La scuola femminile a Lentini in epoca borbonica

Nell’opinione pubblica generale siciliana e nelle politiche scolastiche comunali, tra il XVIII e il XIX secolo, era assai diffusa l’avversione verso l’istruzione femminile. Una nota ministeriale del 17 luglio 1858 del Consiglio Generale della Pubblica Istruzione lamentava, infatti, come fosse ancora forte "il pregiudizio dannosissimo di vietare alle fanciulle di apprendere il leggere e lo scrivere e quindi l’aritmetica tanto utile all’economia domestica e rurale".

di Loredana Nigro

Introduzione

Nell’opinione pubblica generale siciliana e nelle politiche scolastiche comunali, tra il XVIII e il XIX secolo, era assai diffusa l’avversione verso l’istruzione femminile. Una nota ministeriale del 17 luglio 1858 del Consiglio Generale della Pubblica Istruzione lamentava, infatti, come fosse ancora forte "il pregiudizio dannosissimo di vietare alle fanciulle di apprendere il leggere e lo scrivere e quindi l’aritmetica tanto utile all’economia domestica e rurale".

E tuttavia il problema dell’istruzione delle fanciulle, sebbene con interesse insufficiente e diseguale rispetto a quello dell’istruzione dei fanciulli, fu oggetto di attenzione da parte del potere politico, lungo il corso dei settanta anni di vita (1790-1860) dell’istruzione pubblica in periodo borbonico. Un percorso di cui è utile ripercorrere le tappe fondamentali per capire entro quale contesto fu affrontato il problema dell’istruzione pubblica delle fanciulle. La scuola pubblica in Sicilia nacque alla fine del XVIII secolo, sotto il regno di Ferdinando III di Borbone. Egli, già alla fine del 1700, sollecitato dal suo primo ministro, il riformista toscano Tanucci , aveva inviato il padre celestino Vuoli ad apprendere la nuova organizzazione delle scuole normali austriache, affidandogli poi la divulgazione del metodo nei propri domini.

