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La lingua di Dio, di Maria Angela Bedini

...un versificare ieratico e visionario che si connota d’una "terribilità"profetica...

di Maria Gabriella Canfarelli - giovedì 6 gennaio 2005 - 10599 letture

La lingua di Dio, di Maria Angela Bedini

E’ scritto in quarta di copertina che Maria Angela Bedini ha "realizzato un denso poemetto in cui la parola viene tesa, accelerata e stritolata in direzione di una spiritualità quasi fisica, "muscolare", alla maniera delle grandi mistiche. Il sentimento di questa tensione panica oscilla dall’estasi erotica a quella religiosa fino all’identificazione del verbo con l’ "amato" e con il "cristo", emblema lancinante di totale annullamento ed esaltazione nell’irreversibilità della scrittura e del nome". Parliamo de "La lingua di Dio", (Einaudi, 2003), i cui versi da subito producono un senso di spiazzamento, tanto la lingua è ricca di fioriture, di immagini e simboli soverchianti: qualcosa che ha a che fare con il caos di cui si tenta il rovesciamento nell’Ordine, nel Logos. La notte è l’ora privilegiata a sottolineare la parola magmatica d’una creazione "in fieri", ma è ancora notte/parola babelica, "lingua di licheni", umida germinazione.

Evocatica / invocativa e prolissa, questa di Maria Angela Bedini è parola che fagocita mentre cerca di espellere, sintassi proteiforme che avvinghia e disorienta come "un nome che respira e muove/ o sbriciolato da un inchiostro che picchia sulle dita spalmato / (...) o stroncato / dai miei quattro righi che a conoscerti/ le labbra vengo con la cena delle mie /parole o doccia di sangue / o gambe russignole / ma il buio ti ha preso il volto / e leggermente uscivi in nome / di neve per la vasca di me".....

Il buio è il liminare dell’oltranza e della luttuosità (O morte che cominci dalla mia bocca ), alito di castigo e lotta cruenta: " per i morbi sospesi nelle celle scavalcò / il corpo prima che fosse interrotto / se sventolava una terra era per esercizio / della memoria un atto di labbra che / l’ordine di attendere fa tremendo"; ovvero, nel canto XV intitolato "Quando i volti si ritirarono questa è la notte", è suono del nome, "del foglio / e di queste mie dita". E ancora :"tu eri nell’aculeo di ogni inizio / prima navigava il niente / (...) / il luogo dei pianeti giace / su questo tavolo dove fiorisci / solitario di mille paesi / mia pianura mio regno disciolto / abitavi un canto estremo / così tagliente mi allineavi / (...) / saprà la mia lingua custodirti / e queste parole immerse / fanne ossa stagioni // (...) poi venivi nel nome / eri me e altri mille aggrappati / alla nebbia che pronunci".

Ecco allora l’indicibile nome del Dio biblico e veterotestamentario cui ci si rivolge alla maniera dei Salmi (esplicito riferimento nella prima parte e seconda parte del libro), con un "Epilogo" ("l’angelo stritolava con un piede il clivio, con un altro il mare") in cui appare il Cristo e il tempo, l’anacoreta e le creature letterarie (Ofelia, Alice) in cerca del mondo e delle parole; e, insieme a questi, i crimini, la pazzia, il mare, il romanzo, i metalli, il fango, le acque "incoronate",i lupi, il vino, i vermi, che "sono parole, sono nulla, disse il nulla". E ci sovviene ancora una volta la sapienzialità di Qohelet, quel vortice di vento che risucchia e sparge ogni destino compiuto.

Queste cantiche barocche, sovrabbondanti e prive di punteggiatura, disorientano per l’iperfetazione di simboli di cui talvolta sfugge il significato. Una poesia complessa, di non facile approccio, diciamo, un versificare ieratico e visionario che si connota d’una "terribilità"profetica intravista tra le pieghe di un dettato poetico lungamente srotolato, sul punto di tracimare come un fiume recante la piena delle sue proprie acque.


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La lingua di Dio, di Maria Angela Bedini
2 settembre 2006, di : ANDREA

Ho trovato in alcune poesie di Maria Angela Bedini la presenza (oggi oltremodo rara e preziosa) di Sublime nel senso proprio usato da Longino e da Kant. Chi leggesse questo mio commento sarebbe gentilissimo se mi sapesse segnalare - per una mia ricerca personale- altre presenze di sublime nella letteratura contemporanea.
La lingua di Dio, di Maria Angela Bedini
22 agosto 2008, di : Francesco

per agganciarmi all’utente precedente, dico che anche io leggo molto le voci esordienti, autori giovani, ma sono praticamente pochi quelli che reputo realmente poeti, in quanto i più credono che fare poesia significhi scrivere a caso parole anche senza senso e creare atmosfere oniriche. permettetemi di dire che questa non è poesia e che anche noti poeti odierni sono davvero scarsi... i poeti veri sono quelli di un tempo. spero che ne giungano altri però
La lingua di Dio, di Maria Angela Bedini
23 agosto 2008, di : Alessia

esatto, anche io la penso allo stesso modo: ci sono troppi poeti in Italia, troppi finti poeti, troppe persone che credono di essere poeti solo perché scribacchiano quattro sciocchezze sul foglio di carta: la poesia è altro.
    La lingua di Dio, di Maria Angela Bedini
    11 marzo 2009, di : Guido

    E’ curioso trovare giudizi sulle persone invece che attenzione per i loro lavori i quali meriterebbero, se non altro per le loro complesse sfaccettature, analisi articolate o, in subordine, una qualche forma di incoraggiamento. Il lavoro è ambizioso e il testo è a volte di lettura faticosa ma può anche suggerire suggestioni profonde, comunque non banali nè scontate.