Il quadro della settimana: “La fucina di Vulcano” di Diego Rodriguez de Silva y Velazquez

Olio su tela, cm 223 x 290. 1630, ubicato al Museo Prado di Madrid

di Orazio Leotta - martedì 10 dicembre 2013 - 6037 letture

Questa grande tela di soggetto mitologico, che mostra Apollo mentre rivela a Vulcano il tradimento della sua sposa Venere con Marte, fu sicuramente dipinta da Velazquez a Roma nel 1630, al tempo del suo primo viaggio in Italia. Il tema classico rappresentato è calato nell’immediatezza di una scena reale: i ciclopi sono ritratti come garzoni di un fabbro ferraio; nei volti degli astanti si leggono sorpresa e stupore, con una gamma di espressioni magistralmente variata. Solo nell’espressione di Vulcano è possibile riconoscere un velo di indignazione. 62) La fucina di Vulcano

Nonostante la dimensione di insolita quotidianità dell’ambientazione in una buia fucina, la composizione resta calibrata e armonica, semplice, ma allo stesso tempo di raffinata eleganza. Nella tela di Velazquez, Apollo conserva il suo doppio ruolo di Dio della poesia a cui allude la corona di alloro – e di astro che porta la luce, rappresentata dai raggi che lo incoronano facendone risaltare il netto profilo.

Quale simbolo del sole, Apollo è la luce che svela l’inganno perpetrato da Venere ai danni del marito, mentre, secondo alcuni studiosi, il fatto che egli sfoggi il simbolo della gloria poetica in una fucina e tra gli artigiani alluderebbe alla superiorità dell’idea sul lavoro manuale e quindi alla nobiltà dell’arte e della pittura, al tempo considerate ancora da molti come attività troppo legate alla “vile” tecnica per essere veramente alla pari con le scienze e le discipline del sapere.

Il pittore indugia con grande maestria sulle muscolature dei corpi seminudi, che vengono studiati, come statue classiche, in pose diverse, mentre la luce radente ne evidenzia i volumi. Il ciclope che si piega sulla corazza ha più degli altri la posa di una scultura antica. Velazquez arricchisce la narrazione con splendidi brani di natura morta: gli arnesi del laboratorio e i ferri luccicanti, ma soprattutto il vaso di ceramica bianca con riflessi azzurrini poggiato sul camino.


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