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Il vincolo di mandato: sì o no?

"...., a ben guardarle, le argomentazioni su detto provvedimento degli uni, pro, e degli altri, contro, sono paradigmatiche della scarsa cultura etica e dello strumentale pressapochismo con i quali nel nostro parlamento si è adusi elaborare le norme di attuazione di un qualsiasi principio costituzionale. Infatti, quest’ultimi non vengono quasi mai interpretati e normati nel loro giusto spirito deontologico."

di Gaetano Sgalambro - sabato 23 novembre 2019 - 2250 letture

Non molto tempo fa il M5S, memore della transumanza in altre formazioni politiche di tanti suoi portavoce (eletti) della diciassettesima legislatura, decise di sancire nel proprio statuto per i nuovi eletti il vincolo di mandato parlamentare. Tale decisione suscitò la reazione di tutta la classe politica e dei media nazionali, che lo ritenevano anticostituzionale, nonostante valesse solo per il movimento e che come tale poteva anche essere plausibile. Pur con tale rilevanza di nicchia, ebbe una vasta eco anche presso l’opinione pubblica, specie a livello della sua élite culturale e dei media dimostratesi particolarmente sensibili al tema. Un eco di ridotta entità suscitò quando propose d’includerlo come obiettivo programmatico nel “contratto di governo per il cambiamento”, stipulato con la Lega. Recentemente ha riacceso un vespaio di reazioni allorché lo ha riproposto come uno degli obiettivi del governo “giallo-rosso”.

Tuttavia, a ben guardarle, le argomentazioni su detto provvedimento degli uni, pro, e degli altri, contro, sono paradigmatiche della scarsa cultura etica e dello strumentale pressapochismo con i quali nel nostro parlamento si è adusi elaborare le norme di attuazione di un qualsiasi principio costituzionale. Infatti, essi non vengono quasi mai interpretati e normati nel loro giusto spirito deontologico. Ricordo che il dilemma “vincolo di mandato sì o no” risale all’inizio dell’attività parlamentare repubblicana. Raggiunse il massimo clamore con i governi di centrosinistra, penalizzati dall’arcipelago di partiti delle loro maggioranze, le cui attività legislative venivano spesso “giubilate” nelle votazioni segrete dai famosi franchi tiratori. Anche allora si levarono propositi di istituire per legge il vincolo di mandato elettorale o di eliminare le votazioni a scrutinio segreto. Fu questa l’occasione per moltissimi cittadini, me compreso che ne ero infastidito, di venire a conoscenza del testo dell’articolo 67 della Costituzione (vedi oltre). È dalla sua lettura che venni a sapere con grande sorpresa che i franchi tiratori, additati al pubblico disprezzo, erano tra i pochi deputati che avrebbero osservato, almeno sotto l’aspetto formale, la Costituzione. Insomma, tutto ciò è la misura del paradossale guazzabuglio culturale in cui molti cittadini sempre versiamo di fronte alle problematche costituzionali.

Senza dubbio sapere dirimere i termini sostanziali del dilemma in questione è di estrema importanza, perché ha ripercussioni politiche di amplissima portata. La rappresentanza parlamentare, infatti, è il volano che ciclicamente rimette in moto il nostro regime politico-democratico. E’ grazie alla sua corretta funzionalità che il parlamento, il quale ne è la materializzazione, può perseguire uno degli obiettivi di massima importanza della Costituzione Italiana: intermediare la migliore via di sostenibilità alla realizzazione degli interessi primari della collettività, dai quali quanti più cittadini possibili possano legittimamente trarne, con il lavoro, la loro massima quota parte.

Vale la pena, dunque, di tentare di capire quale siano la filosofia progettuale e il profilo tecnico dell’istituto della rappresentanza parlamentare dei cittadini aventi diritto al voto. Essi sono articolati in sezioni diverse della Carta. Già nei “Principi Fondamentali”, validi giuridicamente erga omnes, sono prefissati i diversi obiettivi primari che parlamento e governo dovranno perseguire. Mentre nelle sezioni “Rapporti politici” e “Il Parlamento” sono definiti i profili dei partiti (art.49), dei parlamentari (art.67) e la struttura del loro rapporto con l’elettore. Vale a dire dei tre coprotagonisti del rapporto di rappresentanza: elettore, partito e deputato parlamentare.

