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OXFAM - EMERGENCY: “COVID19, le varianti potrebbero rendere inefficaci gli attuali vaccini in meno di un anno”

Una nuova indagine realizzata tra 77 epidemiologi di 28 Paesi rivela come senza una campagna vaccinale di massa a livello globale sarà impossibile sconfiggere la pandemia

di Redazione - mercoledì 31 marzo 2021 - 1506 letture

Una nuova indagine realizzata tra 77 epidemiologi di 28 Paesi rivela come senza una campagna vaccinale di massa a livello globale sarà impossibile sconfiggere la pandemia: per i 2/3 degli esperti intervistati potremmo avere meno di 12 mesi per non vanificare l’efficacia dei vaccini già approvati.

Solo 1 su 8 ritiene che i vaccini attuali funzioneranno con qualunque variante. L’88% ritiene che una bassa copertura vaccinale consenta lo sviluppo di varianti

Appello urgente a Governi e Big Pharma per una condivisione di tecnologie e brevetti, in vista della riunione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio in programma ad aprile. Di questo passo anche gli sforzi dell’Italia per una campagna vaccinale di massa rischiano di essere vani.

Roma, 30 marzo 2021_ Senza una campagna di vaccinazione di massa a livello globale, in tempi brevi, le varianti del Covid19 sono destinate a prendere il sopravvento allungando, di molto, i tempi necessari a sconfiggere la pandemia e aumentando a dismisura il numero di contagi e vittime.

È quanto rivela un nuova indagine - realizzata dalla People’s Veccine Alliance (PVA) di cui Oxfam e EMERGENCY sono membri – secondo cui 2/3 dei 77 epidemiologi interpellati provenienti da 28 diversi paesi avvertono che abbiamo al massimo un anno per non vanificare l’efficacia dei vaccini di prima generazione fin qui sviluppati e contenere le mutazioni del virus; un terzo ritiene che il tempo sia inferiore a 9 mesi; solo meno di 1 su 8 valuta che i vaccini a disposizione funzioneranno qualunque sia la mutazione.

La stragrande maggioranza degli epidemiologi, l’88%, pensa inoltre che se non si aumenterà la copertura vaccinale in molti paesi potrebbe favorire il sorgere di varianti del virus resistenti al vaccino.

A questo ritmo solo 1 persona su 10 nei paesi in via di sviluppo sarà vaccinata nel prossimo anno

Secondo i calcoli della PVA, al ritmo attuale però solo il 10% della popolazione nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo sarà vaccinata nel prossimo anno. Quasi tre quarti degli esperti coinvolti è convinto che la condivisione della tecnologia e la sospensione della proprietà intellettuale siano gli strumenti per aumentare la produzione mondiale di dosi.

“Fino a quando soltanto una parte della popolazione mondiale avrà accesso ai vaccini, il virus avrà la possibilità di circolare, di replicarsi velocemente e quindi di mutare. I dati di cui disponiamo oggi ci suggeriscono che non abbiamo molto tempo, probabilmente tra 9 mesi e un anno, prima che si sviluppino e diffondano mutazioni del virus che riducano l’efficacia dei vaccini attualmente disponibili. Questa è una guerra che i paesi ricchi non possono vincere da soli”, spiega Antonino Di Caro, virologo dell’Istituto Nazionale di Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”

L’indagine mostra dunque quanto sia cruciale garantire l’accesso ai vaccini anti Covid il prima possibile anche nei paesi più poveri, dato che l’attuale disuguaglianza di accesso non fa che dare il tempo alle varianti del virus di moltiplicarsi.

“Nonostante sia ormai evidente che solo la condivisione della tecnologia e la sospensione della proprietà intellettuale possano garantire una aumento di dosi disponibili, assistiamo ancora alla difesa dei monopoli di Big Pharma da parte dei paesi ricchi, con la conseguenza che una manciata di colossi farmaceutici decidono chi debba vivere o morire. Proprio all’inizio di marzo abbiamo assistito al blocco della proposta avanzata da India e Sud Africa di sospensione dei diritti di proprietà intellettuale.- – hanno detto Sara Albiani, responsabile salute globale di Oxfam Italia e Rossella Miccio, Presidente di EMERGENCY – In questo momento i milioni di persone che si sono già vaccinate negli Usa, nel Regno Unito o nei paesi europei si sentono più al sicuro, ma come dimostrano i risultati dell’indagine presentata oggi, c’è il rischio altissimo che senza un cambio radicale nelle politiche di accesso ai vaccini, tutti gli sforzi fatti fin qui potrebbero essere vani. Rendere accessibili i vaccini anche nei paesi poveri significa oggi più che mai proteggerci tutti”.

Senza un’azione decisa sulle cause della carenza di dosi, anche la campagna vaccinale italiana potrebbero fallire

“Accogliamo con favore l’intenzione di approntare a livello organizzativo una campagna vaccinale di massa in breve tempo in Italia, annunciata ieri dal Commissario all’emergenza Francesco Figliuolo, sull’esempio degli sforzi che si stanno mettendo in campo in Liguria. Ma se anche l’Italia insieme alle Ue non si impegneranno a fondo per un cambio di impostazione sulle cause che stanno determinando la carenza di dosi, ogni sforzo peri prossimi mesi rischia di essere vano. – aggiungono Albiani e Miccio – Per questo è cruciale fare pressione adesso sui colossi farmaceutici perché rinuncino ai diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Se fossimo in guerra con un paese chiamato COVID, i governi lascerebbero decisioni vitali su produzione, fornitura e prezzo nelle mani delle aziende produttrici di armi? Dato che i vaccini sono la migliore arma che abbiamo contro la pandemia, quanto possono ancora aspettare i leader mondiali per assumere decisioni politiche che invertano la tendenza e consentano a tutte le aziende in grado di poter produrre i vaccini di partecipare allo sforzo per vincere questa battaglia?”

