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L’anno della morte di José Saramago

Dedicata alla memoria di José Saramago, morto il 18 giugno 2010. Questo draft fa parte di una raccolta più vasta che sarà pubblicata un giorno poi forse.

di Sergej - domenica 20 giugno 2010 - 2273 letture

Dimmi delle tue isole, dei tuoi marinai – dei sacri simboli e dei nomi sparsi
dimmi degli inizi e dell’incerta grafia – la testardaggine
dimmi di quei garofani e della tua tavola da surf
(io, vedi, la porto sempre con me in macchina
e sul sedile dietro ho messo il tuo cappello di paglia
e il bastone annerito che fu di mio nonno)
l’anno della morte di José Saramago (era il duemiladieci)
scusa mi interesso poco di calcio
mi dicono che in molti scendono per le strade
perché nessuno ascolta o guarda altrove con intenzione
ad Atene, a Napoli, a Parigi, persino in Germania
dicono che ovunque la minestra è ormai stretta
e i ricchi hanno sempre più fame
d’inverno mi allaccio le scarpe / d’estate è già tempo di sandali
siamo saliti assieme su questa piccola collina
lì c’è il mare / fragoroso – e qui gli ulivi e gli aranci
a rompere l’assenza arida della bocca / il sapore di anice
sono i due mari che si incontrano, l’intreccio delle dita di due mani.

(la felicità pare sia una questione di nicchie cantucci piccole isole e spazi risicati
l’acqua riga il vetro della doccia come parole
il cesso – diceva mio padre – è il miglior pensatoio).

Ci portiamo appresso mille nomi
e nelle nostre orecchie sentiamo tutte le voci
(a volte, una di queste si impossessa del megafono
e parla per noi, al posto nostro ma con la nostra stessa voce
a volte quasi sempre parlano tutte assieme
e vorremmo tapparci le orecchie e non sentire più)
e sentiamo l’odore di aglio e cipolla – il rumore dei tamburi
l’esercito schierato sul campo di battaglia
la sentinella assopita nella notte dell’assedio
la città che si sbriciola come un biscotto
mentre la terra ha un sussulto nel sonno.
Io sento ancora il fischio di mio nonno
che mi chiamava
appena aperta la porta di casa
e vedo ancora il corridoio lucido
la cera e il gomito della signora Rosina -
il grande armadio a muro avana
lungo cui gambettavo
per andargli incontro.
E la contentezza di mio zio Alfio
che mi faceva sedere accanto a lui
sul lettino dell’ospedale Vittorio Emanuele
le macchie nere sulla pelle delle mani, sul viso
nell’ultima volta che il mio ricordo lo vede vivo.
Ecco, mi dicevi, dietro le parole stanno le cose
e dietro le cose le vite – ed è di questo che dobbiamo parlare
è proprio questo quello di cui dobbiamo parlare
fare memoria / è la vita, la nostra.


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