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I Romeo-Santapaola, “costola peloritana” del mandamento di Cosa Nostra di Catania

Una puntuale analisi sul peso specifico criminale e le molteplici connection della famiglia-guida di Messina e provincia è stata fatta all’ultima udienza del processo Beta da Vincenzo Musolino, maresciallo dei Carabinieri

di Antonio Mazzeo - mercoledì 12 giugno 2019 - 8463 letture

Un gradino più su dei clan che da sempre esercitano il controllo sociale e militare sui rioni di Giostra, Gravitelli e Camaro e della periferia sud della città di Messina. Secondo la ricostruzione degli organi investigativi, la famiglia dei Romeo-Santapaola sarebbe l’organizzazione mafiosa superiore e sovraordinata, solidamente strutturata, del variegato e polverizzato panorama criminale peloritano. Un gruppo che da sempre preferisce tenersi lontano dai conflitti armati inter-cosca, puntando invece alla penetrazione nel tessuto finanziario ed economico locale e nazionale, anche grazie alla fidelizzazione di professionisti, imprenditori, funzionari e pubblici amministratori. Punti di forza dei Romeo-Santapaola il nome e i legami, sufficienti ad incutere il massimo rispetto tra i capimafia dei mandamenti storici di Cosa Nostra siciliana e della ‘Ndrangheta calabrese.

Romeo-Santapaola Uber Alles

Una puntuale analisi sul peso specifico criminale e le molteplici connection della famiglia-guida di Messina e provincia è stata fatta all’ultima udienza del processo Beta da Vincenzo Musolino, maresciallo dei Carabinieri in servizio presso la locale Sezione anticrimine dal 2013. “L’attività di indagine Beta trae inizio intorno all’ottobre del 2013; in quel periodo eravamo impegnati nel riscontro di alcuni spunti forniti dalla collaborazione del pentito barcellonese Carmelo D’Amico”, ha esordito l’inquirente. “Storicamente la Sezione anticrimine di Messina aveva svolto la maggior parte delle proprie indagini nel territorio del Longano, quindi nelle varie operazioni che erano Gotha 1, Gotha 2, 3, 4… Non aveva mai toccato, se non in tempi piuttosto anteriori al 2000-2001, il territorio di Messina. Si è cominciato pertanto con uno studio di quelle che erano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare di Angelo e Sebastiano Mascali, Santo La Causa, Carmelo Bisognano e Carmelo D’Amico. La fase successiva è consistita nei servizi di osservazione e poi in un’attività tecnica che ha riguardato i membri principali della famiglia Romeo, in particolare inizialmente Francesco Romeo, Vincenzo Romeo, Pasquale Romeo, nonché i fratelli Pietro Santapaola e Vincenzo Santapaola. Via via l’attività di indagine è stata estesa a tutta la famiglia Romeo nonché a tutti coloro che erano in contatto con loro, soprattutto alcuni imprenditori o pubblici amministratori. La prima intenzione era scoprire tutti i possibili soggetti che avevano rapporti con loro, sia attraverso l’attività tecnica pura (intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche), che quella diretta di osservazione. Si è proceduto a mettere alcune telecamere in posizioni strategiche, cioè nei luoghi dove si incontrava l’organizzazione. In particolare all’interno dell’ufficio della XP Immobiliare che era la base degli incontri che avvenivano tra Vincenzo Romeo e l’imprenditore Biagio Grasso, l’esterno del Ritrovo Montecarlo che era un’attività commerciale aperta dalla famiglia Romeo, in particolare da Benedetto Romeo, e ancora la militarizzazione esterna dell’Hospital Bar. Un altro punto di incontro ha riguardato anche la New Time, un negozio di orologeria che si trovava sulla via Tommaso Cannizzaro e che era il quotidiano luogo dove si recava Pietro Santapaola. Sono state inserite anche delle microspie al fine di poter captare dei dialoghi di interesse. Bene, proprio un esempio riguarda appunto la New Time. Uno dei collaboratori aveva riferito che Pietro Santapaola aveva lasciato come punto di riferimento questa gioielleria nell’ambito della sua conoscenza con il soggetto messinese. Un parente gioielliere, proprio questa era la frase…. Quello di cui ci si è subito resi conto e che per noi ha rappresentato la parte più importante dell’informativa, è la presenza di un’organizzazione a Messina che non era frammentata, sparsa o polverizzata come nei clan cittadini che noi vedevamo; alcuni elementi ci hanno fornito invece il riscontro di un’organizzazione che si trova superiormente a questi piccoli gruppi, vuoi che sia il clan di Santa Lucia, Mangialupi, Giostra, quindi gerarchicamente sopraelevata. Da cosa era data questa nostra intuizione? Innanzitutto perché l’organizzazione si muoveva e poteva dialogare con gruppi paritetici, ci riferiamo soprattutto alle altre organizzazioni di Cosa Nostra, quindi con altri elementi di Cosa Nostra palermitana e catanese ma anche, e soprattutto, come vedremo per quanto riguarda gli affari che hanno riguardato i rapporti con la ‘Ndrangheta calabrese, anche con i membri della famiglia Barbaro”.

