La generazione con le magliette a strisce

"Appartengo alla generazione delle magliette a strisce. Le magliette dai tanti colori del boom economico, del paese che cambiava nelle famiglie e nel vivere..."

di Luigi Boggio - domenica 3 luglio 2016 - 4639 letture

Luglio 1960. Appartengo alla generazione delle magliette a strisce. Le magliette dai tanti colori del boom economico, del paese che cambiava nelle famiglie e nel vivere. Si viveva gioiosi e liberi non lontani però dalle storie collettive di un paese che voleva andare oltre alle convinzione del tempo, chiuse e conformiste.

Lo richiedeva la società che cambiava, i lavoratori nei posti di lavoro, l’affacciarsi di nuove tendenze culturali nel campo dell’arte e in particolare della musica, negli stili di vita. La risposta a questi fermenti non poteva essere il governo Tambroni, appoggiato dal Msi di Michelini, ma l’apertura di una nuova stagione politica.

Spazzato via il governo Tambroni dall’indignazione popolare, la democrazia cristiana avendo compreso la lezione avvia un nuovo corso che si concluderà con la nascita, dopo i governi Fanfani e Leone con l’astensione dei socialisti, del primo governo di centrosinistra. Un passaggio non indolore ma ricco per il livello della discussione nei partiti, nelle forze sociali e nella stessa Chiesa, non solo per la novità dell’incontro tra le forze democratiche cattoliche e i socialisti, ma in modo specifico per la natura e i contenuti delle riforme necessarie ai lavoratori e all’intero paese.

Con il luglio del 1960 viene fuori ed emerge un’altra Italia più moderna e laica, meno vecchia e chiusa. Anche se il prezzo pagato è stato alto in vite umane, feriti ed arresti. Un prezzo pagato alla democrazia nell’alveo dei valori della Resistenza. In dieci giorni,dieci morti, dal 30 giugno al 9 luglio, per la dura repressione messa in atto dal governo Tambroni contro i lavoratori e gli antifascisti militanti. Manifestazioni che sono state animate dalla presenza massiccia di giovani lavoratori e studenti e caratterizzate dai colori delle loro magliette a strisce.

Una partecipazione che stupì anche il sindacato.Una gioventù gioiosa, con ideali e non ideologica. La scintilla dei dieci giorni che hanno scosso il paese parte da Genova, la mattina del 30 giugno, per l’annuncio del congresso del Msi che si doveva tenere nei primi di luglio. Le cronache parlano di una città paralizzata per giorni e di scontri con la polizia a piazza De Ferrari. Un clima che con il passare dei giorni si faceva sempre più infuocato e che si estendeva dal Nord al Sud dello stivale, La prima delle vittime, giorno 5 luglio, è a Licata, prov. di Agrigento, nel corso di una manifestazione popolare per la centrale elettrica.

Alla notizia che non si sarebbe più realizzata l’intera cittadina scende in piazza con in testa il sindaco democristiano. La polizia prima contiene e poi spara uccidendo Vincenzo Napoli di 23 anni. Il 7 luglio seguono i cinque morti di Reggio Emilia. Sono tutti operai, tre giovani e due padri di famiglia di 40 anni. Sono morti nella loro città, Medaglia d’oro alla Resistenza, in una serata calda di luglio. Alla notizia, la sera stessa, la segreteria nazionale della Cgil proclama lo sciopero generale per l’indomani 8 luglio dalle ore 14 alle 20.

Uno sciopero riuscito con l’ombra della defezione della Cisl e della Uil, ma non dai loro iscritti e dai quadri locali. Una defezione inspiegabile che ha pesato non poco nei rapporti unitari, ripresi con fatica dalle realtà lavorative e dal territorio. Quando la giornata dello sciopero generale stava per concludersi, senza incidenti, giungeva la notizia che a Palermo una donna affacciata alla finestra e due operai edili, Andrea Gangitano e Francesco Vella, venivano uccisi per gli spari della polizia.

Non era passata più di un’ora dai morti di Palermo che a Catania il giovane edili, Salvatore Novembre di 20 anni di Agira, veniva lasciato a terra con tre colpi di pistola calibro 9, mentre cercava di proteggersi dietro una porta. Salvatore Novembre non solo apparteneva alla mia stessa generazione ma era anche della stessa mia provincia. Una provincia di emigrati e di pendolari chi per lavoro e chi per studio. Se fosse rimasto in vita di sicuro ci saremmo incontrati in qualche cantiere edile, vicino al suo comune, nel periodo della costruzione dell’autostrada A 19 CT-PA . Una morte assurda insieme alle altre nei dieci giorni che scossero il paese per spazzare via la nube dell’avventura reazionaria e aprire una nuova pagina nella storia di questa nostra Italia.

Testo pubblicato il 16 marzo 2011 alle ore 9:44 su Fb.



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