La scuola di Beslan / di Evghenij Evtushenko

L’1 settembre 2004 un gruppo di terroristi ceceni prese in ostaggio gli studenti e gli insegnanti di una scuola di Beslan, in Ossezia. Ci furono delle esplosioni: fu una ecatombe. Il poeta Evghenij Evtushenko ha scritto questa poesia in ricordo di quanto accadde quel giorno.
di Redazione Antenati - giovedì 1 settembre 2005 - 4844 letture

Io sono uno che non ha mai finito una scuola in vita sua
Uno che ha sempre pagato per le malefatte altrui
ma ora vengo a te, Beslan,
per imparare davanti alle rovine della scuola tua.
 
Beslan, lo so, sono un cattivo padre io,
ma davvero dovrò assistere
alla fine di tutti i cinque figli miei
sopravvivendo nella vecchiaia per castigo?
 
Lo so, non sono in una città straniera
mentre cerco il mio cuore tra i fiotti del dolore
inciso goffamente col coltello
in quell’ultimo banco bruciato della scuola.
 
Che cosa sarai mai in Russia tu, o poeta?
Paragonato al tritolo, sei un moscerino.
E non abbiamo oggi scusa alcuna
se sulla terra tutto questo accade.
 
Come ad un tratto lì a Belsan tutto si fonde ancora:
l’inafferrabilità, il caos, l’orrore
l’imperizia di saper salvare senza fare vittime
e al tempo stesso tutte quelle storie di coraggio.
 
E il passato, guardandoci, trema
e il futuro, promessa innocente,
tra i cespugli si sottrae al presente
che gli spara alla schiena.
 
Ma la mezza luna abbraccia la croce.
Tra i banchi bruciati e tra i cespugli
come fratelli vagano Maometto e Cristo
raccogliendo dei bambini i pezzi.
 
Oh Dio dai tanti nomi, abbracciaci tutti!
Che davvero dovremo seppellire senza gloria
accanto ai bambini di ogni credo
noi stessi nel cimitero di Beslan?
 
Quando andavano i convogli in Kazakhstan,
stracolmi di ceceni ammassati l’un sull’altro,
il terrore futuro si stava generando là,
nel liquido amniotico di quei nascituri.
 
Laggiù, in quella prima culla sempre più cattivi,
si stringevano loro, felici di nascondersi così,
eppur sentivano attraverso il grembo della madre
il calcio dei fucili sulle teste.
 
E certo non pregavano Mosca
che li confinava nella steppa, dove tutto è piatto e spoglio,
come se per incanto sulla terra
Satana avesse cancellato i monti antichi.
 
Ma la lama ricurva della luna, lì
tra le fessure nei tetti delle case di terra
ricordava loro il segreto dell’Islam
tra gli slogan sovietici dell’inganno
 
E l’arroganza plebea di Eltsin,
e la fanfaronata di Graciov su quella "guerra-lampo"
li spinsero poi verso i primi attentati,,
e allora alla guerra non ci fu più scampo...
 
Le kamikaze cecene portano esplosioni sul petto,
alla vita, e al posto della collana al collo.
E come sempre, tanti più morti si lasciano alle spalle
tanto più basso è il prezzo della vita.
 
Com’è cambiato il volto del firmamento,
la tenebra a Beslan esplode solo per i tank,
e ha sussultato al pensiero della fine
in quella scuola e il quel campo di basket laggiù
la mina innescata da Stalin.
 
Ma a niente serve la vendetta.
Salvaci, Dio dai molti nomi, dalla vendetta.
Finché ci sono ancora bimbi vivi,
non ci dimentichiamo la parola "insieme".
 
Nessuno di noi è eroe da solo,
ma dinnanzi alla nuda verità tutti noi siamo nudi.
Io sto insieme ai bambini bruciati.
Sono anch’io uno di loro... Uno della scuola di Beslan.

(traduzione di Nadia Cicognini)


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