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Metti una sede Inps a Rossano...

Un articolo di Gian Antonio Stella sulla situazione creatasi a Rossano, in Calabria. La storia di Maria Giovanna Cassiano, "l’eroina che sventò la truffa all’Inps".

di Sergej - giovedì 3 settembre 2009 - 3080 letture

La vicenda denunciata da Gian Antonio Stella è in qualche modo esemplare: "Mogli, cognati, sorelle, fratelli, cugini, parenti e amici di uomini di rispetto si spacciavano per braccianti agricoli senza esserlo". La cosa è stata scoperta a Rossano, in Calabria, ma potrebbe benissimo essere accaduta in qualsiasi altra città del Meridione. O del Settentrione... L’articolo di Stella è stato pubblicato il 19 agosto 2009 sul Corriere della Sera.


C’ è una piccola grande donna da proteggere, in Calabria. Una donna che sta rischiando grosso per aver fatto un gesto che da qualunque altra parte del mondo occidentale, da Helsinki a Vancouver, è ovvio e normale: ha passato ai giudici i documenti d’una truffa all’Inps. Truffa che per anni aveva fatto scrosciare acquazzoni di denaro su mogli, cognati, sorelle, fratelli, cugini, parenti e amici di uomini di rispetto che si spacciavano, senza esserlo, per «braccianti agricoli».

La signora, eroina suo malgrado in un paese dove la semplice osservanza delle leggi può richiedere un coraggio straordinario (come quello che costò la vita a Giovanni Bonsignore, un funzionario regionale siciliano reo di avere denunciato la truffa di una cooperativa) si chiama Maria Giovanna Cassiano, è la dirigente della sede Inps di Rossano, sulla costa dello Jonio in provincia di Cosenza e da due mesi vive sotto scorta dopo essere stata pesantemente minacciata.

Non è una testa di cuoio, non è uno specialista scelto dei carabinieri, non è un poliziotto delle squadre speciali, non è un magistrato d’assalto in guerra con la mafia. È solo una funzionaria di medio livello di un ente pubblico come l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale che ha fatto quanto le era stato chiesto da Roma: controllare come mai nell’area della Sibaritide ci fossero così tanti braccianti agricoli e come mai risultassero così tante giornate di malattia e maternità e indennità di disoccupazione. Una procedura standard, in questi casi.

Prova ne sia che ieri le agenzie davano la notizia di un’altra indagine, per molti versi simile in provincia di Taranto, dove la Guardia di Finanza ha denunciato 363 persone per una truffa organizzata da un’azienda agricola che dal 2003 al 2007 avrebbe simulato una gran quantità di false assunzioni di braccianti agricoli fregando all’Inps, in indennità previdenziali e assistenziali varie, almeno un milione e 200mila euro.

L’inchiesta di Rossano condotta su disposizione della magistratura dai finanzieri del capitano Giovanni D’Acunto, per quanto sia soltanto agli inizi, ha già sollevato il coperchio su qualcosa di più profondo, di più malato, di più pericoloso di tante truffe tradizionali. Dietro alle tre cooperative smascherate fino ad oggi, la «San Francesco», la «Eurosibaris» e la «Meridionale» (altre sono passate al setaccio in questi giorni) c’era infatti l’ombra, attraverso prestanome o addirittura persone che sarebbero risultate del tutto ignare di essere state usate come copertura, di tre famiglie legate a uomini della ’ndrangheta. Uomini che, come dicevamo, avrebbero arrotondato gli incassi di altri affari più o meno illeciti distribuendo La nei dintorni (mogli, fratelli, cognati, parenti...) la qualifica (e le prebende) di «bracciante agricolo».

Nella maggioranza dei casi, da quanto è emerso, era tutto falso. Falsi i poderi dove i falsi braccianti figuravano aver lavorato, false le coltivazioni dove sarebbero stati impegnati, falsi i certificati catastali, false le planimetrie e i timbri e tutti ma proprio tutti i documenti dei vari uffici. E quando un campo di pomodori o di meloni da raccogliere c’era sul serio, raccontano gli investigatori, le cooperative ci mandavano non quei lavoratori che risultavano all’Inps (poveretti, che scomodità...) ma immigrati pagati in nero e senza alcuna tutela previdenziale e sindacale. Un quadro pazzesco. Concepito dagli organizzatori nella convinzione della totale impunità. Un quadro nel quale spiccano storie, nella loro perversione, assolutamente fantastiche. Come quella di una cooperativa che nel giro di un solo anno avrebbe rastrellato un monte salari di un milione e ottocentomila euro circa senza essere in grado di esibire un solo documento contabile. «Che storia è questa?», hanno chiesto al presidente. E quello: «Ho sempre fatto tutto coi contanti».

Quanto siano riusciti a sottrarre all’Inps tutti quei falsi braccianti, che dopo aver finto di avere lavorato per un certo periodo si spacciavano per «cinquantunisti» (51 giorni l’anno di lavoro), «centunisti» (101 giorni) o «centocinquantunisti» (151) chiedendo quindi indennità varie di malattia, disoccupazione e maternità, non si sa ancora. In un solo anno, ha scritto il direttore del Quotidiano di Calabria Matteo Cosenza denunciando i tormenti di Maria Giovanna Cassiano, si parla di «circa centomila certificati di malattia», di migliaia di persone coinvolte e di «somme stratosferiche per l’Inps: mediamente 4-5 milioni di euro a cooperativa » .

Domanda: può una situazione del genere gonfiarsi per anni e anni senza una qualche accondiscendenza di troppa gente che sapeva e faceva finta di non sapere? È dura da credere. Tanto più che esattamente lo stesso scandalo era scoppiato non molti anni fa nell’area di Gioia Tauro. Dove i magistrati, interrogandosi su «come mai la Calabria ha un ventottesimo della popolazione italiana ma un bracciante stagionale su sette?» scoprirono che «nove braccianti agricoli su dieci » erano fasulli: motociclisti con Honda costosissime, mamme incinte al nono mese, detenuti che figuravano al lavoro mentre erano in cella, studentesse con le unghie laccate e i tacchi a spillo. Tutti «raccoglitori di olive» in uliveti che figuravano catastalmente piantati perfino sulle banchine e nell’acqua del porto di Gioia.

Eppure, pare impossibile, contro la decisione dell’Inps di non sganciare più un euro a tutti i soci delle cooperative taroccate fino alla chiusura delle indagini sono scoppiati nella Sibaritide focolai di rivolta. Le minacce che abbiamo detto alla signora Cassiano. Un tentativo di bloccare la festa patronale di Maria Santissima Archiropita. Due blocchi, a fine luglio e poi di nuovo l’altro pomeriggio, dalle 12 alle 20.30, con ingorghi giganteschi e turisti inveleniti, della statale E 90 che costeggia lo Jonio da Taranto a Reggio.

Peggio, la rivolta è cavalcata da un pezzo del mondo politico. Porta voti, cavalcare queste ribellioni. Per informazioni, chiedete ad Antonio Caravetta, l’uomo forte dell’Udc. Consigliere comunale a Corigliano e recordman di preferenze in zona alle ultime provinciali. Da sempre punto di riferimento dei «braccianti». Com’è scoppiato il casino, ha subito emesso un comunicato: «L’arroganza e l’insensibilità nei confronti dei tanti lavoratori agricoli della Piana di Sibari...».


Fonte: L’eroina che sventò la truffa all’INPS, di Gian Antonio Stella


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