Il rapporto di rappresentanza è ordinato nella forma mandataria operativa "ad hoc", in altri termini di delega di rappresentanza a fare una predefinita cosa. L’elettore è nel ruolo sovrano di mandante, il partito e il deputato sono nel ruolo congiunto di mandatari, ma tra loro differenziato. Infatti, al partito è assegnato il ruolo strategico di ineludibile intermediario tra gli elettori e il parlamento. Esso è l’esclusivo titolare e responsabile della redazione del programma di legislatura quinquennale (oggetto specifico del mandato elettorale!) e della presentazione dei candidati al parlamento più idonei a realizzarlo: per l’appunto in nome degli elettori. A parlamento insediato, questa sua intermediazione ineludibile si proietta anche sulla operatività dei propri deputati, della quale ne controlla la rispondenza agli impegni programmatici di legislatura. La posizione sub-mandataria dei deputati rispetto ai partiti non li esime dalla responsabilità personale verso gli originari mandanti (i propri elettori). In questa triangolazione la posizione più debole sembrerebbe quella del deputato parlamentare, che appare servo di due padroni. Ma non è proprio così, come vedremo più avanti.

Riassumendo, il partito ha una duplice ruolo mandatario: di titolare della progettazione programmatica politica di legislatura, auspicabilmente come pianificazione quinquennale di una visione organica di lungo periodo del paese; di sub-mandante rispetto ai deputati, dei quali ne decide la candidatura e ne presiede l’attività politica. Doppio ruolo che discende dalla funzione maieutica che gli venne attribuita dalla Costituzione. Funzione a suo tempo necessaria sia per il basso livello culturale e democratico dei cittadini, sia nella previsione che sarebbe tornata utile anche nella lontana prospettiva di una società evoluta e totalmente assorbita dal lavoro. Cosicché a questo suo doppio ruolo corrisponde una pesante responsabilità. Infatti il partito deve rispondere ai propri elettori, in solido con i suoi parlamentari, del grado di concretizzazione dei progetti programmatici di legislatura (ove fossero mai stati presentati).

La Costituzione nella sezione “Ordinamento della repubblica”, all’articolo 67, così definisce il ruolo del deputato: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. La sua interpretazione non è così elementare come appare alla lettura estrapolata dal suo contesto. In esso la Costituzione sottintende fissare l’obiettivo primario al quale devono concorrere organicamente tutti e tre contraenti del contratto di mandato: elettore, partito e deputato. Ognuno al proprio livello. In particolare, con ciò impone indirettamente all’elettore sovrano di astenersi dall’avanzare al suo deputato e al suo partito istanze a favore esclusivo dei propri interessi, ove questi fossero d’ostacolo all’assolvimento del suddetto obbligo primario.

Vediamo attraverso quali passaggi la Costituzione determina la posizione del parlamentare. Esso è il rappresentante dell’elettore; lo è in subordine anche del partito che l’ha candidato; infine, però, viene elevato ad autonomo rappresentante della Nazione e, quindi, a esclusivo custode del patrimonio costituzionale di valori e di obiettivi primari. In virtù di tale ruolo gli viene riconosciuto il diritto/dovere di sciogliersi dai vincoli contrattuali dei suoi mandanti e sub mandanti, cioè dagli elettori e dal partito, ove questi li mettessero in pericolo o solo fossero orientati a farlo. In questo modo sancisce di diritto la priorità assoluta degli interessi concreti della collettività nelle finalità della politica.

