Orientale Sicula: un’infanzia negli anni Sessanta
Negli anni Sessanta del ‘900 un bambino segue i ritorni periodici del padre, siciliano trapiantato a Roma, verso l’isola natia, potente calamita d’affetti agrumicoli e parentali.
- Copertina di Orientale Sicula, di Alfio Moncada (ZeroBook 2021)
Sullo sfondo il “boom economico”, vento potente che soffiò su tutta l’Italia e che, soprattutto in Sicilia, s’insinuò, scompigliandole definitivamente, fra tradizioni culturali che si scoprirono meno solide ed eterne di quanto si fosse in passato immaginato. L’interminabile viaggio in automobile, coi suoi riti e le sue scoperte, le dolcezze e le cupezze dei luoghi e dei personaggi della Sicilia Orientale dell’epoca si susseguono in questi racconti, in cui gli ingenui ma indelebili ricordi infantili sono tratteggiati con pennello lievemente ironico ma intinto inevitabilmente nella nostalgia.
dalla Presentazione al libro, di Alfio Moncada
Che valore ha raccontare episodi della propria vita? La banalità e la pericolosità letteraria dell’autobiografia possono essere riscattate dal mezzo secolo trascorso e dal mutare del contesto storico e sociale? Ho cominciato a scrivere questi racconti alcuni anni fa, solleticato da chi m’invitava a farlo dopo averne ascoltato la narrazione orale. Ora, terminata questa lieve e divertente “fatica”, provo a mettermi nei panni di un ipotetico lettore. È ovvio che questi racconti siano passati al vaglio della mia autocritica: ma possono avere un valore anche per altri? E a chi potrebbero interessare?
Forse a chi poco o nulla ha avuto a che fare con l’epoca (gli anni ’60) e/o l’ambientazione prevalente (la Sicilia Orientale) e potrebbe divertirsi nello scoprire scenari sconosciuti? Oppure a chi in quel contesto ci è vissuto ma, essendo meno sentimentale di me, ne ha cancellato i ricordi? Oppure ancora a coloro che, essendo nati e cresciuti in Sicilia, hanno vissuto le stesse cose solo “dall’interno” e potrebbero quindi essere stimolati da uno sguardo “esterno”, ovvero da parte di un bambino per metà continentale e cittadino?
La risposta a questi interrogativi dovrebbero darla i lettori, cui debbo chiedere perdono per due motivi, oltre che dare un consiglio.
La prima richiesta di perdono è per non aver cambiato i nomi e i riferimenti reali dei personaggi, omettendoli solamente quando non erano necessari al racconto. Non credo, tuttavia, che chi si riconoscerà in qualche racconto possa offendersi o temere lo sghignazzo altrui; anche perché il mio tocco è così sinceramente affettuoso, che penso non possa provocare neanche il minimo danno alla sua reputazione o a quella dei tanti che purtroppo non ci sono più. Del resto, poiché l’autobiografia costituisce non solo l’ispirazione ma realmente la materia prima dell’opera, ogni trasposizione mi è fin da subito apparsa come innaturale e pretenziosa. Ovviamente, gli stessi luoghi od episodi potrebbero da altri essere ricordati in modo diverso. Direi che è naturale: la memoria umana non è bruta registrazione. Costituisce, invece, la traccia che gli eventi lasciano nella nostra emotività, con implicite distorsioni della “realtà” (ammesso che essa esista davvero) a seconda di chi la vive. D’altro canto, è mia sincera speranza che sui fatti, le situazioni e i personaggi narrati – non certo eventi notevoli, più spesso fatterelli semplici, elementi di vita quotidiana- non scenda il triste oblio delle generazioni.
Il secondo aspetto per cui chiedo venia è per gli eventuali errori storico-topografici e, soprattutto, per come ho riportato le frasi in dialetto, con probabili imprecisioni nel lessico e nella formulazione grafica. Ho scelto comunque, poiché non ne sono certo capace, di non fare sintesi creative alla Camilleri. Dove i personaggi mescolavano loro stessi italiano e dialetto nell’incedere del discorso, ho cercato di marcare la differenza attraverso l’uso del carattere normale e del corsivo. Sono ricorso alla traduzione con note a piè di pagina per chi col siciliano, al di là delle imitazioni televisive della cadenza, non avesse proprio alcuna dimestichezza.
Il consiglio, infine, è di leggere i racconti come vi pare e piace! Evidentemente c’è un fil rouge spazio-temporale –dalla partenza da Roma al viaggio di ritorno- e credo possa essere gradevole scorrere con la lettura nella sequenza proposta. Ma per chi ama invece spiluccare e vagabondare, può essere una valida strategia alternativa assaggiare qua e là il brano che il titolo rende al momento più attraente. Ogni racconto gode, infatti, di una certa autonomia.
L’autore
- Alfio Moncada
Nato a Roma alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, da padre siciliano di Lentini e da madre di Rio de Janeiro (discendente da una famiglia di musicisti genovesi trapiantati in Brasile), Alfio Moncada è vissuto quasi sempre nella Capitale dedicandosi alla sua professione medica. Ha composto alcuni racconti satirico-politici, di cui uno, “Vado!”, pubblicato sulle pagine online de “Il Manifesto”(2011). Fondendo la passione letteraria con quella per la musica, nel 2010 “Luce!”, cantata per soprano, organo, coro misto e coro di voci bianche (musica di Raimundo Pereira) e nel 2011 “Oh, dolce sete”, madrigale polifonico (musica di Piera Pistono). Altri scritti: “Così parlò l’Oculista” (2013) e “Il Decamerocchio” (2016).
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