La cosca cerniera Sicilia-Calabria

“A Messina non c’è la presenza di un mandamento di Cosa Nostra, questa è cronaca giudiziaria che ben conosciamo”, ha spiegato il maresciallo Musolino. “Per una ragione di territorialità, storicamente Messina è sempre stata fuori dai ragionamenti del mandamento di Palermo e dei dieci mandamenti di Catania perché in realtà è sempre stata molto legata alla ‘Ndrangheta calabrese. Quello che riuscimmo a riscontrare è proprio la presenza all’interno del tessuto criminale messinese di una costola del mandamento catanese, la famiglia Santapaola-Romeo. Questo perché alcuni membri della famiglia da Catania si erano poi spostati nel comune di Messina, in particolare ci riferiamo a Pietro Santapaola e Vincenzo Santapaola, nipoti diretti di Nitto Santapaola, e al cognato Francesco Romeo. Quest’ultimo aveva sposato Concettina Santapaola, sorella di Nitto Santapaola. A riscontro delle varie dichiarazioni dei collaboratori ci furono anche una serie di intercettazioni, mi riferisco soprattutto a quelle registrate tra Grasso e Romeo, tra Grasso e Lorenzo Mazzullo (già dipendente della Procura della repubblica di Messina, condannato a tre anni e mezzo al processo-stralcio Beta, Nda) e tra Grasso-Romeo e l’imprenditore Carlo Borrella. Altri elementi che ci consentivano di capire che l’associazione messinese era sovraordinata rispetto ai clan cittadini sono tutta una serie di piccoli fatti che presi singolarmente non possono dire nulla ma che si rivelano molto importanti, penso ad esempio al ritrovamento di una macchina avvenuto due ore dopo un furto o a quegli stessi soggetti appartenenti o vicini alla criminalità organizzata messinese che dopo aver rubato un motorino, si spaventano e lo restituiscono immediatamente. Un elemento di interesse è stato rappresentato anche dal comportamento dei membri dell’associazione. Molti di essi avevano un comportamento normale perché non erano mai stati toccati da operazioni di polizia giudiziaria; mi riferisco ai fratelli più giovani della famiglia Romeo, mentre altri, come nel caso di Pietro Santapaola e Vincenzo Santapaola, avevano un atteggiamento completamente diverso. Questi ultimi soggetti erano già stati colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere; la stessa cosa era avvenuta per quanto riguarda Francesco Romeo e in parte Vincenzo Romeo che era stato colpito nel 2000 da un’operazione che, se non erro, dovrebbe essere la Cassiopea; poi era stato scagionato per mancanza di identificazione. Proprio quest’ultima vicenda aveva portato il gruppo ad utilizzare uno stratagemma: nessuno di loro aveva un nome proprio, non si chiamavano mai per nome durante le intercettazioni telefoniche ma utilizzavano invece dei soprannomi. Questo riscontro ci viene dato ad esempio dall’intercettazione delle conversazioni dell’odierno imputato Stefano Barbera all’inaugurazione del Dolce Longe Bar, il locale che Romeo e Grasso avevano aperto sulla via Garibaldi. Dopo l’inaugurazione, Barbera raccontava quali erano i vari soprannomi che avevano i membri. Poi ci fu anche un collaboratore di giustizia che ce li confermò. L’attività di intercettazione aveva consentito di comprendere che Vincenzo Romeo si faceva chiamare solitamente Filippo, Caterpillar, Tempesta, Jerry, Cingolo, Tiger. Lo