La filosofia progettuale dell’istituto della rappresentanza parlamentare, come si vede, si articola in due livelli di pari importanza. Nel primo è definito il perimetro di compatibilità dei diritti/doveri programmatici di ognuno dei tre contraenti: non debbono confliggere con il patrimonio degli interessi generali della collettività. Nel secondo affida al partito il compito di proporre chiaramente l’oggetto del contratto mandatario: il progetto programmatico di legislatura, insieme alla lista di candidati idonei a realizzarli. Su questa proposta il cittadino sviluppa il proprio giudizio critico e opera la scelta politica. La ratio validante del contratto mandatario operativo, in senso etico-giuridico, è la realizzazione, previo confronto migliorativo con gli altri partiti in sede parlamentare, del progetto programmatico di legislatura votato dagli elettori.

Di converso, la mancanza ab origine del suddetto progetto programmatico di legislatura, di solito supplito da un programma propagandistico elettorale e di fatto nulla significante, rende il contratto mandatario nullo giuridicamente e soprattutto politicamente: è stato approvato elettoralmente pur essendo un sacco vuoto di progetti veri. Di fatto i partiti e i deputati non hanno assunto alcun preciso impegno elettorale. Talché a fine legislatura, qualunque cosa abbiano fatto, possono sempre dire di avere agito in nome degli elettori, che avevano concesso loro una delega in bianco; mentre si è nell’impossibilità di valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi programmatici.

Ricapitolando, allo stato dell’arte, sul piano etico si ha che: il vincolo di mandato esiste espressamente solo nel perseguire gli interessi superiori della Nazione; non esiste per altre sfere d’interessi che contrastino con i priimi o che siano illegittimi; la rappresentanza parlamentare non può avere alcuna legittimazione politico-democratica ove manchi dell’oggetto del mandato elettorale, ovverosia del progetto programmatico di legislatura, oggigiorno necessitante della validazione di esperti tecnici terzi.

Sul piano storico abbiamo visto che un vero progetto programmatico di legislatura non è mai stato presentato; abbiamo visto solo slogan elettorali o generiche e fatue indicazioni di principio. Il venire meno dell’oggetto del contratto mandatario ha spento la meravigliosa speranza di potere coniugare i valori e i fini costituzionali, con quelli conseguenziali dei partiti e in uno con la volontà elettorale dei cittadini. In termini più crudi si può dire che con un istituto di rappresentanza così colposamente realizzato dai partiti si è venuta a creare, nel tempo, la dissociazione completa tra quella parte del corpo elettorale criticamente pensante o silenziosamente lavorativa e il parlamento. Esattamente il contrario di quanto voluto dalla Costituzione. Per non dire che l’assenza dei progetti programmatici di legislatura si è tradotta nell’impossibilità di predefinire alleanze di governo scevre da cause d’instabilità.

A latere della luce di quanto emerso dalla suddetta disamina del vincolo di mandato, non ci si può esimere dal denunziare, checché ne vogliano dire i media e gli intellettuali con i loro silenzi in proposito, che i partiti in concreto rispondono solo agli interessi dei propri leader, iscritti e affiliati. In conclusione hanno ragione solo ad litteram quanti, intellettuali, partiti e politici, criticano chi vuole introdurre un vincolo di mandato, perché vietato dalla Costituzione. Laddove la stessa sul piano etico lo impone ai parlamentari, ma non per favorire gli interessi dei partiti, bensì quelli nazionali. Mentre hanno torto immarcescibile quando nello stesso tempo non denunziano la perniciosa assenza di seri progetti programmatici di legislatura, che stanno alla vera base dell’incertezza del parlamento.

Parimenti, a quanti sostengono che i vincoli etici non risultino efficaci a contenere i parlamentari entro i limiti del mandato elettorale e che occorra sostituirli con altri di natura giuridica, io così rispondo: la Costituzione lascia ampio spazio legislativo perché si normino opportunamente sia lo status di diritto e comportamentale dei partiti, sia la legge elettorale, che sono all’origine del fenomeno della transumanza. Non solo. Sono anche all’origine della nullità etico-giuridica del contratto mandatario e del valore politico-democratico della delega di rappresentanza parlamentare, la quale, com’è sotto gli occhi di tutti, così si consuma nella realizzazione di un pulviscolo di contrastanti interessi di parte e nell’instabilità dei governi.


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