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L’Università dei tumori

Succede a Catania, facoltà di Farmacia: studenti ricercatori e persino professori muoiono, negli anni, di tumore. Solo l’8 dicembre scorso vengono sequestrati gli edifici di Farmacia.

di Maria Merlini - sabato 13 dicembre 2008 - 4285 letture

I fatti portati alla luce dall’inchiesta sul “laboratorio della morte” della facoltà di Farmacia di Catania sono ormai tristemente noti: per diversi anni centinaia di studenti, ricercatori e tecnici hanno svolto attività di laboratorio in una struttura priva dei più elementari requisiti di sicurezza, hanno maneggiato senza adeguati impianti di aerazione sostanze altamente tossiche e cancerogene che, invece di essere correttamente smaltite, venivano versate negli scarichi dei lavandini, causando la contaminazione dell’edificio e del suo sottosuolo.

Lo scorso 8 novembre, in seguito ad un esposto anonimo, la Procura di Catania ha effettuato delle analisi e, dopo aver riscontrato valori di Mercurio e Zinco superiori decine di volte ai limiti fissati per i siti industriali, ha disposto il sequestro dell’edificio.

Ma le indagini sono arrivate a una svolta solo in seguito alla denuncia del padre di Emanuele Patanè, un dottorando di ricerca che nel 2003, dopo aver lavorato per tre anni dentro quel laboratorio, è morto a causa di un tumore al polmone. Il padre di Emanuele ha consegnato ai magistrati un memoriale scritto dal ricercatore pochi mesi prima di morire, in cui descrive dettagliatamente le condizioni del laboratorio e racconta di tutti i colleghi che aveva visto morire o ammalarsi a causa delle esalazioni.

Dopo la denuncia del padre di Emanuele altre persone si sono decise a parlare, portando a quindici l’elenco delle vittime già accertate e scoperchiando un vaso di Pandora fatto di paura, connivenza, arroganza ed omertà. I parenti delle vittime, infatti, affermano di non aver parlato prima per paura di mettersi contro i “poteri forti”. Lo stesso Emanuele voleva consegnare il suo racconto ad un avvocato per denunciare quello che accadeva nel “laboratorio dei veleni”, ma, racconta il padre, "l’avvocato a cui si era rivolto gli aveva detto che ci volevano dei testimoni perché contro i “baroni” dell’Università non l’avrebbe mai spuntata…".

Baroni come il docente da cui si vede negare, pur avendone diritto, una borsa post-dottorato: "il prof. Ronsisvalle, coordinatore del dottorato di ricerca (nonchè “proprietario della facoltà di Farmacia”) non era disposto a concedermi la borsa in quanto sono malato di tumore ed inoltre non avevo nessuna raccomandazione. (…) non assegnando la borsa a me, unico candidato, il prossimo anno sicuramente veniva nuovamente bandita la borsa post-dottorato che poteva così essere utilizzata dai suoi allievi".

Baroni come l’allora rettore Ferdinando Latteri, indagato per disastro colposo, attualmente parlamentare del MPA e dunque parte di quella maggioranza di governo che attraverso la riforma e il taglio delle risorse all’università pubblica afferma di voler colpire sprechi, privilegi e baronati. Baroni come l’attuale rettore Antonio Recca, che si è subito dichiarato “parte offesa” dell’inchiesta, ma che lo scorso aprile aveva del tutto ignorato un documento inviatogli dalla CGIL in cui si denunciavano proprio le condizioni di insicurezza di quel edificio. E che oggi cerca di rassicurare studenti, ricercatori e docenti di Farmacia, dispersi tra decine di edifici per poter continuare le proprie attività, che entro un anno sarà completata una nuova sede. Peccato che la stiano costruendo proprio lì, accanto all’edificio sequestrato, sopra lo stesso terreno argilloso in cui da anni sono imprigionate quelle stesse sostanze tossiche. Il tutto accade in una Università che, secondo i criteri del Ministro Gelmini, rientra tra gli atenei “virtuosi”.

Una vicenda, dunque, che è anche una dimostrazione di come le disfunzioni dell’università italiana, lungi dall’essere colpite, non possano che essere consolidate da una riforma che prevede, con la trasformazione in fondazioni di diritto privato, la prevalenza su tutto dei criteri di economicità e risparmio (e a cosa può essere dovuta, se non al risparmio, la mancanza di un corretto smaltimento dei rifiuti tossici!); che prevede, con il blocco del turn over nell’assunzione del personale, la permanenza nel limbo della precarietà di migliaia di giovani ricercatori, già adesso senza alcun diritto ed altamente ricattabili; esattamente come Emanuele, che pur consapevole del pericolo che correva lavorando in quel laboratorio non poteva ribellarsi senza compromettere la propria possibilità di carriera.