stesso Biagio Grasso si faceva chiamare Ten Ten, La Gallina perché poi era colui che portava gli affari. L’ingegnere Raffaele Cucinotta spesso veniva identificato con il soprannome di Compasso. Uno dei nomi più citati inizialmente era quello di Baffo. Baffo Grande e Baffo Piccolo. In particolare si faceva riferimento a Nitto Santapaola come Baffo Grande, mentre quando si faceva riferimento a Baffo Piccolo si trattava di Carlo Borrella. L’avvocato Andrea Lo Castro veniva identificato come La Giraffa. La famiglia Ercolano si evitava di citarla nel corso delle varie intercettazioni. Il rapporto con la famiglia Santapaola di Catania è risultato particolarmente stretto. In un certo momento si verificò una rottura all’interno della famiglia, ma soprattutto si verificarono alcune operazioni di polizia giudiziaria che colpirono in particolare uno dei cugini maggiormente legati a Vincenzo Romeo, mi riferisco in particolare a Vincenzo Ercolano. Lui era chiamato Ago grande ed era stato visto a Messina nel corso di un servizio di osservazione quando si era recato da Vincenzo Romeo per portare l’invito ad un matrimonio. All’incontro doveva esserci anche Pietro Santapaola, ma poi alla fine non si presentò. Una delle intercettazioni che maggiormente ci colpirono fu quella che riguardava Stefano Barbera e l’imprenditore Piermaria Mantelli (noto industriale di Piacenza attivo nella produzione di grandi impianti per la ristorazione, già presidente nazionale di Unionmeccanica, comunque estraneo al procedimento penale Beta, NdA). Mantelli era una sorta di datore di lavoro di Stefano Barbera perché era colui che era proprietario e amministratore della Emmepi Mobili per il quale il Barbera era il rappresentante su Messina. Stefano Barbera era un soggetto che aveva conosciuto Vincenzo Romeo e che aveva portato con sé a Messina un imprenditore straniero che si chiamava Antonio Monteiro. In realtà l’identificazione del Monteiro non fu facile, noi ancora non riusciamo a comprendere se era davvero la persona che diceva di essere perché non lo abbiamo mai visto. Egli portò al gruppo Romeo l’affare per la realizzazione di un centro sportivo nella zona della provincia di Messina. Raccolse diverse quote per effettuare questo possibile affare, alcune di esse vennero versate direttamente anche da Vincenzo Romeo. Successivamente Monteiro ritornò prima in Portogallo, poi in Germania. Ci furono però dei problemi, uscirono delle notizie stampa su questo Monteiro e sull’affare, così il sedicente imprenditore si tirò indietro. Probabilmente questo affare, a nostro parere, non si sarebbe mai realizzato perché doveva essere un polo sportivo molto grande, con la sponsorizzazione di una squadra spagnola che a noi non risultava. Poi Monteiro rispose a Vincenzo Romeo e agli altri soggetti legati a Barbera, che avrebbe restituito il denaro con un tasso di interesse maggiore attraverso vari strumenti finanziari che lui conosceva e che riguardavano la Svizzera. Per circa un anno e mezzo abbiamo intercettato sia l’utenza straniera utilizzata da Monteiro per le chiamate in Italia e sia le varie telefonate che loro effettuavano a Monteiro, ma in realtà l’affare non andò mai in porto e i soldi alla fine non vennero restituiti”.

