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Incontro con la giornalista Stefania Limiti al liceo artistico torinese Renato Cottini

Il ciclo di incontri per docenti piemontesi dal titolo “Mafie e dintorni. Il fenomeno delle mafie in Italia e i loro rapporti con lo Stato e la società civile” si è arricchito, venerdì 4 marzo di un ulteriore contributo.

di francoplat - mercoledì 9 marzo 2022 - 1600 letture

In streaming, la giornalista freelance Stefania Limiti ha trattenuto gli insegnanti sul tema “Perché le mafie?”, nel corso di un incontro che, al termine della relazione, ha visto i docenti confrontarsi con l’ospite attraverso alcune domande sulle questioni sollevate nella prima parte.

Stefania Limiti ha collaborato, e collabora, con varie riviste e testate, da “Gente” all’ “Espresso”, da “Left” a “La rinascita della sinistra”, da “Aprile” a “il Fatto Quotidiano”. A quella di giornalista, affianca l’attività di saggista, muovendosi tra l’interesse per tematiche di politica internazionale – è in questa cornice che pubblica, nel 2002, un volume dedicato alla strage nei campi di profughi palestinesi di Sabra e Shatila alla periferia di Beirut dal titolo “I fantasmi di Sharon” – a quello per le vicende ancora oscure della nostra storia nazionale, alla ricerca delle verità nascoste e dei meccanismi di funzionamento del potere. Del potere, per così dire, dalla faccia meno presentabile.

Mossa da questo interesse ha pubblicato, fra gli altri, “L’anello della Repubblica. La scoperta di un nuovo servizio segreto. Dal Fascismo alle Brigate rosse” (Chiarelettere, 2018), dedicato, appunto, al “Noto servizio” o “Anello”, struttura segreta la cui storia si intreccia a quella delle vicende più dolorose della nostra storia nazionale. Sempre in questa cornice è sorta la pubblicazione di “Doppio livello. Come si organizza la destabilizzazione in Italia” (Chiarelettere, 2020), sui rapporti tra Rete atlantica, Nato, Cia e gruppi eversivi neo-fascisti italiani, anch’essi letti e analizzati alla luce di eventi tragici del nostro Paese, da Portella della Ginestra alle stragi del 1992. Va sottolineato, in punta di penna e per dare conto del valore dell’indagine avviata da Limiti, che la giornalista è stata processata per non aver rivelato una fonte; processo dal quale è uscita assolta grazie anche all’aiuto dell’associazione Ossigeno per l’informazione.

Con questo bagaglio di conoscenze, l’ospite ha affrontato la questione “perché le mafie?”, titolo da declinarsi, sulla base delle osservazioni giunte nel corso della relazione, come segue: perché le mafie ci sono ancora? Perché le mafie, almeno da un certo punto di vista, hanno vinto e resistono a dispetto del tempo? Un’indicazione la giornalista la fornisce fin dal commento iniziale, dopo aver precisato quanto sia importante cogliere la specificità del fenomeno mafioso ed evitare di confonderlo con una generica organizzazione criminale. Il commento in questione è relativo ai tanti “buchi” nella storia novecentesca italiana, ai silenzi e alle verità nascoste, soprattutto a quelli dell’Italia repubblicana, del Paese sotto l’ombrello Nato, nel quadro della guerra fredda.

Silenzi e verità nascoste che hanno contrappuntato, dice l’ospite, anche un convegno famoso, quello all’Hotel Parco dei Principi a Roma, nel maggio 1965, organizzato dall’istituto Albero Pollio per gli affari strategici, vicino allo Stato maggiore della Difesa, quello in cui, secondo certa pubblicistica, si sarebbe formalizzata la strategia della tensione. Vale solo la pena ricordare che il convegno, avente come tema “La guerra rivoluzionaria” e organizzato da due giornalisti di estrema destra, Enrico De Boccard e Gianfranco Finaldi, rappresentò il coagulare di una rete ampia di interessi, non soltanto espressione delle forze armate, ma anche di importanti settori del mondo imprenditoriale, politico e culturale, e si orientò all’analisi dei modi attraverso i quali sarebbe stato opportuno opporsi all’avanzata del comunismo. Anche attraverso l’uso della violenza politica.

