Kristos, l’ultimo bambino

Un film documentario di Giulia Amati (Italia, Francia, Grecia, 2022, durata 90 minuti), con Kristos Kabosos, Maria Tsialiera, Mihalis Kabosos
Il film documentario della regista italo-francese Giulia Amati potrebbe essere visto senza alcun dialogo. La natura documentarista della regista traspare da qualsiasi sequenza possiamo ammirare durante la proiezione. Gli sguardi che parlano, i paesaggi che raccontano, i fermi immagini che emozionano.
Sin dalle prime scene, un sentimento di nostalgia ci riporta a un mondo che pensiamo sia scomparso per sempre e che ci ritroviamo di fronte ogni qualvolta riusciamo ad allontanarci mentalmente da un’immagine artefatta che una vita eccessivamente modernizzata monopolizza i nostri pensieri.
I paessaggi raffigurati sono quelli della Grecia più vera, o di quanto siamo riusciti a mantenere in vita nonostante tutto. Il luogo è Arki, una piccola isola di pescatori e pastori del Dodeccaneso. Le immagini ci riportano a luoghi già visti, anche nella nostra Italia, sempre più votata a una esternalizzazione delle tradizioni e dei sentimenti. Potrebbero essere le isole Eolie, una delle sette sorelle meno contestualizzata nel presente. Vecchi pescatori ad ammorbidire un polpo sbattendolo sullo scoglio, famiglie numerose di pastori che si tramandano il mestiere e la semplicità delle conoscenze, tra fili d’erba, belare di capre e cani fedeli che aspettano la carezza di fine giornata per darsi appuntamento al giorno dopo.
La storia è quella di Kristos, ultimo bambino di una comunità di trenta persone locali, affidato alle cure didattiche di un’insegnate che vede nel ragazzo il realizzarsi delle occasioni a lei negate in anni di maggiore arretratezza e di minor dialogo tra le generazioni.
Kristos dimostra la sua indole verso lo studio, approfittando di una esclusiva attenzione che l’insegnante può dedicargli. Un privilegio che fa riflettere sulle trasformazioni subite dai nostri protocolli scolastici e sui risultati poi ottenuti. L’insegnante è una donna di mezza età che guarda al futuro negli occhi del ragazzo e prova a trasmettere il suo passato che possa essere di sprono, malcelato in quello che più comunemente si chiama esperienza. I rimproveri al momento giusto, le esaltazioni e le domande che un’istruttrice non dovrebbe mai stancarsi di porre. Quelle che risvegliano la curiosità innata dell’essere umano, narcotizzata da falsi miti da emulare che spesso portano a cadute di sicurezza dalle quale sempre più difficile rialzarsi.
E poi c’è quel conflitto interiore, da una parte l’ambizione supportata dalla necessità di una formazione scolastica che possa aprire nuovi confini e nuove opportunità, dall’altra quel mondo bucolico di attaccamento alla terra, reso quasi tradizionalista se non nazionalista con la ricorrenza della bandiera greca a sventolare in ogni angolo dell’isola o dipinta con orgoglio sui muri delle case.
Quale scelta prendere? Un piccolo mondo conosciuto e semplice, ereditato da un’infanzia felice, una famiglia numerosa ma unita, un canto tradizionale, una tavola imbandita con cibi semplici che la terra e il mare offre quotidianamente? O il vuoto di una nostalgia che Krystos rischia di trascinarsi a vita come un fardello, una volta lasciata l’isola e avviato a scoprire e vivere il mistero di un’esistenza che non da certezza di un sentimento di appartenenza che da asolescente può permettersi ancora il lusso di provare?
Ma forse non è neanche più una scelta. Quel mondo che fa paura e che ci trasmette il disagio attraverso gli occhi smarriti di Kristos, ha già oltreppassato quel tratto di mare che ha protetto l’isola per tanto tempo. La regista ci mostra questa invasione al contrario, oggetti di plastica che monopolizzano il quotidiano. Bottiglie di plastica truccate da biberon per allattare le giovani capre, lattine di coca-cola da usare anche nelle ricorrenze tradizionali e qualche cellulare a testimoniare con un video un capitolo breve della vita di una comunità.
Cos’altro può offrire ancora quel mondo? A Kristos, a chi ha già slegato le alzaie anni fa e si chiede ancora oggi se abbia fatto la scelta giusta. E soprattutto, vale ancora la pena lasciare la propria terra per un sogno che forse rimarrà per sempre solo un’ambizione?
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