Sei all'interno di >> :.: Primo Piano | Scienza |

Interrogarsi sulla follia: necessità e dovere

A Mendrisio il concetto di socioterapia è stato applicato in riferimento al pensiero di J. Oury che si basa principalmente sulla teoria della psicoterapia istituzionale

di andrea mazzoleni - mercoledì 2 dicembre 2015 - 4175 letture

All’inizio degli anni settanta si è realizzata a Mendrisio un’esperienza di Socioterapia pressoché unica nel suo genere che ha positivamente influenzato i decenni successivi nell’ambito della Psichiatria cantonale La Socioterapia, settore professionale che deriva dalla Sociologia Clinica, si è sviluppata come un’insieme eterogeneo di interventi basati sull’interazione tra più persone, gruppi o collettività ritenute in difficoltà.

Storicamente, questo approccio è stato utilizzato soprattutto negli ospedali psichiatrici, quando ci si è accorti degli effetti devastanti che creava la concezione statica e custodialistica di tali istituzioni. Infatti, la permanenza prolungata in tali luoghi di cura sviluppava nei pazienti una vera e propria identificazione con il sistema, che impediva loro qualsiasi forma di recupero spontaneo. La Socioterapia, introducendo nuove possibilità d’intervento affidate ai pazienti stessi, evidenziò una serie di strategie volte al recupero e al potenziamento della parte “sana” dell’individuo problematico.

La sociologia clinica è una disciplina eclettica di tipo pratico-umanistico che cerca di migliorare la qualità della vita delle persone attraverso la valutazione critica delle opinioni, delle linee di condotta politica e delle attività pratiche con una attenzione al miglioramento della situazione ed all’intervento, inteso come creazione di nuovi sistemi ovvero come cambiamento dei sistemi esistenti.

Il sociologo clinico tenta di trasporre le teorie e le metodologie della sociologia in un meccanismo di interventi praticabili che aiuti nella produzione di un cambiamento sociale accettabile per tutte le persone coinvolte nelle conseguenze delle trasformazioni sociali che ne derivano. L’ipotesi della socioterapia è che non vi sia un concetto astratto di disagio ma che si debba fare riferimento ad una serie di ambiti, alcuni dei quali sono intimamente legati alla deriva storica dei media: il succedersi di media via via dominanti che crea periodi iniziali di disagio in relazione dell’obsolescenza di quello precedente e nella fase di consolidamento di quello successivo.

A Mendrisio il concetto di socioterapia è stato applicato in riferimento al pensiero di J. Oury che si basa principalmente sulla teoria della psicoterapia istituzionale. La sua pratica ha trasformato l’ambiente dell’ospedale psichiatrico in un luogo umano di cura (curare le persone non vuol dire semplicemente dargli dei farmaci), basato sulla libertà di circolazione, che può essere mantenuta però solo con l’impegno costante. L’interessante è proprio che in un ambiente di libera circolazione ci sia la possibilità di creare conflitti, non per far arrabbiare la gente, ma per creare la vita: solo a partire dai conflitti c’è l’occasione di parlare e di cercare di migliorare le relazioni. Il concetto di libertà di circolazione non è però così semplice come potrebbe sembrare, dal momento che può capitare spesso che le persone girino in tondo “senza concludere niente”.

Bisogna perciò creare delle occupazioni. Di conseguenza si evidenzia un altro concetto di base: la polivalenza. Ogni membro del personale ha una multi appartenenza ad équipe diverse e, questa circolazione da uno spazio all’altro, da una funzione all’altra, produce una serie di effetti. C’è una formazione continua, con la possibilità di trovare un percorso individuale e c’è un effetto di rottura delle barriere con la creazione di aperture da un ambiente all’altro. La psicoterapia istituzionale privilegia la presa in carico e si serve dell’offerta per suscitare una domanda. Questa è la specificità del suo metodo: è il rovescio dell’atteggiamento di attesa, tipico del rapporto terapeutico a ruoli definiti. È una clinica nuova, che prende in conto contemporaneamente il soggetto, il gruppo di operatori e l’istituzione. Se si pratica in una relazione sociale come quella attuale, dispersa e burocratizzata, se si è a contatto con la rete di servizi, il sapere della psicoanalisi è un intralcio qualora si irrigidisca in un formalismo dogmatico; è invece una risorsa se diventa un metodo esportabile che permette di lavorare insieme ad operatori che hanno approcci tecnici differenti. È proprio questa la risorsa della psicoterapia istituzionale.

A questo proposito l’intervento socioterapeutico assume oggi rilevanza essenziale nello sviluppo delle pratiche di aiuto e di cura nei vari ambiti istituzionali. I concetti di lavoro che fanno riferimento all’Altro sociale e ai luoghi di incontro non possono che svilupparsi in un ambiente che favorisca la relazione e che diventi esso stesso istanza terapeutica privilegiata, assumendo la connotazione di spazio terapeutico per il reinserimento e per la presa a carico dei vari aspetti sociali e relazionali, da parte dei diversi operatori coinvolti. A pochi importa modificare fattualmente i destini dei malati, si preferisce negarli o normarli, o compatirli. Interrogarsi sulle ragioni della follia, a volte frutto di ben comprensibili gironi concentrici di sopraffazioni e miserie, è ancora oggi più che mai necessario e doveroso.


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -