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“L’ora di religione”

Un ritratto intimista di un uomo che ha fatto del non credere e dell’idealismo i cardini della propria vita

di Cesare Piccitto - sabato 25 agosto 2007 - 5026 letture

Regia: Marco Bellocchio Cast: Sergio Castellitto, Jacqueline Lustig, Chiara Conti, Gigio Alberti, Piera degli Esposti. Genere: drammatico Nazione: Italia Anno: 2002 Durata: 1h e 42’

Il film narra la storia di un artista ateo, Ernesto (Sergio Castelletto), entrato in crisi non appena saputa la notizia della possibile canonizzazione della madre morta anni prima. Da questo momento principale, poiché il resto è secondario ma non meno importante, si snoda la trama. Tale ateismo lo ha portato a non aver battezzato il figlio e a non fargli frequentare l’ora di religione a scuola.

Un uomo di tale personalità inevitabilmente sprofonda e attraversa una crisi mistica, incontrando personaggi alquanto strani. Il motivo della presunta santità (su cui nessuno realmente crede) sono la conduzione retta e praticante dell’esistenza terrena, l’essere morta uccisa da uno dei figli, da sempre malato psichico, mentre cercava di farlo smettere di bestemmiare e un presunto miracolato. “Uno contro tutti” potrebbe riassumersi il film, l’artista ateo coerente da una parte che considerava la madre stupida (non avendo provveduto a curare adeguatamente il fratello) non meritevole di santità, e il resto dei parenti che ipocritamente vuole a qualsiasi costo, anche di mentire, la santa in famiglia per riavere l’onorabilità perduta a causa dell’orrendo delitto, e cercare di rimediare con celebrità e proventi a enormi fallimenti personali.

Determinante sarà la dichiarazione dell’assassino che dovrà sostenere che la vittima poco prima di spirare lo abbia perdonato. Tale ammissione oltre a essere la scena centrale del film sarà anche la più drammatica e intensa. Premesso che il psicolabile non parla dal tempo del matricidio, e impresa ancor più ardua pretenderne una simile dichiarazione. Alla fine cederà per la pressione dei familiari, escluso Ernesto, che pretendono non una confessione vera ma utile. Immediatamente dopo bestemmie urlate a squarcia gola quasi fossero una forma di liberazione dal rimorso, di aver ucciso l’unica persona che lo aveva amato veramente, che si portava dentro inespresso.

Il regista coglie perfettamente il disagio di un ateo circondato da parenti e istituzioni veramente o falsamente cattoliche, che osservano con sguardo schifato e superiore chi non la pensa come loro. Bellocchio ricrea, stati d’animo, con scene rallentate quasi irreali e sottofondi di cori religiosi, atmosfere decisamente Felliniane. C’è, secondo me, anche una chiara critica alla società moderna, che mercifica qualsiasi cosa purchè fonte di guadagni anche se falsa e abilmente pubblicizzata; ricostruzione del martirio, biografie, gigantografia, sito internet ecc. Il regista rimane fedele a se stesso, non piegandosi a regole di mercato, continua a fare il tipo di cinema in cui ha sempre creduto. Pur non essendo più il regista del primo film “I pugni in tasca” (1965) rimane il cineasta della rivolta, proseguendo nella battaglia contro le “istituzioni” (famiglia, chiesa, scuola...).


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