La famiglia acchiappatutto

“Nel coso di una conversazione che viene fatta l’8 ottobre 2014 all’interno della Suzuki Grand Vitara solitamente utilizzata da Stefano Barbera, quest’ultimo diceva a Piermaria Mantelli di essere interessato a fargli conoscere Vincenzo Romeo. In particolare lui spiega il legame che aveva Romeo con la famiglia Santapaola e la sua parentela con Nitto Santapaola, il suo ruolo all’interno della consorteria e il fatto che a Messina nessuno chiedeva il pizzo se non era autorizzato dal Romeo stesso perché era lui che reggeva gli equilibri. Vincenzo Romeo reggeva cioè gli equilibri tra Messina e Calabria nonostante la sua giovane età. A conferma dell’intercettazione venne effettuato un servizio di osservazione nel quale si rileva che nella stessa giornata Barbera si reca presso il Ritrovo Montecarlo per presentare Mantelli al suo capo Vincenzo Romeo. Quest’incontro fu molto importante perché il Romeo riferiva tutto quello che facevano i fratelli, cioè che ognuno di loro aveva un settore all’interno dell’economia e quindi che avevano i bar, che erano concessionari di Lottomatica, che facevano la distribuzione dei pannolini in tutti gli ospedali (cosa che abbiamo riscontrato poi nello specifico appalto di diversi milioni di euro vinto da una loro azienda)”.

Nel corso della sua lunga deposizione al processo Beta, il maresciallo Vincenzo Musolino si è poi soffermato sui legami diretti tra la famiglia Romeo-Santapaola di Messina e i clan mafiosi leader della provincia di Catania. “I rapporti tra il gruppo Romeo e i gruppi catanesi sono tra gli episodi maggiormente riscontrati nel corso dell’attività di indagine”, ha spiegato l’inquirente. “Era normale che la famiglia Santapaola-Romeo fosse legata da un rapporto di parentela e quindi ci fosse questo quotidiano, periodico rapporto con la famiglia Ercolano. Quello che però venne fuori è che non c’era soltanto il rapporto con la famiglia Ercolano-Santapaola. Uno dei primi rapporti che riusciamo a registrare è stato infatti quello con il clan Laudani. In particolare registriamo un incontro avvenuto il 5 giugno del 2014 tra Vincenzo Romeo, Biagio Grasso ed Antonino Di Mauro inteso Sciarretta. Antonino Di Mauro è considerato uno degli elementi più importanti del clan Laudani di Catania, federato al clan Santapaola. Questo risulta anche per i suoi reati di associazione di tipo mafioso, emissione di assegni a vuoto, favoreggiamento, molti dei quali già passati in giudicato. Di Mauro era inoltre sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata successivamente revocata e alla sorveglianza speciale di Pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Di Mauro, Grasso e Romeo si incontrano in un bar di Catania. L’argomento della discussione, ed è qui il motivo per cui era presente all’incontro Biagio Grasso, era quello di iniziare una nuova attività commerciale riguardante la vendita di carburante agricolo e che portava importanti guadagni per quanto riguarda il mancato pagamento delle accise. L’affare proposto poi non iniziò perché l’associazione aveva sempre difficoltà a reperire denaro. Comunque l’associazione si incontrò con Salvatore Boninelli inteso Turi, che all’epoca ricopriva la carica di presidente dell’associazione Polo Regionale dell’Agricoltura. Quindi era loro intenzione coinvolgere anche il Boninelli. Noi lo riscontriamo sia perché loro ne fanno riferimento nelle diverse conversazioni, ma anche perché successivamente viene effettuato un servizio di osservazione che consente di accertare che Grasso e Romeo si erano recati a Catania presso il Consorzio agrario carburante agricolo ubicato sulla statale 192. Grasso e Romeo poi si allontanano insieme ad Antonino Mario Chiantello per incontrarsi poi con Salvatore Boninelli. Chiantello era stato tratto in arresto dalla Guardia di Finanza di Roma nell’ambito del procedimento penale n. 1337, quindi aveva precedenti relativi a frode consistente nell’importazione in Italia di ingenti quantitativi di gasolio. Qualche altro incontro è avvenuto pure a Palermo. In realtà loro si organizzavano per vedersi anche con altri soggetti, come ad esempio nell’incontro che avviene tra Vincenzo Romeo e Francesco Massimiliano Santapaola, figlio di Nitto Santapaola, in maniera molto più riservata a differenza di quello con Antonio Di Mauro, proprio perché gli argomenti dovevano essere diversi, tant’è che poi riscontriamo nelle telefonate successive, le preoccupazioni da parte dello stesso Vincenzo Romeo a non poter far fronte agli impegni presi nei confronti di Francesco Massimiliano Santapaola”.

