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Miti, Eroine e Ribelli

Tra Caravaggio, Artemisia Gentileschi e Tamara De Lempicka

di Piero Buscemi - mercoledì 26 ottobre 2022 - 7741 letture

Se il mondo non avesse conosciuto i sentimenti di sopruso, discriminazione e arroganza, forse la Storia non avrebbe avuto bisogno di miti, eroine e ribelli. Tre espressioni sociali che nei secoli sono state esternate spesso utilizzando l’arte. Una sorta di ricompensa e stimolo creativo per chi ha vissuto in prima persona la vergogna della violenza, manifestata in ogni sua sfacettatura.

Raccogliamo queste testimonianze di sensazioni, dolore, rabbia. Artisti che hanno cavalcato i secoli da ribelli del loro tempo, consegnando a noi eredi del passato un messaggio visivo di profondo interiorismo da contrapporre ad abusi di potere e ideali traviati di superiorità.

La mostra "Miti, Eroine Ribelli" si è chiusa, ma speriamo in una proroga, presso il Convitto delle Arti a Noto, una delle tanti capitali del barocco siciliano. Inaugurata il 23 aprile ha visto il suo epilogo domenica 23 ottobre. Prodotta e organizzata da Gianni Filippini e Florinda Vicari per Mediatica - World Company Ideas, la mostra è stata curata da Pierluigi Carofano e Tamara Cini.

La mostra cerca di raccontarci almeno quattro secoli di condanne, di vessazioni, di ostacoli culturali che hanno sempre caratterizzato l’essere umano e che hanno fatto della donna la vittima preferita di una cultura restrittiva e machista.

Attraverso appunto quattro secoli di arte figurativa, spaziando dagli inizi del ’600 fino ai giorni nostri, testimonia l’artista donna che si ribella al suo tempo e alla chiusura mentale degna del peggior oscurantismo. Il ruolo della donna, relegata a comparsa della vita sociale viene contrastato da una pittura decisa, crudele e appunto ribelle, nella drammaticità dei personaggi raffigurati e nella simbologia sovversiva di una violenza ripagata con la "violenza" creativa.

Teste di uomini mozzate e in mano a donne bellissime ma determinate a rivendicare il proprio ruolo, in pieno stile artistico figlio del più classico Caravaggio. Tele che costringono il visitatore a fermarsi e a riflettere su queste metafore di snaturamento della figura gentile e assecondante della donna che anche i testi letterari hanno dipinto come unica possibile.

Tra le tante artiste rappresentate in questa mostra, non poteva mancare Artemisia, una delle più significative espressioni femminili della scuola caravaggesca, vittima di un vergognoso stupro a opera del suo maestro d’arte Agostino Tassi. Una ribellione manifestata con il coraggio di affrontare il processo intentato nei confronti del Tassi e impresso nelle sue tele che restituiscono al visitatore la crudeltà di un mondo al quale idealmente respingere l’arroganza maschile con la simbologia raffigurata nelle sue opere, dove l’uomo diventa vittima della sua ottusità. Oltre che di se stesso.

Quando il tema di un messaggio culturale è racchiuso nella ribellione, se questo è offerto alla platea come un’occasione di riscatto sociale, non possono mancare Frida Kahlo e Alda Merini all’interno di una mostra che ha nella femminilità rivoluzionaria il filo conduttore che racchiude secoli di storia di rivendicazione di identità, ancora nei giorni nostri repressa e spesso annientata da un vile omicidio.

Un quadro sembra voler riprendere la cruda attualità dei nostri tempi e la vicenda recente di Mahsa Amini, la ragazza ventiduenne assassinata in Iran, che ha suscitato ribrezzo e stimolato innumerevoli manifestazioni di piazza con il taglio dei capelli, come simbolo di protesta al regime. L’autore è Alessandro Tiarini che lo dipinse nel ’600 e si intitola Erminia, Tancredi e Vafrino e raffigura una ragazza intenta a tagliarsi i lunghi capelli con la forbice (foto Mostra3).

Una sezione dedicata meriterebbe Tamara de Lempicka, protagonista anche lei di questa mostra. La pittrice polacca che ha consegnato alle successive generazioni le tele raffiguranti un mondo sfavillante e ricco di un lusso sfrenato nella Parigi degli anni ’20. Una delle artiste più poliedriche che seppe, negli anni del Futurismo di Marinetti e del Cubismo di Picasso, ritagliarsi uno spazio artistico personale ed esclusivo.

In una sala espositiva è possibile anche ammirare un allestimento singolare, opera dell’estrosa e geniale artista giapponese Yayoi Kusama. Dei pannelli gialli a pois e delle sfere nere e gialle appese al soffitto. Una metafora delle sue allucinazioni visive e uditive, delle quali soffrì l’artista sin da bambina, trasformata in una singolare terapia psicologica a contrastare una forma di follia, che appartiene a tutti.

Sì, se non ci fossero le arroganze del mondo, non avremmo bisogno di eroine ed eroi. Una condizione che ci avrebbe precluso dei capolavori ammirati nelle sale espositive del Convitto delle Arti di Noto. Una rinuncia che accende sicuramente uno scrupolo di coscienza.

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