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Omicidio Agostino-Castelluccio: confermato ergastolo per Nino Madonia

«Trentaquattro anni di bugie e di depistaggi. Trentaquattro anni di sofferenza e ancora non è finita. Ora c’è una parte della verità, ma la vorrei tutta. In quei tempi c’erano tanti uomini corrotti dello Stato. Vorrei avere una piena giustizia» (fanpage.it, 7 ottobre).

di francoplat - mercoledì 11 ottobre 2023 - 492 letture

È Vincenzo Agostino a parlare, l’uomo che non taglia la barba da trentaquattro anni, ossia dal momento in cui, il 5 agosto 1989, suo figlio Nino, poliziotto, e sua nuora Ida Castelluccio furono uccisi da qualcuno a bordo di una moto che sparò prima sull’uomo e poi, quando la donna accanto al corpo del marito esclamò «io so chi siete» («io vi conosco», secondo altre versioni), freddò Ida che era incinta di due mesi. I coniugi, in quel momento, erano davanti alla casa della famiglia Agostino, a Villagrazia di Carini.

Quello sopra riportato potrebbe sembrare lo sfogo di un uomo esacerbato e deluso e motivi di amarezza Vincenzo Agostino sicuramente ne avrebbe. La vicenda che ha toccato così profondamente lui e sua moglie Augusta, morta nel 2019, è nota, si colloca tra le storie senza giustizia di famigliari di vittime di mafia, per anni e decenni, e che sono stati costretti ad ascoltare moventi risibili, e offensivi, alla base della scomparsa dei loro congiunti, quello passionale, ad esempio, che tante vite avrebbe mietuto in Italia e, tra queste, anche quelle dei due coniugi Agostino. Almeno stando alla versione offerta a ridosso dell’omicidio dalla Squadra mobile guidata da Arnaldo La Barbera, «che permise, condito da una serie di depistaggi, di seppellire il giallo per trent’anni» (“Antimafia Duemila, 5 ottobre).

Seppellire, già. Perché per decenni Vincenzo e sua moglie hanno continuato, con tenacia, a chiedere giustizia, non arrendendosi alla verità soffocata, al caso giudiziario apparentemente senza soluzione, inquinato da depistaggi, come nella migliore tradizione dei morti per mano della mafia e non soltanto. Solo nel 2015, quando la procura generale palermitana, a capo della quale c’era al tempo Roberto Scarpinato, avocò a sé il fascicolo, le indagini seguirono un altro corso e si giunse, nel marzo 2021, alla sentenza di primo grado del gup Alfredo Montalto, che individuò le ragioni dell’omicidio del poliziotto anche «nei rapporti che Cosa nostra, e nel caso specifico la cosca dei Madonia, intratteneva con esponenti importanti delle forze dell’ordine collegati ai servizi di sicurezza dello Stato». Nelle stesse pagine della motivazione della sentenza di primo grado, il giudice Montalto precisava che i Madonia avevano relazioni con persone quali l’ex dirigente della Squadra mobile, Bruno Contrada, ma anche Arnaldo La Barbera e il poliziotto, legato ai servizi segreti, Giovanni Aiello, conosciuto come “faccia da mostro”.

Vincenzo Agostino ha appreso, negli anni, che il figlio, formalmente impiegato presso la Volante palermitana di San Lorenzo, in realtà si occupava, in via riservata, di dare la caccia ai latitanti, ai pesci grossi della mafia siciliana del tempo e lavorava per conto di Giovanni Falcone. Ha appreso che, nel corso di un appostamento presso il vicolo Pipitone – covo dei Madonia –, il figlio aveva visto Contrada e ha anche appreso che, muovendosi accanto al magistrato ucciso a Capaci, il poliziotto sapeva delle indagini condotte da Falcone sui rapporti tra eversione nera e Cosa nostra.

Ne ha viste tante Vincenzo Agostino, tanto ha appreso e tanto ha dovuto sopportare. Ma le parole con cui si è aperto questo pezzo non danno ragione completa dello stato d’animo dell’uomo. Vincenzo Agostino parla a seguito della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Palermo di pochi giorni fa che conferma la condanna all’ergastolo per Nino Madonia, potente boss del mandamento di Resuttana, emanata da Montalto. A presiedere la Corte d’Appello è Angelo Pellino, in un processo svolto a porte chiuse e con rito abbreviato e con l’accusa sostenuta dai sostituti procuratori Domenico Gozzo e Umberto De Giglio.

Già condannato per altri omicidi eccellenti – da quello di Carlo Alberto Dalla Chiesa a quello di Pio La Torre a quello di Ninni Cassarà – Madonia ha dichiarato, prima che fosse emessa la sentenza, di essere innocente, rivolgendosi direttamente a Vincenzo Agostino: «il padre della vittima stia tranquillo e sereno che non l’ho ucciso io suo figlio». Evidentemente, altra è l’opinione della Corte d’Appello che, pur escludendo l’aggravante di premeditazione per il delitto di Ida Castelluccio, ha validato l’ergastolo per il boss, figura mafiosa apicale, a quanto pare temuto dallo stesso Riina in virtù delle sue entrature, per così dire, istituzionali.

In tal senso, Vincenzo Agostino è soddisfatto, soddisfatto che «tre quarti di verità è stata fatta» e che sia stato condannato «questo vigliacco macellaio», anche se attende l’esito del processo con rito ordinario che vede imputati un altro boss, Gaetano Scotto, accusato in primo grado di essere l’esecutore materiale del delitto insieme a Nino Madonia, e Francesco Paolo Rizzuto, all’epoca amico della vittima, accusato di favoreggiamento. Secondo quanto ha dichiarato a fanpage.it, nel caso in cui anche Scotto e Rizzuto fossero condannati, il padre e suocero dei due giovani sposi taglierà la barba che non rade da allora. Ma non è ancora il momento di considerare chiuso il caso, per Vincenzo. È forse il momento, ha detto, di rimuovere la scritta che si trova sulla lapide della moglie: «qui giace Schiera Augusta, mamma dell’agente Agostino. Una mamma in attesa di verità e giustizia, anche oltre la morte».

Trentaquattro anni sono tanti, sono una vita dentro l’altra, ma a qualcosa pare siano serviti. L’avvocato Fabio Repici, difensore della famiglia Agostino, al termine del processo ha ribadito quanto afferma da tempo, ossia il fatto che in questo Paese la giustizia abbia bisogno degli sforzi immani dei cittadini, dei famigliari, a fronte dei mascheramenti operati da alcune frange dello Stato, dei depistaggi o delle amnesie di alcuni protagonisti di quelle vicende. E, soprattutto, Repici ha ringraziato il senatore Roberto Scarpinato o, meglio, l’allora procuratore generale Scarpinato, senza il quale il processo sarebbe rimasto insabbiato nel nulla, lasciando a Vincenzo Agostino e a sua moglie un dolore privo di riscatto.


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