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Il blus letterario di un "Sardamericano"

L’italo-americano è un paradigma: potreste immaginarvi un albanese, un rumeno, un mussulmano… chiunque trovi un posto o una prigione fra i nostri pregiudizi. Letali. Recensione di Raffaele Sari

di pietro g. serra - martedì 6 marzo 2007 - 4438 letture

È pubblicato da una piccola e giovane casa editrice ed è la voce di una letteratura underground che dalla provincia si sta ritagliando nuovi spazi e giovani lettori; Massimiliano Fois ha firmato, in una manciata di anni, una raccolta di poesie, un romanzo e un’opera rock, diventando un piccolo fenomeno letterario nel vivace mondo della piccola editoria regionale sarda; il suo stile sardamericano si ripropone, da qualche mese nel monologo “Good Vincenzo” (collana “I korti”, Panoramika editrice, Alghero 2006, prezzo 6 euro) che, edito in un formato davvero tascabile ed originale, ne decreta la precoce maturità artistica. Fois folgora in 46 pagine, raccontando - al ritmo di un blues elettrico e nero alla John Lee Hocker - un personaggio rozzo e una storia semplice che però ti restano dentro.

All’idea ci ha lavorato Shakespeare, poi però l’hanno riscritta a quattro mani Verga e Dostoevskij; il tutto è stato sfoltito dall’editing di John Fante e a Massimiliano Fois non è rimasto che metterci la firma e pagare il conto del bar.

La storia è quella dell’italo-americano Vincenzo Pizzalonga. Vincenzo è un predestinato; uno predestinato alla dannazione dai pregiudizi. Quelli che gli altri hanno di lui e della sua gente e quelli che lui ha di se stesso e della sua gente. Qualcuno ha deciso per lui e lui ha fatto in vita solo quello che gli altri gli hanno chiesto di fare.

Il suo istinto, ciò che sta scritto nel suo dna di italo-americano, in realtà è la radice infetta della sua tragica, ineluttabile predestinazione. Alla fine Vincenzo fa ciò il mondo si aspettava da lui: butta la sua sventata vita da wop, rabbiosamente consumata, masticando vendetta. Vincenzo non ha imparato molto sulle sue origini italiane, ma sa cosa gli altri si aspettano da lui: pizza e pistola. E pizza e pistola lui serve in tavola alla sua bella e incomprensibile, odiata e amata America. Una bella donna l’America, una bella e sensuale donna, che sembra sempre sul punto di concedersi, ma che puntualmente respinge quelli come lui. Vincenzo è un killer, uno che uccide per lavoro, come facesse una pizza. La pistola gliela hanno data per continuare un certo discorso di famiglia, la vendetta, l’ancestrale logica della faida, la guerra mafiosa. La pistola, il ferro caldo, gli è piaciuta e adesso non se ne separa. Lo sparo chiude tutti i discorsi che non riesce a fare, risolve tutte le discussioni delle quali non verrebbe altrimenti a capo, lo illude di una giustizia. La pistola è la cultura che gli manca, la rispettabilità sociale che gli negano, il senso della vita che non gli torna mai del tutto chiaro, il terminale di ogni suo pensiero, persino il suo sesso. La pistola ha tutte le risposte. La pistola è morte e la morte è ordine, una chiarezza estrema e definitiva in un mondo confuso, complicato, contraddittorio, che nessuno ha mai provato a spiegare davvero al giovane italo-americano Vinny Pizzalonga, perché probabilmente – avranno pensato – non avrebbe comunque capito.

Allora è la pistola che lo educa, che gli spiega, che lo guida, che gli rende più facile vivere. Vivere la sua tragica predestinazione. Ma dannazione, direbbe lui, la pistola proprio non sa amare. Anzi dell’amore non sa un bel nulla. Lei sputa odio, solo odio. Così quando Vincenzo crede d’aver incontrato l’amore, non si accorge – se non troppo tardi- che non è che un’altra pistola, un altro killer, un altro odio, un’altra tragica predestinazione. L’altra pistola è in mano a una bella ragazza, una che avrebbe voluto amare se non fosse stato solo uno da pistola e pizza; una per la quale avrebbe avuto un altro senso vivere; una bella come può essere bella solo la morte che ti libera da una simile fregatura; una che ha la sua stessa missione, la vendetta.

Il destino si è preso gioco dei loro stupidi codici, li ha fatti innamorare: lui, un Pizzalonga, lei una Casablanca, una del clan rivale. Entrambi hanno pensato e forse cercato una via di fuga dal loro destino. Ma questo ineluttabile si compirà. Qualcuno potrebbe leggere in questa storia una rivisitazione del “Romeo e Giulietta” o magari, più all’americana, di “West side story”, ma in realtà “Good Vincenzo” è una storia maledetta e beffarda, una dark story, cruda, essenziale, disperata, perché non parla d’amore ma di disperazione, non parla d’eroi ed eroine ma di demoni e dannati, è la storia di chi non ha scampo, di chi è predestinato. Sembra quasi una storia di un moderno, stressato, incattivito Giovanni Verga, o la trama di un Dostoevskij metropolitano, la narrazione di Fois è densa di un pessimismo estremo, radicale; i protagonisti sono degli ultimi che non possono riscattarsi, non possono sfuggire alla loro condizione, qualunque cosa facciano. La società ha già emesso il suo verdetto, non vi è scampo, ha annullata qualunque loro volontà. Vincenzo è uno che non ha uno spazio dove vivere, ha solo un tempo breve ma dilatato dentro il quale consuma la sua vita, lasciando agli altri il compito di trovargli un senso o peggio ancora non lasciando proprio nulla, perché nulla è stato condannato ad essere. L’italo-americano è un paradigma: potreste immaginarvi un albanese, un rumeno, un mussulmano… chiunque trovi un posto o una prigione fra i nostri pregiudizi. Letali.

“Good Vincenzo” è distribuito dalla stessa Panoramika editrice ad Alghero, ma si può acquistare on line su www.panoramika-editrice.it; oppure lo si può richiedere con una semplice mail a info@panoramika-editrice.it.

Raffaele Sari


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