Ai parenti catanesi dobbiamo provvedere noi…

“Naturalmente quello che riscontriamo maggiormente è il rapporto che i Santapaola avevano con la famiglia Ercolano”, ha aggiunto il maresciallo Musolino. “In proposito va segnalato che il 18 marzo 2014 la Dia di Catania, grazie agli esiti dell’attività convenzionalmente chiamata Ibis eseguita dal Ros, effettua un provvedimento di sequestro con contestuale confisca di alcune società di trasporto che erano la Geotrans, la Avimec, la Geotrans Logistica Frost che ha un fatturato di cinque milioni di euro e che era l’attività principale legale svolta dalla famiglia Ercolano e in particolare da Vincenzo Ercolano. Dette aziende erano riferibili a Giuseppe Ercolano, cugino di Benedetto Santapaola, ma erano intestate formalmente a Vincenzo Ercolano e Cosima Palma Ercolano. C’è da riferire che gli indagati Grasso e Romeo si erano già recati diverse volte ad incontrare Vincenzo Ercolano. Proprio l’arresto di quest’ultimo, avvenuta successivamente, provoca notevole preoccupazione a Grasso e Romeo che vogliono comprendere se anche loro sono stati intercettati. E’ lo stesso Romeo che lo riferisce. Questi incontri sono stati da noi anche in parte relazionati. Un esempio è quello del 28 aprile 2014 quando Vincenzo Ercolano si reca a Messina presso l’abitazione di Francesco Romeo unitamente a quella che era la compagna e che poi sarebbe diventata la moglie di Ercolano e a Grazia Santapaola (sorella di Benedetto Nitto Santapaola e moglie del boss Giuseppe Pippo Ercolano, scomparso nell’estate del 2012, Nda). Successivamente alla data dell’arresto di Vincenzo Ercolano, Grazia Santapaola si presenta nuovamente presso l’abitazione della famiglia Romeo; in quel caso Concettina Santapaola contatta il figlio al fine di farlo rientrare immediatamente a casa in quanto stava arrivando la sorella. Terminato l’incontro cui prende parte anche Vincenzo Romeo, quest’ultimo si mostra molto preoccupato perché, per come lui riferisce, era arrivata a ‘mbasciata e quindi da quel momento doveva provvedere ad aiutare. Quando si verifica l’arresto di Vincenzo Ercolano, vuoi anche perché si trovavano in carcere altri membri della famiglia Ercolano, tra i quali Aldo Ercolano, nasce una sorta di mutua assistenza tra la famiglia Romeo e la famiglia Ercolano. Questo noi lo registriamo anche telefonicamente con diverse richieste di denaro che arrivavano a Concettina Santapaola, mascherate come richieste di ricariche telefoniche di duecento euro e lo riscontriamo pure nelle intercettazioni che avvengono tra Biagio Grasso e Vincenzo Romeo. Proprio quando si verifica la mancanza di liquidità il Romeo chiedeva a Grasso di poter realizzare il prima possibile denaro liquido da poter inviare a Catania e poi si arrabbia nei confronti di Grasso perché non riesce a monetizzare nulla. Lo stesso avviene nell’incontro del 7 maggio del 2014 dove noi identifichiamo Francesco Massimiliano Santapaola che come ho detto è il figlio diretto di Nitto Santapaola. Nelle conversazioni successive a questo incontro, lo stesso Romeo dirà che deve mandare qualcosa dall’altra parte, intendendo la parte di Catania”.

