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Petrolchimico: quando l’ambiente fa a pugni con il diritto al lavoro

Un attimo di "respiro" prima di avere una risposta definitiva sulla questione dei posti di lavoro messi a rischio nella zona industriale di Priolo e Melilli. E sulla questione dell’inquinamento ambientale...

di Piero Buscemi - mercoledì 19 maggio 2004 - 4756 letture

Sarà ancora Archimede incaricato a risolvere i problemi annosi della terra martoriata di Sicilia. Perché si è pensato di dare il suo nome al progetto ideato dal premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia, progetto che prevede l’installazione di specchi parabolici (come quelli imputabili al genio siracusano) su di una superficie di diecimila metri quadrati, a Priolo.

L’intenzione è quella di creare sul sito priolese, una alternativa pulita per la produzione di energia elettrica. L’opera è stata affidata all’Enel che, stamattina 19 maggio, ha presieduto la cerimonia inaugurale dell’inizio dei lavori alla quale ha partecipato una delegazione dei lavoratori del petrolchimico.

Per la crisi dell’Enichem sarà necessario rispolverare le migliori doti d’inventiva di Archimede, nonostante le notizie rassicuranti provenienti da Palazzo Chigi. Il problema non sembra di facile risoluzione e l’impegno delle parti sociali rischia di essere vanificato dagli interessi economici dell’ENI e della Dow che hanno annunciato un piano di dismissione del polo chimico già da qualche mese. I lavoratori hanno già fatto sentire la propria voce bloccando giorno 11 la strada statale 114, bloccando i collegamenti tra Siracusa e Catania e intervenendo più volte alle rappresentazioni greche al Teatro Greco. L’apice della protesta sarà raggiunto il 25 maggio con l’indizione di uno sciopero generale previsto dalle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL per giorno 18 e rinviato dopo l’incontro con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta.

Le prime avvisaglie sulle reali intenzioni dell’ENI di abbandonare il polo chimico di Priolo entro il 2004, si erano avute circa due anni fa quando l’ente provvide alla scissione della propria attività in Polimeri ed Enichem tutelando il primo e diminuendo la produzione del secondo fino alla totale chiusura.

Nel frattempo erano partite le inchieste della Procura di Siracusa che avevano portato all’arresto dei 18 componenti i vertici dell’Enichem con l’accusa di "associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti pericolosi".

Le indagini avevano evidenziato l’avvelenamento del tratto di costa sud orientale della Sicilia con l’immissione in mare di rifiuti tossici tra i quali la faceva da padrone, il mercurio scaricato senza scrupoli in quantità di oltre 20.000 volte al di sopra dei limiti consentiti. La spregiudicatezza dei funzionari Enichem sarebbe stata la causa principale della nascita di migliaia di bambini malformati, nati nei paesi del comprensorio dei comuni dell’area industriale, e l’incremento delle cause di morte per tumore che avrebbero raggiunto livelli triplicati rispetto alla media nazionale.

Gli stessi funzionari poterono vantare un primato, certamente non invidiabile, di 552 capi d’accusa raccolti in ben 538 pagine del dossier d’indagine tra i quali spiccava quello di "disprezzo per i valori dell’ambiente e quindi della vita umana".

Già allora il Ministero dell’Ambiente aveva preventivato una spesa di 23 milioni di euro per la bonifica, ma la minaccia più grave l’aveva esposta la stessa Enichem dichiarando di essere disposta a bloccare gli impianti mettendo a rischio il futuro dei lavoratori.

Un anno dopo, l’assessore regionale all’Industria Marina Noè dichiarava di poter disporre di 300 milioni di euro, grazie agli investimenti privati e pubblici ed a quelli dei Consorzi Asi, destinando 48,5 milioni di euro per la sola Siracusa ai quali andavano aggiunti i 50 stanziati dal Ministero dell’Ambiente. Investimenti che avevano come unico obbiettivo quello della bonifica del territorio e la riqualificazione dei siti petrolchimici, frenati ancora una volta dalla decisione dell’Eni di mantenere l’impianto (quello passato alla storia come l’impianto di clorosoda) fino ad almeno la fine del 2004.

Gli studi seguenti sulla ecocompatibilità delle industrie chimiche in un territorio, dove la penuria di posti lavoro ha portato ad una situazione di ricatto morale, hanno dato risultati sconfortanti se si pensa che, al bivio tra una catastrofe sociale quale la perdita di centinaia di posti di lavoro e la salvaguardia del bene "salute", l’opinione pubblica ha dovuto fare i conti con la propria coscienza senza riuscire ad avere una ferma convinzione sulla questione.

Una cosa è certa: il territorio è stato sfruttato a dismisura per il bene di pochi ed il danno di un’intera collettività. Non si sa se mai qualcuno pagherà per questo scempio (un comitato di cittadini si costituì a suo tempo, parte civile per auspicare in un risarcimento dalla devastazione del territorio e la perdita di diverse vite umane), si sa però, che oggi dopo il deturpamento della zona, si rischia la beffa dei licenziamenti.

Qualcuno dovrà dare le risposte all’incuria di amministratori politici che hanno preferito tacere, di chi ha firmato documenti sanitari falsi sulle regolarità degli scarichi a mare, su chi sulla vita delle persone ha fatto i miliardi per togliere il disturbo al momento opportuno.

Qualcuno dovrà dare delle risposte sul futuro delle famiglie dei lavoratori che rischiano di perdere tutto, soffocati da interessi privati senza scrupoli.


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