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Marzamemi sott’acqua

Flagellata da giorni da un forte scirocco, la costa orientale siciliana ha mostrato tutti i suoi limiti nel rapporto tra natura e sfruttamento del territorio.

di Piero Buscemi - martedì 4 febbraio 2014 - 3568 letture

Il titolo potrebbe ricordare uno spot pubblicitario da lanciare per la prossima stagione estiva da trascorrere nel piccolo borgo marinaro del siracusano. E in effetti, se l’acqua alta a Venezia attira da sempre migliaia di curiosi da ogni parte del mondo che, forse, in condizioni di disagio, vivono per pochi giorni un clima di ristrettezze medioevali, lo stesso fenomeno si è ripetuto durante questa prima fine settimana di inizio febbraio.

La scarsa memoria storica, poi, aiuta a rendere ogni evento vissuto come qualcosa di esclusivo e straordinario. Dimostrazione di quanto detto ce l’hanno data i vari pescatori e proprietari dei locali, che abbiamo incontrato tra sabato e domenica a Marzamemi, intenti a fare una sommaria conta dei danni e un amarcord personale da accostare al nuovo spettacolo che la natura ha voluto concederci. Gratuitamente.

Alcuni ricordavano una mareggiata di tale intensità avvenuta nel 1991. Davvero sorprendente la citazione dell’anno così precisa. Perché in questi casi, la precisione fa la differenza tra un ricordo avventato (che qui si traduce in siciliano: ’na minchiata d’un rimbambinutu) e la nostalgia di un tempo andato che si è trascinato dietro anche quel poco di poesia che una tempesta di mare evocava.

Altri sono passati subito al sodo. Senza bisogno di particolari domande che suggerissero prese di posizione e congetture di varia "natura" che giustificassero le conseguenze del maltempo, un la iniziale di un tizio che giustificava l’allagamento della Balata, la nota piazzetta ricca di locali a ridosso della vecchia tonnara e del molo del porticciolo del paese, con la costruzione senza criterio del braccio portuale che, a sua detta, avrebbe cambiato la direzione delle correnti e quindi, anche il flusso ondoso delle solite mareggiate invernali.

Riuscire a dare un’approvazione o una smentita a questo signore, è davvero cosa ardua. Le recenti indagini ambientali che hanno coinvolto una zona relativamente vicina a Marzamemi, quella di Donnalucata nel ragusano che, dopo la costruzione dei frangiflutti artificiali, posti al largo a protezione della costa, sembra abbia causato un’erosione dell’arenile, provocando un imprevisto danno ambientale, fa intuire che neanche i tecnici hanno le idee molto chiare.

Ma quel la è stato sufficiente per raccogliere varie interpretazioni e ipotetiche soluzioni al problema che, qui occorre essere un po’ demagoghi, sono state affidate a più riprese agli amministratori scelti con largo consenso, per trasformarli davanti alle catastrofi in “creatori” e distruttori del bene comune.

I danni, senza dubbio, ci sono stati. La conta, che a nostro giudizio rimarrà calcolata per difetto, conterrà diversi zeri. Quelli che siamo riusciti a documentare sono una minima parte di quelli che verranno inventariati quando le acque si saranno ritirate. La forza del mare è indiscutibile. Il mare, poi, come del resto l’insieme delle attrattive naturali e architettoniche del borgo, banalmente meriterebbero maggior rispetto. Ma il mare, in particolare, supera questo semplice concetto. Perché il mare non chiede rispetto. Il mare lo pretende e, come si è potuto registrare in molte occasioni anche del passato recente, non ha bisogno di venirlo a chiedere, il rispetto. Se lo prende e basta.

Anche questa ultima affermazione ha il sapore della banalità. Peccato che sia una banalità troppo spesso sottovalutata. Girare per le stradine di Marzamemi permette anche al più semplice profano di intuire che la natura, questa volta è toccato al mare interpretarla, ha una licenza a tempo indeterminato per riprendersi ciò che negli anni l’uomo le ha sottratto. Tre giorni di scirocco sono più che sufficienti per dimostrare questa formula di vita.

Queste giornate di sferzante scirocco e di pioggia battente, hanno lasciato alla cronaca anche una triste pagina di tragedia. La vicenda del torrente a ridosso della cittadina di Noto, che si è trascinato tre vite per la sufficienza e l’azzardo dei protagonisti, ha bisogno di concrete attribuzioni di responsabilità che non possono solo ricadere su chi ha commesso l’imprudenza, ma anche su chi dovrebbe decidere di chiudere l’accesso a quella inutile scorciatoia, non così necessaria come si è potuto vedere dalle prime indagini su quanto accaduto.

L’unica, forse, consolazione che rimane è che, osservare quei milioni di metri cubi di acqua salata che sono in grado di ridisegnare a piacimento intere cartine geografiche costiere, lasciano sempre la sensazione di un non so che di rigenerativo. Una rigenerazione alla quale, però, l’uomo con tutta la sua arrogante ingenuità, non è e mai lo sarà, appartenuto.

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