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Istanbul stordita di povertà e lusso

Istanbul Istanbul / di Buhran Sönmez. - Nottetempo, 2016. - 299 p. - ISBN 978-88-7452-622-2

di Maria Teresa Cassini - sabato 9 aprile 2022 - 4890 letture

Buhran Sönmez ha grande dimestichezza con la letteratura, infatti la insegna all’Università di Ankara, ma alla scrittura è arrivato quale militante dei diritti umani. Gravemente ferito durante uno scontro di piazza con la polizia turca nel 1996, è stato curato in Gran Bretagna col sostegno della Fondazione “Liberi dalla tortura” ed ha cominciato a scrivere nei lunghi mesi della riabilitazione. Tuttavia nella sua narrativa non c’è nulla che abbia a che fare con la testimonianza immediata, non c’è nulla di pedagogico attraverso cui “educare” i suoi lettori, non c’è nulla da far conoscere che si riversi direttamente sulla pagina.

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Istanbul Istanbul, di Buhran Sönmez

Istanbul Istanbul, che pure è un grande romanzo politico, si nutre di una prolifica energia inventiva e di un patrimonio ampio di storie in cui si sente l’eco sia della tradizione narrativa orientale, anche quella orale, sia di tanti capolavori della letteratura occidentale. Anzi letteratura occidentale e tradizione orale turca strutturano il romanzo, con, da una parte, il grande modello del Decameron, dall’altra quello delle narrazioni orali turche che si dipanano in occasione dei funerali, quando parenti ed amici si lasciano andare al ricordo di episodi curiosi e bizzarri della vita del defunto che, pur in una situazione di lutto e di dolore, suscitano il riso, anzi, come si dice in Turchia, la risata gialla. Una particolare forma di umorismo che si sprigiona quando si sente l’alito della morte sul collo.

La storia si snoda attorno a quattro detenuti politici rinchiusi nella medesima cella sotterranea – lo studente, il dottore, il barbiere, il vecchio -, che si alternano come voci narranti nell’arco di dieci giornate racchiuse in altrettanti capitoli. Ciascuno si apre con una breve storia, una sorta di succinta novella tratta per lo più da un patrimonio di storie più o meno note, più o meno radicate nella grande letteratura, tutte però filtrate attraverso le modalità infedeli e metamorfiche della narrazione orale; quindi la voce narrante procede con libertà ora ricordando esperienze proprie, ora riferendo il dialogo con i compagni di cella, ora alludendo a quel che capita a chi dei quattro è stato trascinato fuori dalla cella per i consueti interrogatori con tortura. Talvolta, invece, la voce narrante accompagna col suo dire quanto i quattro, con meticolosa e teatrale precisione, stanno immaginando e soprattutto mimando, per contrastare la sofferenza e il dolore dei corpi massacrati: situazioni semplici e quotidiane, come il fumare una sigaretta sul balcone o consumare un pasto frugale con gli amici innaffiato da raki, o guardare la televisione. Emblemi di felice abbandono in una condizione che mina costantemente l’umanità di ciascuno. L’effetto è che la realtà dei personaggi viene fuori più dal loro immaginario, più da certe esperienze che ne hanno segnato l’infanzia, più da alcune narrazioni archetipiche di cui sono depositari, che dai loro vissuti politici. Le scelte e le azioni che li hanno condotti al carcere duro appaiono per frammenti, che solo a poco a poco avanzano dallo sfondo disegnando quattro esperienze diverse, tutte di grande intensità e spessore.

In questa Istanbul del sottosuolo è ben presente l’Istanbul della superficie, ambigua e seducente, amata e odiata, stordita da povertà e lusso, dove notte e giorno e realtà e illusione si confondono, perché, come un personaggio ha imparato dal padre, ciò che fa di una città una città è lo sguardo delle persone: chi la guarda male, la rende maligna, chi la guarda con amore, l’abbellisce. Seducente questa tessitura, che coniuga le antiche modalità orientali del narrare, i grandi modelli occidentali, dal Decameron a Moby Dick, e gli andamenti audaci dell’attuale sperimentalismo. Un libro assai nutrito di letteratura, impregnato dall’incanto della parola, che sola salva dalla disumanità: quella subita, ma anche quella che subdolamente può radicarsi nell’animo della vittima inerme. Un romanzo forse non facilissimo da affrontare se non scatta il piacere di star dentro a un racconto che all’asse logico della narrazione tradizionalmente scandita preferisce l’asse analogico, indagando nel sottosuolo dell’umano a livello sia soggettivo sia collettivo.


Sinossi editoriale

Una cella, quattro uomini, dieci giorni, una moltitudine di storie: un dottore, un barbiere, uno studente e un vecchio rivoluzionario sono incarcerati in una stanza angusta e gelata nei sotterranei di Istanbul. Fra gli interrogatori, le torture, il tempo sospeso e l’immobilità forzata cui sono inchiodati, scoprono l’incanto e il potere della parola come unica via di fuga possibile. I protagonisti di questo libro, come nel Decamerone, trascorrono il tempo della loro segregazione raccontandosi storie ed è cosi che, in una narrazione corale, svelano il filo che li lega e il motivo per cui si trovano imprigionati: nella Istanbul sopra la cella, quella che vive e brulica tra bellezza e orrore, qualcosa sta per accadere, un cambiamento, una rivoluzione... Ed è la città, con tutti i suoi contrasti, le sue contraddizioni e le infinite realtà che la compongono, la vera protagonista del libro: la Istanbul "di sopra" insieme alla Istanbul sotterranea, quella della speranza e della luce mescolata - fin dal titolo - alla sua gemella, quella dell’ombra, dell’arroganza degli uomini, della brutalità del potere.


L’Autore

Burhan Sönmez (Haymana, 1965) è un avvocato, scrittore e giornalista turco di etnia curda. Il suo primo libro North (Kuzey) è stato pubblicato nel 2009 in Turchia. Il suo secondo romanzo, Gli innocenti (Masumlar), è stato pubblicato nel 2011. Il suo terzo romanzo, Istanbul Istanbul, è stato pubblicato nel 2015. Labirinto, il suo quarto romanzo, è stato pubblicato nel 2018.



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