Ma tutto questo gli studenti dell’onda catanese l’hanno capito bene, e nelle assemblee studentesche oltre a discutere delle conseguenze della riforma e delle prossime mobilitazioni, si comincia a raccontare di altre situazioni di inaccettabile pericolo, dal dipartimento di ingegneria costruito su fondamenta piene d’acqua, al dipartimento di matematica in cui, probabilmente a causa di cavi e apparecchiature che rilasciano onde elettromagnetiche, l’incidenza di tumori ha raggiunto livelli preoccupanti. E si fa avanti la consapevolezza che, piuttosto che il rettore, la vera “parte offesa” siamo proprio noi, tutti gli studenti, dottorandi, ricercatori precari, lavoratori, docenti non complici, che di questa insicurezza subiamo quotidianamente le conseguenze. Perché quello che , a prima vista, potrebbe apparire come uno scandaloso ma isolato caso di mancanza di rispetto delle norme sulla sicurezza nei luoghi di studio e di lavoro, purtroppo nasconde molto di più. Rappresenta un triste paradigma non solo delle condizioni di insicurezza, ma delle modalità di governo, dei consolidati sistemi di potere e della mancanza di trasparenza nei nostri atenei.


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L’Università dei tumori
15 dicembre 2008

Nelle campagne sulla sicurezza nel lavoro si da giustamente importanza alla rivendicazione dei diritti minimi di sicurezza da parte dei lavoratori. Un papà di un quartiere popolare (che ha solo la seconda elementare) mi diceva che era rimasto bloccato con un costola rotta per settimane dopo essersi infortunato in un cantiere edile. Lui non ha sporto denuncia per paura di perdere il posto (ha tre figli da mantenere e la moglie) e mi ha detto che chi avanza richieste sulla sicurezza (caschi, scarpe, ...) non è ovviamente il preferito dal datore. Si discuteva sull’importanza in ogni caso di salvaguardare la vita umana, più preziosa di qualunque altra cosa. Perchè vi racconto questo. La situazione di Farmacia, ora anche di Scienze Matematiche, di Fisica e vuoi vedere ora anche di Chimica (ne sono certo) è allucinante per diversi motivi. E’ la dimostrazione da un lato dell’arroganza e del menefreghismo di chi doveva mettere in sicurezza gli ambienti, ma dall’altro ( ed è la cosa che mi turba di più) del servilismo che studenti, laureandi, dottorandi, assegnisti di ricerca, ricercatori e anche qualche piccolo professore che, per non mettere in pericolo le poche possibilità di carriera denunciando pubblicamente chi di dovere, hanno continuato a lavorare mettendo a rischio la propria vita. Il diario di Lele è quanto di più allucinante abbia letto negli ultimi tempi e la mia reazione a questa sua consapevolezza di andare a morire è stata di una rabbia inaudita anche nei suoi confronti, oltre che per il barone di turno. Sei laureato e non hai la seconda elementare, hai anche studiato, come studente di farmacia, gli effetti nocivi delle sostanze che adoperavi e hai continuato a morire in nome di chi? Come fa un’altra, sapendo! (perchè ora si scopre che tutti sapevano) a frequentare il laboratorio incinta di 6 mesi. Perchè non hanno protestato chiudendo i laboratori, mettendogli una catena e incatenadovi davanti al tribunale? Io ho vissuto sulla mia pelle, all’università, la "prostituzione" (quella peggiore) di molti miei colleghi disposti a tutto per scavalcare altri, per elemosinare una fitusa borsa di studio, stare lì ore e ore dietro la porta del barone nella speranza di avere udienza. E non mi interessa tanto (questo poi lo faranno i giudici) quanti studenti e frequentanti il labratorio versavano nei lavandini i resti degli esperimenti. A me interessa sapere perchè siete morti, in nome di chi? perchè vivete con un tumore, per avere cosa? Chi ha sbagliato deve pagare e pagare caro(non vorrei che da queste mie riflessioni si pensi che voglia diminuire le responsabilità istituzionali). Spero che si parli anche di questo aspetto, del fatto che la precariatà, la sudditanza, la speranza di ricevere le briciole annulla la tua dignità e in questo caso ti ha annullato la vita. Deve partire dagli studenti, dai lavoratori, dai dottorandi questo NO, grande, al sistema così com’è, facendo anche una riflessione interna su quello che è successo e che forse non sarebbe successo se questo NO fosse partito anni e anni fa. un saluto. Salvatore