Il Vuoli fu strenuo difensore dell’istruzione pubblica e fu un divulgatore assiduo del metodo "normale". Per opera sua si formò a Napoli un piccolo gruppo di maestri esperti in questo nuovo metodo d’insegnamento che furono punto di riferimento per la formazione dei maestri del regno. In Sicilia, in particolare, l’organizzazione della scuola pubblica fu oggetto di attenzioni sotto il viceré Caramanico (1786-1795), successore del Caracciolo (1781-1785) e suo continuatore in fatto di riforme. Negli anni dal 1781 al 1794 la monarchia borbonica sollecitò e sostenne l’opera riformatrice dei viceré Caracciolo e Caramanico, all’interno della quale Agostino De Cosmi inserì, nel 1788, il primo esperimento di scuola popolare pubblica . De Cosmi aveva perfezionato la sua preparazione a Napoli, dove, con altri 40 religiosi della Sicilia, aveva frequentato il corso sul metodo normale tedesco tenuto dai padri celestini Vuoli e Gentile . Al suo rientro, con decreto del 21 marzo 1788, fu incaricato dal Caramanico di istituire le scuole normali in Sicilia. L’organizzazione della scuola pubblica delineata dal De Cosmi prevedeva i seguenti corsi:
 un corso di due anni in cui si insegnava a leggere e scrivere e i primi rudimenti di grammatica (la Scuola Primaria)
 un secondo corso di due anni di grammatica superiore, cui si accedeva a 10 anni (la Scuola di Grammatica);
 un corso di due anni di latino (la Scuola di Umanità o Belle lettere). Alla fine della scuola primaria veniva rilasciato un diploma per chi non intendeva continuare gli studi. La prima scuola normale fu aperta a S. Lucia del Mele nel novembre 1788, ad opera dell’abate Carlo Santacolomba. Molti comuni, già dall’anno successivo rivolsero alla Direzione generale la richiesta di immediata istallazione di tali scuole e l’autorizzazione a mandare personale a Palermo per essere istruito nel nuovo metodo. Il Piano regolatore delle scuole normali di Sicilia del De Cosmi era accompagnato da una relazione sull’estensione dell’istruzione pubblica alle ragazze, ma esso verrà accantonato dal re e non troverà nessuna applicazione in questa primo esperimento di scuola popolare. L’unico stabilimento pubblico d’istruzione femminile, presente nell’isola in quel periodo, restò il Real Educandato Carolino, istituito a Palermo con un decreto del 1779 e collocato nel monastero di S. Francesco di Sales; esso era però riservato alle fanciulle di nobile famiglia. Per il resto tutto era demandato all’insegnamento privato e il fervore della riforma non scalfì la tradizionale diffidenza verso l’istruzione femminile. Il problema più grave era comunque costituito dalla mancanza di maestri laici ben preparati . Per risolvere questo problema vennero organizzati a Palermo corsi di formazione dei maestri tenuti da tre sacerdoti, G. Caravecchia di Palermo, G. Marsala di Girgenti e A. Maddalena di Castrogiovanni, che il De Cosmi aveva mandato a Napoli per istruirsi nel nuovo metodo e poter, quindi, far da istruttori agli altri maestri. La frequenza a questi corsi era obbligatoria e i maestri non avrebbero potuto insegnare senza la patente di frequenza . Dopo la rivoluzione francese, tuttavia, la monarchia, spaventata dai fermenti liberali suscitati da essa, aveva frenato il processo di riforme e molti municipi avevano chiuso le scuole primarie o avevano assegnato "salari così modesti da rendere indesiderabile l’ufficio di maestro". Il 6 maggio 1815, il Parlamento siciliano, formatosi a seguito della Costituzione del 1812 e che pure al suo nascere aveva mostrato interesse per la diffusione della pubblica istruzione, "nel fissare le competenze dei Consigli civici relegava le spese per l’istruzione pubblica fra quelle di seconda classe, cioè quelle meno necessarie e accantonava ogni proposito di riforma. (…) Il numero di scuole primarie normali in funzione in Sicilia nell’anno 1815 ammontava a trentacinque, ma quelle regolarmente attive, per G. E. Ortolani, erano non più di venticinque (…)". A partire dal 1819, comunque, all’interno della riforma amministrativa seguita alla costituzione del Regno delle due Sicilie (1816), l’istruzione primaria pubblica ebbe un nuovo impulso. Con il decreto del 28 gennaio 1818 veniva istituita la Commissione di Pubblica istruzione, che prendeva il posto della Deputazione agli studi per la Sicilia, con il compito di sovrintendere a tutto ciò che riguardasse l’istruzione pubblica. Con la circolare del 27 novembre 1818 la Commissione di Pubblica Istruzione, considerando "che l’istruzione primaria della gioventù costituisse la base fondamentale della coltura di una nazione e desiderando che nelle scuole addette a cotale istruzione si potesse progressivamente osservare il metodo Normale per ottenere molteplici vantaggi, che si ricavano da questo sistema di simultaneo ammaestramento…" disponeva che: a)in ogni Comune, vi fosse una scuola primaria con il compito di istruire nei primi rudimenti del leggere, scrivere e far di conto e "nelle istruzioni morali del Catechismo di Religione e de’ doveri sociali adottati dal Governo"; b)il metodo d’insegnamento dovesse essere quello delle Scuole normali; c)in ciascuno Capoluogo di Distretto venisse istituita una scuola normale che servisse da modello a tutte le scuole primarie comunali del Distretto e che "da essa avrebbero dovuto di mano in mano attingere i Maestri comunali le competenti istruzioni". Circolari successive sottolinearono e raccomandarono di guardare alle scuole primarie pubbliche come a un importantissimo strumento di educazione etico-civile delle masse popolari. La Circolare del 12 ottobre 1819 della Commissione Pubblica Istruzione così raccomandava: "In primo luogo la società deve procurare a tutti i suoi membri una primaria istruzione, dietro di cui possa rivolgersi il maggior numero spinto dalla legge imperiosa del bisogno ad uno stato prontamente produttivo. Questo grado di elementare cultura uopo è che a tutti sia comune perché tutti hanno un diritto di reclamare l’acquisto delle cognizioni utili alle arti; ed a’ mestiere, onde possa ogni individuo impiegare a suo maggior profitto le facoltà che Iddio gli ha donato. Le Scuole Primarie son destinate a diffondere questa primiera istruzione" . Inoltre, a sottolineare l’importanza che il governo dava a questo settore, la Circolare 10 dicembre 1819 dell’Intendenza di Palermo ricordava che: "Lo stato deplorevole in cui si giace l’istruzione primaria, abbandonata in gran parte alle scuole private, e quindi non diretta né da metodi opportuni ed uniformi, né da soggetti distinti per l’opinione pubblica, dovendo eccitare tutto lo zelo dei pubblici funzionari non permette, che per qualunque motivo si ritardi un momento questa desiderata riforma". Iniziava così il secondo esperimento di scuola popolare e in questo contesto s’inserì la volontà di innovazione metodologica sostenuta dall’abate Scoppa, il quale, al suo ritorno da Parigi, il 3 agosto 1817, aveva sottoposto al re una relazione sulle nuove scuole tenute con il metodo di Lancaster e Bell e dal re aveva ricevuto l’incarico "di fondare nel Regio Albergo dei poveri quella scuola di mutuo insegnamento, che aveva preceduto tutte le altre in Italia". Le scuole lancastriane, basate sul mutuo insegnamento, apparivano più idonee per un’istruzione popolare e rappresentavano il modo più opportuno per ridurre le spese comunali per i locali e per i maestri. In Sicilia, la prima scuola del genere fu aperta, con i fondi del Municipio, a Palermo, dentro l’Oratorio del Ponticello, nell’agosto 1819, "cioè a distanza di quasi due anni da quella analoga fondata a Napoli dall’abate Scoppa e di circa quattro mesi dalla prima scuola privata inaugurata in Toscana" . I moti del 1820-21 bloccarono in Sicilia, come in molte altre parti d’Italia, ogni iniziativa scolastica e con il Regolamento del 24 giugno 1821 della Commissione di Pubblica Istruzione ed Educazione, a pochissimi anni dal precedente, la normativa scolastica venne riformulata in termini reazionari e gran parte delle prerogative di gestione fu tolta all’autorità civile per essere affidata a quella vescovile. Questo processo involutivo si concluse con il decreto del 10 gennaio del 1843, con il quale Ferdinando II consegnava l’istruzione primaria alla esclusiva direzione dei Vescovi autorizzandoli "a destituire i maestri e le maestre delle scuole primarie, a sospenderli e a rimuoverli…". Il decreto stabiliva inoltre: "Art. 2 - Le scuole saranno di preferenza stabilite pe’ fanciulli ne’ Conventi e Monasteri, e per le fanciulle ne’ Ritiri e ne’ Conservatori di donne. Art. 3 - Saranno stabilite altresì scuole primarie, con il metodo di mutuo insegnamento, ne’ Capoluoghi di Provincia ed in tutti gli altri comuni che ne avranno i mezzi. Queste scuole saranno nello stesso modo affidate a’ Vescovi e da loro esclusivamente dirette per ciò che riguarda la disciplina, co’ metodi e libri elementari approvati dalla Pubblica Istruzione. (…)".