“Le chiamate non avvenivano direttamente in quel caso con Francesco Massimiliano Santapaola ma bensì con soggetto che le Sezioni anticrimine di Catania e Messina che in quel momento effettuavano il servizio di osservazione identificano in Luca Scaravilli, originario di Catania. In una conversazione registrata il 27 giugno 2014, Vincenzo Romeo fa riferimento con Biagio Grasso al proprio ruolo assunto all’interno della famiglia. Proprio l’ostentazione della propria famiglia che noi registriamo e che vedremo soprattutto nell’ambito dei rapporti che avvengono con la ‘Ndrangheta calabrese, Vincenzo Romeo la faceva spesso… In particolare egli si vantava del fatto che all’interno della propria famiglia non vi fosse mai stato un pentito. In particolare questo si verifica quando il 14 giugno 2014 Grasso e Romeo guardavano alcuni video in cui si accennava all’ufficializzazione della collaborazione di Santo La Causa, all’arresto di Benedetto Nitto Santapaola e al colloquio registrato in carcere con Giuseppe Mirabile nell’ambito dell’indagine Efesto. Loro guardavano questi video tramite il telefonino. Biagio Grasso si mostrava incuriosito a comprendere se oltre a loro qualcuno avesse tentato di attuare una ramificazione all’interno di Messina… Nella conversazione si faceva riferimento alla presenza dei Santapaola su Messina, quindi Romeo spiegava che non c’era nessun altro oltre a lui e al padre. Uno degli elementi che indica la consapevolezza da parte degli indagati del rischio connesso al parlare di questi soggetti, era che i due cercano di cancellare il prima possibile la cronologia quando vedevano qualche video. Un’altra situazione che registriamo anche in altre occasioni era quella di voler segnare su un foglio di carta parte delle conversazioni e quindi evitare di dire il nome del soggetto catanese o del soggetto criminale messinese, ma facendo riferimento scrivendoli su fogli di carta. Questa modalità di comunicazione l’abbiamo accertata in particolare durante un’intercettazione del novembre 2014 di un colloquio tra Biagio Grasso e Vincenzo Romeo all’interno della XP Immobiliare. All’epoca noi avevamo sia la videocamera all’esterno di viale Boccetta 70 che quella nell’ufficio di Grasso. Il giorno prima era avvenuto l’arresto di Vincenzo Ercolano nell’ambito dell’attività denominata Caronte, quindi loro presero un foglio di carta e iniziarono a segnare alcuni nomi, in particolare Ros, Caruso, Enzo Romeo, trent’anni, scudo. Queste erano le frasi che noi trovammo lì. Poi Santa, Ercolano, Messina 2005/2006 e 2008/2010 perché facevano riferimento all’indagine e poi naturalmente il nome Caronte che era proprio l’argomento della discussione. Loro, come solitamente facevano, prendevano il foglietto di carta e lo strappavano. La stessa modalità noi la riscontriamo all’interno dell’ufficio di Andrea Lo Castro ed era il comportamento che aveva solitamente Vincenzo Romeo. In quel primo caso però fu per noi facile riuscire a recuperare quel foglio di carta perché nei giorni successivi il servizio di osservazione interno e esterno consentiva di vedere che esso era rimasto all’interno dell’immondizia. Con uno stratagemma, sabato 9 dicembre 2014, ci recammo proprio nel posto dove buttava l’immondizia il personale che seguiva la pulizia all’interno della XP Immobiliare di Grasso. Chiedemmo di lasciare lì i sacchetti, di non buttarli perché avevamo lasciato all’interno delle chiavi che avevano buttato. Quindi trovammo proprio quel bigliettino con all’interno scritte quelle frasi che ho detto prima…”.