La Limiti entra, quindi, nell’analisi di lungo periodo del fenomeno mafioso. Lo fa con tocchi impressionistici, suggerendo più che analizzare in profondità, proponendosi, come dichiara esplicitamente, di fornire suggestioni problematiche e percorsi tematici da trattare in aula con i discenti. Osserva, a livello generale, come quello delle onorate società sia il racconto di organizzazioni che hanno conosciuto diverse metamorfosi capaci di superare il mutamento storico, di resistere ai cambiamenti epocali, di restare profondamente intrecciate ai luoghi di origine. E, a tale proposito, colloca la genesi delle mafie nel momento storico dell’eversione della feudalità, a inizio Ottocento, quando anche nel Sud Italia si cercò di sfaldare il reticolato delle antiche forme di gestione feudale della proprietà, in connessione con la graduale affermazione di un ideale patriottico. In quelle terre, ossia in Sicilia, in Calabria e nel Napoletano, quei lontani sodalizi si sarebbero creati all’ombra delle carceri, accanto agli oppositori politici del potere borbonico, accanto a carbonari e massoni.

È il metodo mafioso che va precisato, continua la Limiti, mostrando un lavoro di Nicola Tranfaglia dal titolo “La mafia come metodo” (1991): quel metodo era incardinato sulla segretezza, sul sodalizio segreto. In questa cornice, il mutamento traumatico del modello politico, ossia il superamento degli antichi Stati italiani integrati nel nuovo Regno d’Italia, non mutò la situazione, le organizzazioni mafiose, consolidatesi come forma di gestione delle campagne e dei ceti rurali, restarono in piedi in un rapporto di collaborazione con il potere locale e, indirettamente, con quello nazionale. Destra e sinistra storica e poi l’Italia giolittiana non si emanciparono da questi rapporti di collusione, li perpetuarono, ne consentirono il perdurare.

Al di là delle roboanti dichiarazioni di regime, sottolinea la giornalista, neppure il fascismo, negli anni del prefetto Mori, fu davvero in grado di estirpare il fenomeno. Il prefetto di ferro, nel corso del triennio 1926-29, colse sicuramente alcuni risultati, ma si trattò di azioni che colpirono, per così dire, il braccio armato della mafia siciliana, lasciando, però, intatta la testa delle organizzazioni. Non a caso, seguendo il corso della storia, la Limiti sottolinea, non senza qualche cautela, l’ipotesi della collaborazione dei mafiosi con le forze alleate durante lo sbarco del ’43 e l’uso che gli Stati Uniti fecero dei capi dell’organizzazione per gestire la sicurezza dei porti. È in questo frangente che spiccò, fra le altre, la figura di Lucky Luciano, chiamato dai servizi segreti della marina militare statunitense per occuparsi del porto di New York ed evitare azioni di sabotaggio tedesche.

Al nuovo rintocco della storia, al sorgere della Repubblica, le mafie ricomparvero, osserva l’ospite. E lo fecero contrappuntando tanti momenti cruciali della storia tragica del nostro Paese dopo la seconda guerra mondiale. La Limiti, infatti, ce ne mostra la presenza tra gli uomini del fallito golpe Borghese, li colloca quali importanti interlocutori nella vicenda Aldo Moro e in quella del rapimento dell’assessore campano Ciro Cirillo. In quest’ultimo caso, dipinge la plastica e ieratica figura di Cutolo dal quale ci si recava in carcere perché il boss facesse da mediatore. Né omette, la giornalista, di suggerire i mutamenti socio-economici, il boom economico, l’industrializzazione, l’apertura di nuovi fronti criminali quali quelli delle sostanze stupefacenti o, nel caso della Camorra, delle sigarette. Cambiamenti che aprono tensioni all’interno delle stesse organizzazioni mafiose, da Cosa nostra alla ‘ndrangheta alla Camorra, per la spartizione del territorio e delle risorse. Tutto ciò, fermo rimanendo un aspetto, ossia il saldo collocarsi della criminalità mafiosa accanto ai poteri forti.

Almeno sino alla caduta del muro di Berlino. Perché, dopo aver elencato la stagione violenta di Cosa nostra, dalla fine degli anni Settanta sino a quella dell’anno successivo, la giornalista osserva come la caduta del bipolarismo e la conseguente crisi dei partiti in Italia abbia portato la mafia a cambiare strategia. La crisi di credibilità della Democrazia cristiana condusse alla ricerca di altri interlocutori e alle stragi dei primi anni Novanta, in un’Italia che, attraversata dallo scandalo di Tangentopoli, approdò, di lì a poco, alla cosiddetta seconda Repubblica. Era il 1994, Berlusconi andava al governo e le stragi cessavano.

L’ultimo periodo sintattico non è una citazione testuale dell’ospite dell’incontro. Ma chi scrive ritiene che si tratti di un accostamento coerente con l’intero percorso concettuale seguito da Stefania Limiti nel corso del pomeriggio, quel filo rosso che corre nell’arco di due secoli, la relazione fra potere e mafia, inestricabile, oscura, pervasiva.


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