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Mondiali

La gestione della crisi mondiale è tutta sul piano finanziario, lo stesso che l’ha determinata, senza intervenire sull’economia reale.

di Piero Buscemi - mercoledì 26 maggio 2010 - 2363 letture

Dopo Grecia e Spagna, anche l’Italia si appresta ad aprire la stagione dei "tagli". La scelta della data per promuovere questo provvedimento e consegnarlo agli italiani non è casuale. In aiuto al Governo l’imminente manifestazione internazionale, che terrà impegnati i calciofili nelle prossime settimane, sarà un ottimo espediente per distrarre la loro attenzione su problemi che si troveranno ad affrontare dopo l’estate. E per i prossimi tre anni.

La propaganda avviata in questi giorni merita un applauso. Più fermo e significativo dello stesso Premier, che manda avanti ormai da mesi il Ministro della Difesa, più abituato alle insidie del fronte popolare che continua a manifestare nelle piazze, sperando in un ravvedimento generale.

Era iniziata con le notizie altalenanti sulla crisi mondiale, nonché italiana, con le quali a seconda del consenso del momento, l’Italia era il paese migliore nell’averla affrontata e risolta ed anzi, senza peccare di presunzione, da emulare da parte degli altri componenti della Comunità Europea.

Nel frattempo era esplosa la questione della Grecia, che con manovre azzardate e prive di una logica economica da parte degli amministratori greci, hanno riempito le pagine dei quotidiani internazionali lasciando ampi spazi a congetture che potessero coinvolgere altri paesi quali il Portogallo, la Spagna e la stessa Italia.

L’idea migliore è arrivata alle orecchie del nostro Ministro dell’Economia da parte dell’iberico Zapatero: sulla scia dei provvedimenti ellenici quali il taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici del 30%, l’annullamento della tredicesima e della quattordicesima e l’allungamento dell’età pensionabile, lo spagnolo si è limitato a tagliare gli stipendi pubblici del 5%, ridurre di 15.000 unità del Pubblico Impiego e un ritocco alle pensioni.

Accodarsi a questa ondata di riformismo europeo, con l’opportunità di poter imitare dei provvedimenti emanati da un governo di sinistra, quale quello spagnolo, non poteva che essere la logica conseguenza. Quindi anche in Italia si è pensato di andare a scavare ulteriormente nelle risorse dei ceti con meno opportunità di evasione fiscale: lavoratori pubblici e pensionati.

Come in altre occasioni, il Governo italiano riesce sempre a migliorare le idee degli altri: blocco immediato del rinnovo dei contratti del Pubblico Impiego fino al 2013 (questo significa che potrebbe slittare di qualche anno ancora, non essendo possibile ipotizzare che ci possa essere già un accordo scritto per quella data); blocco delle assunzioni che dura ormai da più di un decennio; riduzione delle finestre di pensionamento che, nel giro di un paio d’anni, passerebbero dalle attuali quattro a due il prossimo anno e ad una l’anno successivo.

Una riforma che, come al solito, non tiene conto di quei fattori sociali che contrastano con i provvedimenti proposti: vivere in un paese con i salari tra i più bassi ma con un prelievo fiscale tra i più alti (26° posto per i salari e 6° posto per il prelievo fiscale tra i paesi industrializzati), aggravato da una forte evasione fiscale, evince una scelta opportunistica sulla strada da percorrere per uscire questa crisi, che di volta in volta, rappresenta la cartina tornasole del “buon governo” e della sua efficienza o la giustificazione ai “sacrifici” necessari di una parte della popolazione.


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