“Sempre a proposito del commento che Grasso e Romeo fanno sull’esito degli arresti in riferimento all’operazione Caronte, vi è la conversazione registrata il 21 novembre 2014, durante la quale Vincenzo Romeo faceva riferimento al fatto che chi contava adesso a Messina era il cognato di Santapaola, cioè Francesco Romeo”, ha riferito ancora Vincenzo Musolino. “Questo Romeo lo ribadisce più volte. Un’altra delle conversazioni che faceva comprendere la paura di Romeo di non poter far fronte agli aiuti economici nei confronti di Ercolano e quindi della famiglia di Catania è quella del 5 gennaio 2015, anch’essa registrata all’interno degli uffici della XP Immobiliare. Vincenzo Romeo si lamenta di aver fatto una cattiva figura nei confronti del figlio di Baffo Grande, cioè del figlio di Nitto Santapaola. Pochi giorni prima Romeo si era visto con Francesco Massimiliano Santapaola e si lamentava del fatto che si parlasse all’interno delle carceri, all’interno delle case e all’interno delle famiglie, quindi che la famiglia Romeo potesse fare cattiva figura nei confronti delle altre associazioni. Comunque il rapporto tra Romeo e Grasso si ferma quando il primo non può parlare dei rapporti che ci sono su Catania… Siamo già su due livelli leggermente diversi, magari ne poteva parlare con il padre Francesco Romeo. In una circostanza che noi registriamo l’8 gennaio 2015, Romeo e Grasso ne parlano però insieme, cioè dopo che Grazia Santapaola, la sorella di Cettina Santapaola, nonché madre di Vincenzo Ercolano, si era recata a Messina per la ‘mbasciata, accompagnata da Emilio Torrisi, figlio di Cosima Ercolano. In questo caso, il Romeo ne parlava tranquillamente con Biagio Grasso, tanto era preoccupato della cosa e gli riferiva il fatto che la zia non si fidava di nessuno e che per quante cose gli aveva detto aveva la necessità di avere un foglio di carta e una penna dove poter segnare quanto detto da lei”.

Lo sfregio del compare

Il maresciallo Vincenzo Musolino ha poi parlato di un contrasto scoppiato tra i Romeo e i cugini Pietro e Vincenzo Santapaola che avrebbe poi raffreddato le reciproche relazioni personali e di affari. “Per ciò che riguarda invece gli appartenenti alla famiglia Romeo e Pietro Santapaola e Vincenzo Santapaola, nel corso di un anno e dieci mesi di intercettazioni noi evidenziamo un rapporto che cambia nel tempo”, ha spiegato l’inquirente. “Esso cambia in ordine ad un evento che si verifica nel corso delle indagini. Va detto innanzitutto che Pietro e Vincenzo Santapaola sono soggetti che già avevano conosciuto il carcere, quindi sapevano muoversi su Messina e non avevano rapporti, almeno non riuscivamo a registrare dei rapporti con la criminalità organizzata messinese. In realtà non comprendevamo il lavoro svolto da Pietro Santapaola, tranne la sua quotidiana presenza all’esterno del negozio New Time di via Tommaso Cannizzaro e nonostante la moglie stessa riferiva alle amiche che il marito aveva un ufficio e che svolgeva un’attività commerciale. In realtà Pietro Santapaola non svolgeva nessuna attività e trascorreva la maggior parte del suo tempo all’esterno del negozio del suocero. I riscontri telefonici invece evidenziavano un rapporto con l’imprenditore Nicola Giannetto (già titolare di importanti aziende della grande distribuzione alimentare, parte civile al processo Beta, NdA) con cui c’era un rapporto di comparato, in quanto il Giannetto aveva battezzato il figlio di Pietro Santapaola, Pietro Santapaola Junior. Il Santapaola aveva tentato più volte di aprire un’attività commerciale anche con l’aiuto di Giannetto però quest’ultimo si era mostrato abbastanza restio, come ad esempio nel caso dell’attività che doveva essere aperta all’Ard Discount di Milazzo, dove Giannetto faceva riferimento ai soldi che doveva al proprio socio che erano i fratelli Capone. Vincenzo Santapaola invece aveva un’attività commerciale o meglio gestiva un’attività sotto il nome della figlia Ylenia, intestataria della Project Meat nonostante la ragazza, appena diciannovenne-ventenne, facesse soltanto riferimento al padre. Lui questo supermercato lo gestiva nella zona di Mili. Oltretutto all’epoca Vincenzo Santapaola aveva la sorveglianza quindi comunque non voleva destare nuovi sospetti. In ordine all’attività gestita da Vincenzo Santapaola e sull’investimento economico che lui avrebbe dovuto sostenere, c’è una conversazione che avviene tra Pietro Santapaola e la moglie Caterina Sparacino in cui l’uomo faceva riferimento al fatto che il fratello aveva aperto un supermercato senza una lira. Egli faceva esplicito riferimento ad altre due macellerie che aveva aperto il fratello. Ed effettivamente in quel periodo Vincenzo Santapaola, oltre al supermercato del Project Meat di Mili, gestiva altre due macellerie sempre riferibili a Nicola Giannetto: una era quella dove c’è il cinema Lux a Messina e l’altra riguardava quella di Milazzo. Questo noi lo riscontriamo dalle diverse conversazioni che avvenivano tra Vincenzo Santapaola e alcuni suoi dipendenti che contattava telefonicamente per il turno di servizio”.

