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Il pugno chiuso è un’altra cosa

Sull’uso del fist bump, o sulla non gradita richiesta di complicità.

di Sergej - lunedì 6 dicembre 2021 - 5314 letture

Sono costretto a darvi una cattiva notizia, ragazzi e ragazze: non siamo più ragazzi e ragazze. Non siamo neppure giocatori di basket americani o esponenti della cultura nera o ispanica degli slum statunitensi. Carissimi e carissime: potete smetterla di “darvi” il pugno quando salutate le persone. Specie gli estranei. Tanto più che in caso di epidemia virale non è proprio il caso. Lo sapevano bene i nostri bisavoli, reduci dall’epidemia quella seria, la spagnola - quella sì che ha nociuto migliaia di morti, e tutta tra la popolazione più sana e attiva - qui si potrebbe fare una parentesi sul fatto che non esistono più le malattie di una volta (anche se i virologi a dire il vero mettono le mani avanti: la prossima epidemia potrebbe essere davvero quella killer, quella devastante prevista da decine di film negli ultimi quindici anni a questa parte) - come del resto non ci sono più le mezze stagioni ecc_.

All’epoca dicevo - siamo in periodo di guerra - si inventarono o reimpiegarono a diffusione di massa i saluti più strambi: dal pugno chiuso, ma in aria e sopra la testa (nessun contatto!); alla mano alzata a fendente “igienico moderno e salutare” a imitazione dei quadri ottocenteschi che ritraevano corpulenti legionari elmati e adorni di piume di tacchino (negli anni Sessanta: spazzole di scope); e il tradizionale saluto militare, quello che sbatte la mano sulla fronte non per dire “sei matto” ma - come pare disse Francis Drake alla regina Elizabeth I - “per riparare gli occhi dalla luminosa bellezza sovrana”.

Sarebbe il caso che ci inventassimo un nostro saluto, al passo con i tempi - invece di utilizzare saluti che gli orrori del Novecento hanno consegnato al disonore. Evitando saluti birichini che pure sono possibili (il “marameo”), o quelli esotici e orientaleggianti o in odor di santità (le mani giunte) i gesti possibili da poter fare con le mani o con altri organi - ma distanziati e senza toccamenti - sono infiniti.

Vi prego solo di evitare - nell’epoca che ha ormai dominante come unico intercalare il “cazzo” nella cultura sessuofobica e sessuocentrica italiana (in Germania usano a quanto pare espressioni denigratorie della pulizia: paese che vai, intercalare che trovi - legato sempre al “problema” centrale di quel dato Paese) l’uso di scambiarsi quale segno di pace il medio alzato o le due tradizionali dita di corna, o il segno di "vittoria" con mimo di slinguazzo.

Anche il toccarsi dei gomiti è uno di quei strambissimi "saluti" divenuti consuetudine di massa. Anche qui, l’antigenica usanza di toccarsi. Ma soprattutto: che minchia di saluto sarebbe? Due camerati ubriachi che si incontrano, fanno una piroetta e un saltello, un inchino e via? Ma manco Stanlio e Ollio! Che razza di Paese siamo diventati?

Questo strambo Paese che è l’Italia - degno di uno studio antropologico e sociologico ad hoc - sarebbe capace di questo e di altro.

Ma vi prego, ragazzi e ragazze che non siete più - anche se tali continuate a chiamarvi, nonostante l’età -, vi prego: smettetela di toccarvi. Capisco che volete sentirvi a tutti i costi ancora ragazzini e senza problemi; vestirvi da ragazzini, mangiare da ragazzini e avere pensieri ragazzini. Ma persino i vostri figlioletti hanno ormai codici autoidentificativi diversi, non si sognerebbero mai di salutarsi in quel modo. Distanziamento in tempo di pandemia significa esattamente questo: stare distanti. Capisco che vi è difficile non “sentirvi americani”, ma per una volta tanto un po’ di buon senso su quello che fate?

Un cordiale saluto a tutti.

Buone feste


Post-scriptum dell’uomo venuto dalla luna

È capitato che mentre ero al tavolo di un bar con un amico, un tizio di avvicina al nostro tavolo e saluta il mio amico. Compiono questo strano gesto, l’avvicinamento dei pugni nella simulazione dell’atto. Che guardo con stupore, come al rallentatore - senza riuscire a decodificare il significato di questo strano rito. Il nuovo venuto, che non si è presentato, assolutamente sconosciuto e celato dalla sua mascherina, evidentemente per cortesia ha voluto ripetere il gesto anche con me. Io mi sono visto avvicinare un pugno chiuso davanti. Ho guardato con gli occhi sbarrati questo pugno, un attimo di terrore. E poi ho visto che l’uomo, vedendo che io non reagivo, aveva un movimento di stizza. Non mi ha mandato affanculo ma quasi. Si è subito allontanato senza dire una parola. Io ancora stupito per quanto era accaduto - la rapidità delle reazioni. Per lui era stato un gesto di saluto, di complicità, di disponibilità persino - rifiutato. Una sgarbatezza da parte mia. Io solo dopo riesco a ricostruire, decodificare quanto avvenuto. Certamente in tutto questo c’è la mia lentezza nel decodificare i gesti umani. Che rimangono così, inspiegati: perché poi nessuno - né il mio amico, né tantomeno lo sconosciuto, si sono degnati di spiegare la cosa - dando per scontato da parte loro che questa usanza fosse una usanza nota a tutti. Nei riti sociali ignoranza (come nella più ferrea delle leggi) non è ammessa, né disattenzione. Al mio amico cerco di spiegare come mi sembra assurdo che in epoca di pandemia si vogliano compiere questi contatti fisici. Taccio sull’impressione di violenza del gesto - come se certi riti possano essere compresi e accolti solo in ambienti pronti a percepire il sotteso del testo - la complicità che intende il gesto si accompagna a un rito guerriero, non neutrale né pacifico. Il mio amico sembra non capire, mi guarda come se fossi appena venuto dalla luna.

PS: qualsiasi allusione alla canzone di Capareza è puramente casuale.



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