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Il mondo rovesciato dagli scaffali

Composti in buona parte nel 1968 e pubblicati postumi nel 1977 da Guanda, i testi di "Ipotesi", di Murilo Mendes, sono ora riproposti nella collana "Cittadini della poesia" curata da Mia Lecomte con la collaborazione di Francesco Stella per l’editrice Zone.

di Maria Gabriella Canfarelli - giovedì 14 ottobre 2004 - 6127 letture

Il mondo rovesciato dagli scaffali in "Ipotesi", di Murilo Mendes (Zone, 2004)

Composti in buona parte nel 1968 e pubblicati postumi nel 1977 da Guanda, i testi di "Ipotesi" sono ora riproposti nella collana "Cittadini della poesia" curata da Mia Lecomte con la collaborazione di Francesco Stella per l’editrice Zone. Si tratta, avverte la prefatrice Luciana Stegagno Picchio, filologa iberista, medievalista e storica di Letteratura portoghese, di poesie scritte dall’esilio: cittadino di Roma da ormai undici anni, Murilo Mendes sposta il proprio registro linguistico, scrive direttamente in italiano, la lingua ospitante assimilata nel corso dei contatti quotidiani con i colleghi dell’università capitolina presso la quale egli insegnò, ma anche lingua appresa nel quotidiano, mutuata dalle notizie di cronaca e dalle espressioni comuni della gente.

Il poeta aveva cominciato a prendere familiarità con la nuova lingua e la nuova condizione stilando presentazioni critiche a cataloghi d’arte, testi brevi e densamente esplicativi il punto di vista del letterato cultore d’arte, scritti in Italia dal 1956 al 1974, poi confluiti nel volume "L’occhio del poeta", pubblicato nel 2001.

In "Ipotesi" l’avventura nella lingua altra rappresenta lo scardinamento delle certezze, la forma fredda del pensiero spinto sino alla dispersione dell’identità, dove si conclama il protagonismo della morte: prima istanza in cui si concentrano tutte le ipotesi, prima tra tutte dell’inconoscibilità della sua forma.

Lingua del cuore, adottiva: "vasto spazio che bisogna saper riempire", scrive in post-fazione Mia Lecomte, e sottolinea: "Nella migranza è sempre insita una doppia componente: al dolore del distacco - un sentimento di rigetto misto a un senso di colpa per ciò che si è abbandonato - si accompagna la scoperta delle proprie reali potenzialità, e la prigione, reale o figurata, coincide con il luogo di incontro con il proprio io più profondo".

"La morte sarà ovale o quadrata? / chi la ospita con un teorema?"; e in altri versi: "Qualcuno è assurdo /lucido/ nutrito di Kafka / Descartes / qualcuno prende l’insonnia a mo’ di pastiglia / qualcuno soffre di guerra / come altri soffre di cancro. / Qualcuno sa che la materia è metafisica. / Esisteranno veramente per lui /il radar / la lucertola/ lo strutturalismo / la telepatia? / Qualcuno odia le dittature / le patatine fritte/ qualcuno si vede circondato da insetti o da ipotesi. / Qualcuno è un romantico irreversibile: la cibernetica non cambierà la sua mente".

In un mondo sistemizzato, catalogato, strutturato in ogni sua forma, Mendes è un rivoluzionario che disorganizza, colui che infrange il vecchio e afferma il nuovo ordine metafisico tirando il mondo e l’universo conosciuto e conoscibile giù dagli scaffali in cui stava, in bell’ordine, riposto.

Destrutturare le forme familiari e amate per ricomporle in accostamenti metaforici e allusivi in una apparente babele di nomi; scompaginare l’enciclopedia e mischiarne le pagine, le persone, i nomi, Dio e la morte, città, fisica e metafisica: l’imperativo, adesso, è ricostruire del tutto nuovo il senso (contro la sofisticazione totale) attraverso il quadro/cornice: "Premo il bottone / sopprimo verticalmente il Padre eterno / distruggo l’orologio che indicava l’ora sbagliata / eccomi solo dinanzi alla bomba atomica: / andremo a letto?"(L’ultimo uomo); e ne La consumazione: "Prima di consegnarci alla ruota dell’Ade / dove gireremo, occhi spenti di pesci / che neppure un cane vuol guardare, / la morte puttaneggia col sistema"; ma più paradigmatico ne Il quadro: " E’ vero che Giovanni Arnolfini / non guarda la moglie - forse incinta - / guarda lo spettatore / anche lui protagonista /(...)/. C’è un rumore di macchine a Trafalgar Square / che altera la regola indispensabile / all’esatto svolgimento delle nozze / come lo ha voluto Van Eyck. / Il grande copricapo del negoziante / conclude un ordine un sistema / (....) / Il gesto della mano destra benedice il cosmo. / La donna china il viso orientalizzante, / la testa è coperta da un velo in merletto di Malines; / il vestito si atteggia in larghe pieghe. / Nello sfondo lo specchio, solita spia fiamminga, riflette i coniugi e altre due figure"; e, più avanti, "Le pantofole, il cane sono pronti ad ubbidire. / La frutta sulla tavola rappresenta / un minimo di natura / (...) / La coppia umana esiste ancora, / comanda ancora il sistema: / tutto si regge perché appunto essa si regge".

La speranza riposta nell’uomo femmina /maschio, nella sua capacità di scegliere consapevolmente la propria essenza è il dato che emerge da questa poesia etica, attuale, contemporanea alle istanze più cogenti: guerre accadute, temute, annunciate, dittatura e libertà, luoghi comuni da rovesciare perché l’ipotesi annunci altre possibili realtà: " L’uccello sembrava piccolo / d’improvviso scuote le ali / è diventato enorme / vittorughianamente enorme / poi piccolino / leopardianamente passero / solitario // provvisorio // passero o aereo / annunzia un viaggio a rate / o una catastrofe / le nuvole lo bevono // più immenso di una parola / anche rarefatta / anche mai scritta".


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