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Lebanon, film vincitore del Festival di Venezia

di Dario Adamo - mercoledì 16 settembre 2009 - 4046 letture

Un carro armato valica il confine libanese, in avanscoperta verso una zona già rasa al suolo dai servizi aerei israeliani. Quattro soldati alle prime armi e non in senso metaforico, ma con le dita sui grilletti di armi pronte a colpire persone vere e non bersagli da esercitazione. Tutto il panico vissuto da chi in guerra non c’è mai stato, ma costretto dal servizio di leva viene catapultato nell’inferno terreno, fatto di blitz e di bombe al fosforo. Vorrebbe scappare ma non può farlo, chiuso in pochi metri quadrati corazzati che lo dovrebbero difendere dal fuoco nemico. Un desiderio da esprimere: dire alla propria madre che sta bene e che tornerà presto.

Il regista israeliano Samuel Maoz sceglie un film di guerra intenso e claustrofobico per farsi conoscere dal pubblico internazionale e il lido di Venezia non poteva risultare migliore vetrina. Il film proiettato l’ 8 settembre alla sala darsena ha convinto il pubblico presente e ha conquistato il prestigioso Leone d’Oro come miglior film in concorso.

Lebanon è il risultato di ciò che questo regista esordiente ha vissuto vent’anni fa’ quando si è trovato coinvolto nel conflitto libanese mentre “scontava” i suoi mesi di leva e che finalmente si è potuto trasformare in un film. L’esperienza della guerra è qui narrata attraverso le paure e le angosce di quattro giovani soldati senza alcuna esperienza che trascorrono ventiquattro ore nel panico di non sapere se quell’attacco si è trasformato in un incubo senza via di scampo. La macchina da presa si muove esclusivamente all’interno del mezzo da dove i soldati si scambiano ordini e paure, tra gesti di disperato cameratismo e incontrollabili slanci di nervi. “Il carro armato era diventato un personaggio alla stregua di tutti gli altri” ha detto a proposito il regista durante la conferenza stampa del film che è seguita alla proiezione.“Parte fondamentale del mio lavoro è stato mettere gli attori in un particolare stato emozionale che evidenziasse quell’angoscia che prova chi si ritrova nel bel mezzo di una guerra che non capisce”.

Una grande prova attoriale per i quattro interpreti protagonisti della vicenda e in generale un ulteriore segnale positivo che viene da certo cinema israeliano in grado di confrontarsi adeguatamente con eventi non certo facili da affrontare, tenendosi a debita distanza da facili pietosismi e senza scadere pedantemente nel machiettismo bellico.


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