Nel generale rinnovamento suscitato dalla rivoluzione del ’48, si levarono pesanti accuse contro la politica scolastica fino ad allora condotta, e la denuncia sullo stato in cui versava l’istruzione delle fanciulle fu sollevata da parte di associazioni femminili che percepivano chiaramente la profonda differenza con il resto d’Italia . Di fatto, tuttavia, sebbene con il decreto del 3 luglio 1855 venisse revocato il decreto del 1843 e si stabilisse che i maestri e le maestre dipendessero esclusivamente dalla Commissione di Pubblica istruzione, l’istruzione femminile resterà quasi totalmente in mano ai religiosi; inoltre, nelle scuole pubbliche sia maschili che femminili, la presenza di molti insegnanti ecclesiastici e le continue interferenze dei parroci continuavano a compromettere il senso laico della stragrande maggioranza delle scuole comunali . In ultima analisi, possiamo affermare che il percorso dell’istruzione pubblica in Sicilia, durante il periodo borbonico, fu pieno di contraddizioni, fatto di interventi legislativi illuminati e di repentini arretramenti, di soluzioni pedagogiche avanzate e di pratiche educative ancorate a tradizionali pregiudizi, soprattutto nel settore dell’istruzione delle fanciulle. La monarchia borbonica, che pure tra le prime in Italia si era mossa nella direzione della pubblica istruzione, lasciò una struttura fragile, in molti casi disastrata, e per quel che riguarda l’istruzione delle fanciulle ancor più limitata, tanto da far affermare all’estensore della relazione sull’istruzione elementare in Sicilia, ordinata dal ministero dell’Interno subito dopo l’unità: "forse in nessun altro paese d’Italia l’istruzione della donna è così negletta come in Sicilia". All’interno di questo quadro di luci e ombre non fece eccezione la vicenda della scuola a Lentini, dove, come vedremo, contrariamente a quanto sino ad oggi ritenuto, fu istituita in linea con le tendenze culturali dell’epoca anche l’istruzione pubblica per le fanciulle.