· i rapporti sociali e i comportamenti interni a un gruppo con un’attività socialmente rilevante o con funzione strategica per le strutture di una società o di suoi importanti settori;

· i rapporti che altri soggetti possono avere con tale gruppo.

D’altro lato, estensivamente si considera l’istituzione comprensiva, oltre che del complesso normativo di cui si è detto, anche del personale stesso che con la sua attività lo sostiene e lo realizza e lo riproduce, nonché delle risorse materiali necessarie per svolgere l’attività in questione e delle strutture logistiche.

Il concetto di istituzione è strettamente collegato a quello di struttura sociale nel senso che, mentre quest’ultimo sta ad indicare il quadro più o meno permanente di una società in cui si verificano singoli sviluppi più o meno in accordo fra loro, l’istituzione sta ad indicare il modo stabilito di un comportarsi entro quel quadro.

L’istituzione può quindi essere definita anche dal consolidamento delle norme interpersonali di comportamento e quindi dalla loro oggettivazione rappresentando così il polo estremo della cristallizzazione del comportamento collettivo. Il processo fondamentale su cui risiede la formazione delle istituzioni, cioè il processo di oggettivazione (Bienkowski), consente alle varie forme di istituzione, malgrado la loro origine soggettiva, di cristallizzarsi e a un tempo di emanciparsi da tali influssi soggettivi, di non essere più sottoposte a mutamenti che possono risultare dalle esperienze variabili dell’individuo e di tutto il gruppo. Al contrario, sono esse ad imporre regole di comportamento e a sottoporre i comportamenti del gruppo alle modificazioni derivanti dalla dinamica particolare delle forme istituzionali. L’istituzione non é quindi solo un modello di comportamento cristallizzato, che in complementarietà dinamica con quello aperto, nascente, latente, deviante, costituisce la cultura, ma un modello istituzionale é un modello di cultura esso stesso al quale é associato un certo complesso strutturato di motivazioni e sanzioni sociali.

Esiste dunque il grande problema della possibilità di non coincidenza e di discrepanza fra l’istituzione e il modo di comportamento collettivo, sia sotto l’aspetto cristallizzato che sotto l’aspetto nascente.

L’ipotesi di base più importante su cui si basa lo sviluppo delle forme di intervento realizzate attraverso delle istituzioni è che, una volta messe in atto alcune possibilità di esperienze e di azione, si possono stimolare le "parti sane" di ogni soggetto e svilupparle grazie alle dinamiche dell’associazione e dei suoi effetti socio-culturali. Nel campo psichiatrico i segni classici dell’evoluzione psicotica sono considerati come il prodotto di una "carenza relazionale” che confermerebbe il rifiuto psicotico del reale da considerare a sua volta come un disturbo della comunicazione.

Importante diventa quindi considerare il disturbo psichiatrico come una situazione le cui caratteristiche vanno inserite nel contesto sociale e nella rete di relazioni che il soggetto intrattiene senza considerarlo estraneo alla società. Ed allora, come afferma Michel Foucault, "Forse una giorno non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia. La sua figura sarà racchiusa su se stessa non permettendo più di decifrare le tracce che avrà lasciato. Queste stesse tracce non appariranno a uno sguardo ignorante, se non come semplici macchie nere? Tutt’al più faranno parte di configurazioni che a noi ora sarebbe impossibile disegnare, ma che saranno nel futuro le indispensabili griglie attraverso le quali rendere leggibili noi, e la nostra cultura, a noi stessi."

Andrea Mazzoleni, socioterapeuta, membro comitato SSPS sezione Svizzera italiana, co-presidente IRFAPS


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