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La musica di Gianluca Rando, terapia del corpo e della mente

Intervista all’artista messinese che, ogni giorno alle 18, da appuntamento sulla sua pagina Facebook per fare compagnia ai suoi innumerevoli fan

di Piero Buscemi - giovedì 16 aprile 2020 - 3354 letture

Non crediamo che essere artista, in modo particolare in campo musicale che comporta inevitabilmente una buona fetta della propria attività all’aperto, tra concerti, esibizioni in locali o più semplicemente qualche strimpellata tra amici, sia una posizione diversa, migliore o peggiore difficile dirlo, per affrontare il periodo di quarantena nel quale ci siamo ritrovati tutti.

Gianluca Rando, artista musicale messinese con il quale ogni tanto sentiamo il bisogno di confrontarci, ha da sempre mostrato il suo lato umano, anche dietro le sonorità di una chitarra che, a volte illude, di essere protetti da qualsiasi attacco che la cruda realtà della vita ci riserva. Un’umanità che Gianluca esterna con le mani e la musica che offre a chi lo segue da anni. La musica, in questi giorni, ha rappresentato l’ancora di salvezza e di conforto in chi, a parte le parole anche ottimistiche che giungono da più parti, stanno lasciando un profondo senso di incertezza nell’animo delle persone.

Gianluca Rando si è voluto svestire di questa corazza protettiva e tornare ad essere un essere umano con le sue debolezze, le sue paure e i dubbi verso un futuro che nessuno potrà predirci, molto meno anche di prima dell’emergenza. Lo ha fatto nel modo che più gli è consono, quello naturale della musica dove si è rifugiato sin da piccolo e dove ha accolto le migliaia di sognatori e sensibili veleggiatori sulla leggerezza delle sue note e della sua umiltà.

Un appuntamento virtuale, quello che ancora ci è permesso ed offerto di non mancare. Da un social, la piazza del terzo millennio dove si incrociano le emozioni ed i contatti umani, Gianluca ogni giorno dall’inizio della quarantena rinnova l’appuntamento con chi ha voglia di sentire la sua musica, e non solo. Come una sorte di juke-box vivente, raccoglie le richieste degli internauti che a centinaia gli recapitano ogni giorno e, fatta la scelta sul pezzo che più tocca la sua sensibilità del momento, lo esegue dalla sua pagina Facebook ogni giorno alle 18.

E’ come indossare un vecchio maglione d’infanzia, come ci ha confidato l’artista a fine intervista, quello che ci riporta in una frazione di secondo ai profumi che la vita ci ha donato nel tempo e che non dimenticheremo mai. C’è l’essere umano in tutta la sua essenza in queste parole intimiste che l’artista ha voluto regalarci. Il poeta della propria vita che sente di voler continuare a condividere con le migliaia di appassionati della sua musica. Non è solo un auspicio. E’ una sincera e profonda volontà di tornare a vivere. E’ sentirsi semplicemente viaggiatori del tempo e dello spazio. A contatto con il resto del mondo che ci restituisce un sentimento di umanità.

Girodivite: Cosa vuol dire essere artista nelle mura di casa propria?

Gianluca Rando: Intanto ti ringrazio per questa domanda perché è una domanda che racchiude davvero tantissimi significati. Personalmente essere artista nelle mura di casa mia è una cosa che mi capita spesso, ma credo che sia una cosa tipica di chi, come noi e metto anche te che scrivi, sente il bisogno della propria intimità. E’ un po’ paradossale ma in questo momento è proprio la forzatura che si accetta di meno, il dover pensare di stare a casa per necessità e che ci è imposta. Di norma quando io devo scrivere, suonare o semplicemente meditare sulle cose della vita che sto vivendo o ai progetti futuri, cerco sempre la mia solitudine. Nella solitudine io riesco a trovare quelle ispirazioni che possono diventare poi un disco, ma anche uno stato di benessere. Quello che però mi sta, e credo ci sta un po’ tutti, distruggendo è che non sia una scelta ma un’imposizione. Lo faccio, ovviamente, perché se questa è la soluzione per risolvere il problema accetto l’imposizione, anche perché sono convinto che qualsiasi malattia comporta una sorta di pena che si debba scontare. Mi considero fortunato rispetto a coloro che, piuttosto di stare a casa, sono in un’ospedale e purtroppo a volte non passano la notte.

G: Per assurdo, hai avuto nuove ispirazioni restando con te stesso e i tuoi strumenti?