“Tornando un attimo ai rapporti tra Vincenzo Santapaola e Pietro Santapaola con Vincenzo Romeo e Francesco Romeo, noi riscontriamo in verità pochissimi incontri tra loro, nonostante lo stretto rapporto familiare tra i Santapaola e i Romeo”, ha specificato il teste. “Zero contatti telefonici e soltanto incontri di persona. In particolare, il 7 gennaio 2014, intorno alle 19,30, verifichiamo che Vincenzo Romeo, consapevole del fatto che Pietro Santapaola trascorresse la maggior parte del proprio tempo all’esterno della gioielleria New Time, si reca lì per discutere con Antonino Sparacino che era il cognato. Il giorno successivo, intorno alle ore 13,30, la telecamera evidenzia la presenza di Pietro Santapaola all’esterno della New Time. Noi ci rendiamo conto che Pietro e Vincenzo Santapaola fanno qualche passo, si allontanano, arrivano quasi vicino alla gioielleria Aliotta… C’era la presenza anche di un minore che era il figlio di Pietro Santapaola e tutti e due dialogano all’orecchio… Dopo quell’incontro non registriamo più nessun rapporto tra la famiglia Santapaola e la famiglia Romeo. Comprendiamo che vi è stato un problema. In intercettazioni successive, registreremo una serie di conversazioni della famiglia Romeo che si rivolgeva nei confronti di Pietro Santapaola e della moglie in maniera sicuramente non bonaria. In particolare i Romeo si lamentavano del fatto che la signora si presentasse come Santapaola. Mi riferisco alle conversazioni registrate il 10 agosto 2014, il 14 settembre 2014 tra Daniele Romeo e Vincenzo Romeo o, ancora, a quella del 6 dicembre 2014 tra Vincenzo Romeo e Marco Daidone, e infine a quella del 27 dicembre 2014 tra Maurizio Romeo e Daniele Romeo. In quelle conversazioni in cui si faceva riferimento alla famiglia di Pietro Santapaola, i Romeo utilizzavano delle parole dalle quali comprendiamo che vi era stata una rottura. La spiegazione di quanto accaduto noi l’apprendiamo nel corso di un’intercettazione registrata all’interno dell’ufficio dell’avvocato Andrea Lo Castro. In particolare Nicola Giannetto aveva riferito dei fatti che riguardavano un debito che doveva corrispondere ad una cooperativa per la fornitura di alimenti e che aveva portato questi soggetti a venire su Messina. In quel caso, queste persone si erano rivolte, grazie a Vincenzo Santapaola di Catania, a Francesco Romeo, quindi al padre dei Romeo. Successivamente Giannetto era stato prelevato in motorino dallo stesso Vincenzo Romeo e portato all’interno di un garage per una sorta di mediazione, definiamola così. Come dicevo prima, da quel momento in poi avviene questa rottura. Nonostante il rapporto di comparato tra Giannetto e Pietro Santapaola, l’imprenditore aveva travalicato questo rapporto di fiducia presentando denuncia su questi fatti nei confronti di Vincenzo e Francesco Romeo”.


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