Anche i vaccini di seconda generazione saranno sottoposti al monopolio delle Big Pharma?

Gli attuali vaccini sembrano essere almeno in parte efficaci contro le principali varianti, ma se si rendesse necessaria una seconda generazione ci vorranno mesi prima di arrivare all’approvazione e a un effettivo utilizzo. Nel frattempo chiusure e divieti di spostamento saranno l’unica forma di prevenzione per evitare nuovi contagi e decessi.

Ma il paradosso – avvertono le due organizzazioni - è che di questo passo anche i vaccini di seconda generazione allo studio per contrastare le varianti del virus, potranno essere soggetti al regime di monopolio garantito all’industria farmaceutica, quindi ancora una volta potremo andare incontro a scarsità di produzione e disuguaglianza nell’accesso. Un circolo vizioso che vedrà la fine solo rendendo i vaccini un bene pubblico globale.

Da qui l’appello urgente ai Governi dei paesi ricchi per un autentico cambio di rotta, a partire dai colloqui che si terranno alla prossima riunione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, in programma ad aprile. PVA ribadisce inoltre a governi e aziende farmaceutiche la richiesta di condividere la tecnologia e i piani di sviluppo dei vaccini attraverso il Covid Technology Access Pool (CTAP) dell’OMS.

NOTE

Dei 77 epidemiologi intervistati nel sondaggio:

• Il 66,2% pensa che abbiamo un anno o meno prima che il virus muti al punto di rendere inefficaci i vaccini di prima generazione (il 18,2% pensa che abbiamo 6 mesi o meno e il 32,5% 9 mesi o meno).

• Il 7,8% pensava che non avremmo mai assistito a mutazioni che rendessero inefficaci gli attuali vaccini e che fossero necessari vaccini nuovi o modificati e un altro 7,8% non si sentiva sicuro di fare una stima sui tempi. Il 18,2% pensava che avessimo 2 anni o più, prima che le mutazioni rendessero inefficaci i vaccini attuali e fossero necessari vaccini nuovi o modificati.

• Il 74% ha dichiarato che la condivisione del kow-how e della proprietà intellettuale dei brevetti potrebbe aumentare la copertura vaccinale globale. Il 23% ha detto forse e il 3% ha detto di no.

• L’88,3% ha affermato che la persistente bassa copertura vaccinale in molti paesi rende più probabile la comparsa di mutazioni resistenti al vaccino, il 6,5% pensa di no e il 5,2% non ha risposto alla domanda. L’indagine è stata condotta tra il 17 febbraio e il 25 marzo 2021.

Gli intervistati includono epidemiologi, virologi e specialisti in malattie infettive delle seguenti università / istituzioni:

Ospedale universitario di Aalborg in Danimarca, Académie nationale de médecine a Parigi, Africa Centers for Disease Control and Prevention, Amader Hospital India, AMREF International University in Kenya, Belgian Lung and Tuberculosis Association, Cambridge University, Center for Family Health Research in Zambia, Centers for Disease Control & Prevention in South Sudan, Center for Infections Disease research Zambia, Columbia University USA, Complutense University di Madrid, Danish Medical Association, école de santé publique de l’Université a Montréal, Emory University USA, Forum for ethics review committees in India , fundacion huesped in Argentina, Georgetown USA, Good Clinical Practice Alliance - Europe (GCPA), Hamdard University in India, Ibn Sina Academy of Medicine and Sciences in India, Imperial College London, Institute of Human Virology, University of Maryland School of Medicine USA , ISPG - Instituto Superior Politecnico de Gaza, Johns Hopkins University USA, Johnson & Johnson, Kabale U università in Uganda, Kenya Medical Research Institute, Lebanese University, London School of Hygiene and Tropical Medicine, Makerere University in Uganda, Movement for Community-led Development, Mpilonhle in South Africa, National Institute for Infectious Diseases Lazzaro Spallanzani in Italy, National Research Ethics Board / PREVAIL in Liberia, OTRANS-RN in Guatemala, Oxford University Clinical Research Unit in Vietnam, Portland State University School of Public Health USA, St.Luke’s Medical Center nelle Filippine, Tufts University USA, University College London UK, University College London Institute for Global Health UK, University of Cape Town, Cliniques Universitaires Saint-Luc in Belgio, University of the East Ramon Magsaysay nelle Filippine, UK Emergency Medical Team, Unicamillus International University of Medical Science in Italia, Union of Junior Doctors in Danimarca, Universidad Autónoma Gabriel Rene Moreno in Bolivia, Universidad Nacional del Litoral in Argentina, Unive rsity of Cambridge UK, University of Cape Town in South Africa, University of Edinburgh UK, University of Maryland USA, University of Oxford, University of Pretoria in South Africa, University of Southern Denmark, University of Zimbabwe, University of Zambia, Walter Sisulu University in Sud Africa, Organizzazione Mondiale della Sanità in India, Wits University in Sud Africa e Yale School of Public Health USA.

Gli intervistati provengono da 28 paesi: Algeria, Argentina, Australia, Belgio, Bolivia, Canada, Danimarca, Etiopia, Francia, Guatemala, India, Italia, Kenya, Libano, Norvegia, Filippine, Senegal, Somalia, Sud Africa, Sud Sudan, Spagna, Emirati Arabi Uniti, Uganda, Regno Unito, Stati Uniti, Vietnam, Zambia e Zimbabwe.


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