R: In effetti sì. Le ispirazioni nascono proprio in questi momenti perché tu sei a casa ma la mente è altrove. Ad esempio, magari vado in campagna per scrivere un disco, come mi è capitato di recente, il mio ultimo disco Blu l’ho scritto a Stromboli, per cercare un luogo di serenità. In questo momento, invece, ovunque mi trovassi, il pensiero andrebbe sempre al mio paese che sta soffrendo, agli amici, alla famiglia, alle persone che davvero non arrivano a passare la notte. Quindi le ispirazioni arrivano di continuo e poi la musica è la mia valvola di sfogo, i miei strumenti altrettanto. E’ una cosa che nasce spontanea quella di imbracciare una chitarra e scrivere delle note perché ho due alternative. O mi dispero davanti ad una situazione che ci pone tutti sullo stesso piano, è un livellamento sociale, nessuno può dire di essere più forte di un altro o migliore. Oppure affidarmi alla musica che rimane una fedele compagna. Non a caso stanno nascendo nuovi progetti, non ponderati per un disco nuovo, ma più per l’esigenza di uno sfogo contro un’alienazione dal mondo. Ogni giorno ricevo centinaia di messaggi di amici e fan e questo mi emoziona. Tutti mi chiedono quando potranno tornare a sentirmi dal vivo. Per questo tramite i social ho chiesto al pubblico di scegliere la musica che vorrebbero ascoltare da me. Così ogni giorno alle 18 rinnovo questo appuntamento su Facebook, dove propongo i brani che mi sono stati richiesti. Ricostruisco la storia del brano eseguito e ogni giorno suono con uno strumento diverso, anche alcuni che non usavo da anni. Una sorta di libro di fotografie da rivedere con gli amici.

G: Quindi ci dovremmo aspettare un nuovo disco, quando potremo nuovamente andare all’aria aperta per ascoltarlo?

R: Devo ammettere che sto pensando a qualcosa di nuovo, non dico ad un nuovo disco, visto che l’ultimo risale a febbraio ed ho avuto l’onore di poterlo presentare durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo. Questo aveva originato un calendario di concerti, tra i quali uno al Teatro La Bolla di Bollate. Avrei dovuto anche ricevere un premio per questo disco a Cinecittà. Sono cose rimandate, almeno mi auguro, non tanto per il fatto di tornare a fare concerti, ma perché sento la mancanza del contatto con la gente. Non sono mai stato un musicista da studio e ci sto solo per un fatto logistico, se fosse per me realizzerei solo dischi live. Amo interagire con la gente, mi nutro dei loro sorrisi, ma anche dello loro critiche. Il lavoro da studio rimane sterile. In effetti sto pensando ad un progetto futuro ma non voglio espormi più di tanto (sorride). Se riprenderanno gli eventi dal vivo, riprenderò a fare concerti per promuovere il disco, ma ho intenzione anche di raccontare la mia quarantena. Su questo voglio scrivere qualcosa da pubblicare.

G: Svestendoti dal ruolo d’artista, parlaci proprio della tua quarantena

R: Ti ringrazio anche per questa domanda. Non credo ci sia una linea di confine tra l’artista e l’uomo. Penso di viverla come chiunque altro. Faccio le cose che fanno tutti: la spesa, mi attengo alle regole. Provo le stesse debolezze della gente comune perché mi sono sempre sentito un musicista della gente semplice. Fare il musicista, suonare nei concerti magari con grossi nomi non mi fa sentire privilegiato in momenti come questo. Per natura non riesco a essere uno "che se la tira", per usare una forma dialettale. Sono molto timido e davanti ad un complimento, spesso arrossisco. Quindi la vivo con incertezza ma anche con ottimismo, che fa parte del mio carattere. Non ti nascondo che non riesco ad immaginare come vivremo questa situazione quando l’emergenza sarà finita. Mi chiedo se torneremo ad abbracciarci o avremo paura solo a stringerci la mano. Per uno come me, abituato al contatto con la gente, non è semplice. Io amo fare le foto insieme al mio pubblico, mi piace fermarmi a parlare dopo uno spettacolo. Tutto questo indipendentemente dal numero di spettatori, che sia un’esibizione con pochi spettatori o davanti a centinaia di persone. Il mio staff che mi accompagna ai concerti spesso critica questa mia spontaneità con la gente. Molte volte mi fanno fretta, per il dopo spettacolo, tipo per andare a cena. Quando mi trovo a parlare con i miei amici, che sono le persone che mi seguono da sempre e senza le quali io non sarei nulla, quando mi chiedono una foto o qualche dettaglio sullo strumento che sto suonando, non posso rifiutarmi. E’ questo contatto che mi manca. Non è un particolare legato all’essere artista, è sentirsi semplicemente un essere umano.

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Gianluca Rando mentre suona la chitarra


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