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La distruzione del Libano e il modello Hiroshima

Nonostante la risoluzione 1701 votata ieri dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’offensiva israeliana in Libano continua senza sosta.

di pietro g. serra - mercoledì 13 settembre 2006 - 2508 letture

Fonte: Jura Gentium [scheda fonte]

*. Editoriale scritto il 12 agosto 2006 per il Manifesto, ma non pubblicato.

Nonostante la risoluzione 1701 votata ieri dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’offensiva israeliana in Libano continua senza sosta. Ed è poco probabile che la devastazione del popolo e della terra libanese che Israele sta compiendo da oltre un mese possa essere fermata da una tregua effettiva e duratura. Per la sua ferocia l’aggressione israeliana ricorda quello che è stato chiamato "il modello Hiroshima". Come è noto, l’ordigno atomico sganciato il 6 agosto 1945 dal B-29 statunitense - che ora troneggia nel museo della US Air Force di Washington - rase al suolo un’intera città giapponese. Perirono in un attimo decine di migliaia di persone inermi e innocenti. L’obiettivo era diffondere la morte e il terrore fra la popolazione civile in un rapporto di assoluta asimmetria militare.

Non diversamente, i bombardamenti israeliani diffondono morte, terrore, distruzione e miseria nella più assoluta impunità. Una popolazione senza difese è stretta nella morsa di una aggressione nello stesso tempo terrestre, marittima ed aerea. Interi quartieri cittadini, ponti, strade, porti, aeroporti, depositi di carburante, fabbriche, stazioni radar, centrali elettriche sono da settimane il facile bersaglio dei caccia-bombardieri israeliani, che hanno già compiuto oltre 8.000 incursioni. I profughi sono almeno un milione.

La sola reazione militare libanese sono i razzi sparati dai guerriglieri Hezbollah sulla Galilea. E poiché si tratta di armi rudimentali, di scarsa efficacia e precisione, l’ex premier israeliano, Benjamin Netanyau, non ha esitato a sostenere, rivolgendosi alla Bbc, che quei razzi sono l’equivalente delle V2 lanciate dai nazisti contro Londra verso la fine della seconda guerra mondiale. Dunque Israele ha il pieno diritto di radere al suolo il Libano e di farlo senza tenere in minimo conto le convenzioni internazionali, così come fecero gli alleati anglo-americani radendo al suolo le città tedesche e giapponesi: il "modello Hiroshima", appunto. Probabilmente anche per questo il presidente Bush ha in questi giorni coniato l’elegante espressione islamic fascism.

Non è dunque un caso che la ferocia degli aggressori si spinga fino a usare contro la popolazione libanese anche armi non convenzionali. E’ ormai confermato da numerose testimonianze, inclusa quella del presidente libanese Emile Lahoud e di un rapporto di Human Rights Watch, che i bombardieri israeliani hanno fatto uso, oltre che delle famigerate cluster bombs, anche di bombe a implosione. Si tratta dei fuel-air explosives e cioè di bombe termo-bariche già largamente usate dagli Stati Uniti nella guerra del Golfo del 1991 e in Afghanistan. Questi ordigni sono considerati quasi-nucleari poiché, a parte le radiazioni, producono gli stessi effetti di un’esplosione nucleare di raggio limitato. Sprigionano una nube di vapori molto volatili che si mescola rapidamente con l’aria ed esplode. L’onda d’urto violentissima e la totale combustione dell’ossigeno distruggono ogni forma di vita in un’area di circa 350 metri di diametro.

Altre testimonianze, inclusa quella del quotidiano israeliano Haaretz, documentano che le forze israeliane stanno usando in Libano bombe al fosforo bianco e probabilmente anche armi chimiche di nuovo tipo. E questo accade anche a Gaza, dove continua l’etnocidio del popolo palestinese: il ministro della sanità ha accusato l’esercito israeliano di avere usato materiale esplosivo contenente sostanze tossiche o radioattive, che bruciano e lacerano il corpo di chi le inala e producono deformazioni degli arti e degli organi interni.

Anche l’Italia è coinvolta in tutto questo. La maggior parte di queste armi è fornita a Israele dagli Stati Uniti e molte passano da Camp Darby e da altre basi statunitensi insediate nel nostro paese. Per di più, il recente accordo di cooperazione tra le forze armate italiane e quelle israeliane, voluto dal governo Berlusconi ed entrato in vigore nel giugno dello scorso anno, prevede che i due paesi collaborino nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione di tecnologie militari. Non è dunque escluso, come ha sostenuto Manlio Dinucci su questo giornale, che qualche arma non convenzionale, sperimentata dalle forze israeliane nel poligono di tiro libanese, incorpori segretamente anche tecnologia italiana: un contributo al "modello Hiroshima" che forse contrasta con l’articolo 11 della nostra Costituzione.

Danilo Zolo

Rijeka, 1936) è professore ordinario di filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze. È stato Research Associate e Visiting Fellow presso università inglesi e americane, fra le quali Cambridge, Harvard e Princeton. Nel 1993 gli è stata assegnata la Jemolo Fellowship presso il Nuffield College di Oxford. Ha tenuto corsi di lezioni presso sedi universitarie dell’Argentina, del Brasile e del Messico. Fra le sue opere: Reflexive Epistemology, Kluwer, Boston 1989; Democracy and Complexity, Polity Press, Cambridge 1992 (ed. it.: Milano 1992; ed. argentina: Buenos Aires 1994; ed. tedesca: Göttingen 1997); Cosmopolis, Feltrinelli, Milano 1995 (ed. inglese: Cambridge 1996; ed. spagnola: Barcelona 2000); I signori della pace. Una critica del globalismo giuridico, Carocci, Roma 1998; Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale, Einaudi, Torino 2000 (ed. inglese: London-New York 2001); Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Roma-Bari, Laterza, 2004 (ed. inglese: London-New York, 2004). In collaborazione con Pietro Costa ha curato il volume: Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Feltrinelli, Milano 2002.


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