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La guerra italiana in Iraq

Iraq, è guerra, i nostri soldati uccidono 15 irakeni tra cui una donna e un bambino. In attesa che altri soldati italiani muoiano.

di Redazione - mercoledì 7 aprile 2004 - 4702 letture

Alle prime ore dell’alba c’è stato a Nassiriya l’intervento massiccio della task force Eleven contro i manifestanti che avevano nuovamente sbarrato i ponti sull’Eufrate, vitali per la città. Un intervento che i comandanti del contingente definiscono ’’necessario per ristabilire le condizioni di sicurezza, l’ordine pubblico, la legalità e per assicurare la libera circolazione delle merci e dei mezzi’’.

Questo è il testo del bollettino di guerra dell’esercito italiano riportato dall’Agenzia Ansa.

Ovviamente, è una falsa verità. Quel che è successo è molto più grave. I rivoltosi sciiti avevano bloccato tre o quattro ponti nelle vicinanze della città. I soldati italiani sono intervenuti con una azione di vera e propria guerra. Hanno "liberato" i ponti, riconquistandone il controllo alla "legalità" illegittima dell’occupazione dell’Iraq.

Hanno sparato sulla gente, uccidendo 15 persone, anche una donna e un bambino (o forse di più). E’ caduto un velo, come molti hanno detto: gli italiani non sono lì per mantenere la pace, per aiutare la popolazione, per proteggere gli aiuti umanitari, tutte favole raccontate dal governo.

I soldati italiani sono lì per combattere una guerra decisa e voluta dagli anglo-americani. Sono lì forse perché a Nassiriya ci sono interessi dell’Eni, come affermano Occhetto e Falomi in una interrogazione al senato e come l’Eni stessa ha parzialmente ammesso. In ogni caso non svolgono alcuna funzione di peace-keeping, ma anzi sono tra i protagonisti dell’occupazione tanto protagonisti da mettere in atto operazioni militari offensive.

Quel che è successo oggi è molto diverso e molto più grave di quanto è accaduto pure in altre occasioni, quando vi sono stati attacchi a cui si è risposto con azioni puramente difensive sia da parte del contingente italiano che di altri paesi. L’Italia, senza che il parlamento potesse esprimersi e contro l’opinione pubblica del nostro paese è diventata, a pieno titolo, potenza belligerante, seppure di una guerra nominalmente cessata a maggio dell’anno scorso.

Questa è la dura e cruda realtà. E certo anche noi siamo vicini ai militari italiani feriti e ci uniamo alla preoccupazione dei loro familiari. Ma quei soldati, quei ragazzi che eseguono ordini, non sono le "vittime" ma purtroppo sono stati trasformati, dall’ideologia di questo governo che ubbidisce agli ordini della "giunta di George W. Bush" (la definizione è di un americano, Michael Moore), in "carnefici". Vittime anche loro, vedendo le cose da un’altra angolazione, di una guerra sbagliata, di ordini sbagliati, di un governo sbagliato.

Ancora in serata il capo di questo governo ha ribadito che l’Italia rimarrà lì "finché la missione sarà compiuta" e quindi anche oltre il 30 giugno. Queste sono le intenzioni del governo.

Allora, il ragionamento che molti fanno oggi ha un senso: se i nostri soldati sono lì a combattere e guerreggiare, invece di proteggere gli operatori umanitari e la popolazione, se essi stessi sono una delle cause dei disordini, degli scontri, delle morti, cosa si aspetta a chiederne il ritiro o, quantomeno, la sottrazione alla catena di comando anglo-americana? Finché i nostri militari saranno lì a combattere una guerra che non è la loro e non è la nostra, eseguendo ordini che arrivano da Washington (con il beneplacito di Roma…) non ci sarà più pace e più sicurezza, ma una tragica escalation di violenza.

articolo di [G.I.], pubblicato da Aprileonline.info


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